Tragedia del Vajont: incuria o genocidio di Stato?

Ott 6, 2023

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Vajont: descrizione del disastro ambientale che colpì l'area della diga

Sessant’anni dopo, la tragedia del Vajont è una ferita ancora aperta, un ricordo nitido nelle menti dei sopravvissuti e in quelle di coloro ai quali è stato tramandato. È un dovere, per ogni italiano, rammentare questa pagina buia e luttuosa della storia della nostra Patria, a cui spesso non viene data la giusta importanza.

Tutto ebbe inizio quando la SADE (poi Enel), società elettrica privata, con il benestare dello Stato, progettò e fece costruire – interrompendo momentaneamente, per poi ultimare il progetto al termine della seconda guerra mondiale – la diga artificiale all’epoca più grande del mondo, sul Monte Toc, che si trova al confine tra il Veneto e il Friuli Venezia Giulia, vicino ai paesi di Erto e Casso (in provincia di Pordenone) e Longarone (in Provincia di Belluno).

Diga del Vajont, il 9 ottobre 1963 il disastro che uccise 2mila persone |  Sky TG24

Nell’etimologia si trova un notevole avvertimento: infatti, il monte Toc è soprannominato così perché nel dialetto locale “toc” significa pezzetto, ed indica dunque la sua composizione molto friabile. Come spesso accade, la tradizione e il sapere popolare si rivelarono tragicamente profetici.

Alle dieci e trentanove del 9 ottobre 1963 una frana si staccò dal Monte Toc, precipitando nelle acque del bacino alpino della diga, sollevando un’ondata che, superato di 250 metri d’altezza il coronamento della Diga, piombò su Erto, Casso e Longarone, con la potenza di due bombe atomiche, sterminando duemila persone.

In meno di quattro minuti l’ondata rase al suolo interi paesi, distruggendo tutto ciò che incontrava: case, edifici, auto, strade, ospedali. La sua potenza scorticava e denudava le vittime sulla via, i cui cadaveri, i pochi ritrovati, erano spesso irriconoscibili; tra gli altri, morirono quattrocentottantasette bambini. Il giorno successivo non restava nulla, se non cumuli di macerie, corpi e rocce.

Il caso Vajont tra storia e didattica - Iveser

I superstiti hanno perso tutto: la famiglia, i cari, un posto in cui vivere, la propria abitazione e persino la propria città, in uno scenario apocalittico che la mente di chi non l’ha vissuto sulla propria pelle non riesce a comprendere fino in fondo. Eppure, nessuno scappò altrove: di questo prendano nota i buonisti dei nostri giorni, giacché con la forza, la prodezza e il coraggio tipico degli italiani, alla fine del 1975, il 90% del paese era stato nuovamente ricostruito.

Diga del Vajont, il disastro nella notte del 9 ottobre 1963- Corriere.it

Tuttavia è doveroso porre l’accento su quelle duemila vittime, che neppure il tempo potè mai restituire ai superstiti, e sul fatto che questo eccidio si sarebbe potuto evitare: la SADE sapeva della condizione franosa del terreno circostante l’infrastruttura, ma lo Stato aveva autorizzato comunque la costruzione; i cittadini dei paesi confinanti percepivano da mesi delle scosse, ma tutto venne occultato in favore del profitto, e – come di consueto – furono i civili a pagare il prezzo più alto in quello che, a tutti gli effetti, è un omicidio di Stato! Una tragedia avvenuta non per incuria, ma per colpa!

I responsabili del disastro furono processati ed esso finì sette anni dopo con pene poco più che ridicole per chi ha causato un vero e proprio genocidio: massimo 6 anni di carcere. Il processo culmina poi con l’estromissione dal giudizio penale degli enti ENEL e MONTEDISON (ex SADE). È imperativo ricordare questa tragedia, per anni insabbiata e zittita: in primis per onorarne gli incolpevoli caduti, che ancora aspettano quella giustizia che secondo questo stato non meritano; in secondo luogo, affinché lo Stato e le istituzioni smettano con questa orribile abitudine di scontarsi con la natura in favore del Dio denaro.

9 ottobre 1963. Il disastro del Vajont – Andrea Tomasella

“A volte mi chiedono se ho perdonato. No, non ho perdonato. Non potrò mai perdonare gli uomini che hanno consentito tutto questo.” Dal Film “Vajont” – La diga del disonore.