Il 21 maggio del 2013, nella cattedrale parigina di Notre Dame, Dominique Venner compie il proprio rito sacrificale, togliendosi la vita per “risvegliare le coscienze dormienti degli europei” ed esortarle ad “insorgere contro il fatalismo”, riprendendo in mano le redini di una Civiltà millenaria in declino. Fortunatamente, il monito del “samurai d’Occidente” non rimane inascoltato: di lì a breve, un nutrito gruppo di coraggiosi mette in campo un sodalizio organico che – attraverso la Formazione, la diffusione culturale e la metapolitica – si pone l’obiettivo di custodire e trasmettere la “lunga memoria europea”. Nasce così l’Institut Iliade, oggi avanguardia indiscussa del panorama identitario europeo.
Nella presentazione del progetto, del resto, il presidente Philippe Conrad non lascia adito ai dubbi:
“I cittadini dell’Europa odierna sottovalutano il ruolo svolto dalla propria civiltà nella storia del mondo. Questa cancellazione della memoria precorre l’accettazione della scomparsa collettiva. Rifiutando questa estinzione, l’Institut Iliade intende adoperarsi per l’affermazione della ricchezza culturale d’Europa e per la riappropriazione della propria identità da parte degli Europei. Nulla, però, sarà possibile finché non proclameremo ciò che dobbiamo difendere: la nostra storia, la nostra cultura, la nostra civiltà. A tal fine, l’Institut Iliade opera per la realizzazione d’una rivoluzione culturale di vasta portata, che rappresenta un imperativo di fronte alla crisi di civiltà che dobbiamo affrontare”.
Dalle parole ai fatti: in pochi anni, l’Institut Iliade arriva a creare decine di classi per la Formazione dei giovani, con veri e propri corsi a cadenza fissa – spesso tenuti in luoghi evocativi e animati dalla partecipazione di pensatori di assoluto spessore – che puntano alla “semina” di lungo periodo, offrendo nuove prospettive e inaugurando nuovi percorsi. Grazie ai social network e alla produzione libraria, l’Iliade diventa un decisivo punto di riferimento internazionale, tanto da mettere in piedi una vera e propria rete europea, oggi presente in molti Paesi e – per quanto concerne l’Italia – affidata all’azione di Passaggio al Bosco Edizioni, che ne traduce e ne diffonde le opere.
IL GRANDE CONVEGNO ANNUALE
Oltre alle decine di eventi a ciclo continuo – come le presentazioni librarie presso la “Nouvelle Librairie” di Parigi, avamposto del pensiero libero nel “bobo” Quartiere Latino – merita attenzione il celebre convegno annuale: si tratta – a tutti gli effetti – del più importante evento culturale del mondo “non allineato” sul suolo del Vecchio Continente. È il momento in cui si raccolgono i frutti del lavoro di un anno, si rivedono gli amici e i collaboratori, si sviluppano i temi e si “riarmano” le idee: una prova di forza, ma anche un giorno di grande elaborazione.
Da qualche anno, su invito dell’amico Pierluigi Locchi e con la redazione di Passaggio al Bosco, vi prendiamo parte con entusiasmo: migliaia di persone, decine di stand, sette ore di dibattiti ed una pianificazione programmatica senza pari. Dobbiamo dirlo con franchezza, fuori da ogni “esterofilia”: in Italia non sarebbe concepibile – oggi – un’iniziativa di questo spessore qualitativo e quantitativo. Motivo per cui, con umiltà e con buona volontà, occorre andare alla fonte: per attingere e per apprendere, portando il proprio contributo e la propria esperienza. L‘impatto con il convegno di quest’anno – tenutosi sabato 6 aprile nella prestigiosa location de La Maison de la Chimie, a pochi passi dalla tomba di Napoleone – è stato incredibile: ad accoglierci, alle prime ore del mattino, una lunghissima fila di persone che attendevano di entrare pagando il proprio biglietto. Proprio così: in Francia è una consuetudine quella di contribuire economicamente alla riuscita degli eventi e tutti lo fanno con semplicità e soddisfazione. Entrati nel centro congressi, del resto, si resta ammirati dalla coreografia allestita: enormi stendardi colorati, raffiguranti le antiche simbologie dei nostri antenati, danno il benvenuto ai visitatori.
Pochi metri più avanti, inizia l’area espositiva: case editrici, librerie, radio, riviste, giornali, centri studi, artigiani, associazioni e realtà militanti mettono in rete il loro vissuto, creando nuove sinergie in un clima comunitario e gioviale. Colpisce il pubblico: eterogeneo, composto, educato e attento. Tantissimi i giovani, che si distinguono per una preparazione fuori dal comune: nessun grido sguaiato e nessuna posa esagitata; la birra, che pure sgorga a fiumi e con prezzi “popolari” per gli standard parigini, non pare deconcentrarli. I veterani, invece, portano al bavero la spilla dell’Istituto: dorata per i fondatori, argentata per chi ricopre dei ruoli e bronzea per i “diplomati” che hanno terminato il proprio corso di Formazione. Più che un distintivo da sfoggiare, evidentemente, si tratta di un “rito di passaggio” che denota una precisa appartenenza, una chiara responsabilità e un netto senso del dovere: ogni minimo dettaglio è seguito con cura, come nelle migliori tradizioni comunitarie delle “scuole quadri”. Al piano superiore, dal quale si accede al grande teatro che ospita la conferenza, sono esposte le opere d’arte: due di queste, realizzate dagli italiani di “Noctua – arte grafica”, riproducono l’Europa di ieri e di domani, sottolineando la continuità di un retaggio senza tempo che viene declinato in ossequio ad una precisa Weltanschauung. Oltre agli artisti, però, c’è anche il “club dei 100”, composto dai tanti “pilastri” che sostengono le attività dell’Istituto, garantendone il mantenimento e il rafforzamento.
L’ingresso nell’enorme sala conferenze, sviluppata su due piani, è da mozzare il fiato: 900 posti a sedere, che diventano mille con chi – assiepato ai lati e in fondo – ascolta gli interventi. Altrettante persone, nello stesso tempo, sono riunite nello spazio esterno per gli stand, a tratti gremito. Non un telefono che squilla, un commento di troppo, un brusio di sottofondo: la platea è attenta, composta e raccolta. E lo dimostra quando, dopo tre ore suonate di interventi, si avvia alla pausa pranzo per poi tornare al proprio posto come se nulla fosse: le sei ore, del resto, sono interpellate dalle brevi proiezioni dei video (tutti realizzati dall’Istituto e di altissima qualità) e da alcune pause musicali, una delle quali con una evocativa suonata di cornamuse dal vivo. Tutto fila liscio come l’olio: un’organizzazione meticolosa, che viene immaginata e curata per mesi da centinaia di volontari; una “bouvette” autogestita, con prodotti del territorio, che abbevera e sfama senza sosta i tantissimi ospiti; un servizio d’ordine cortese ma deciso, che vigila e accoglie; un team per la comunicazione che registra ogni intervento, scatta foto, aggiorna i social, raccoglie interviste e crea contenuti in diretta; una decina di produzioni librarie sfornate ad hoc per l’occasione, con tanto di atti già pubblicati; un cocktail finale che resta sicuramente impresso. È un contesto che ha saputo creare una sintesi perfetta tra lo spirito volontaristico del militante e la serietà qualitativa del professionista: ad oggi, per quel che ne sappiamo, non ha eguali.
L’Europa dei nostri figli
Il tema del convegno è emblematico: “Dal patrimonio all’impegno: l’Europa dei nostri figli”. Henry Lavavasseur lo ha presentato in modo eccellente: «L’Europa non è semplicemente un’unione di interessi economici e finanziari più o meno deterritorializzati, che promuove la deregolamentazione delle transazioni all’interno del “villaggio globale”. Non è un conglomerato disordinato di popolazioni sradicate, distribuite secondo le evoluzioni del “mercato” su un territorio senza più confini né limiti, esposto a una migrazione incontrollata.
L’Europa non è l’appendice di un Occidente posto sotto il geloso dominio di una superpotenza dagli ideali messianici, convinta di dover esportare i benefici dei suoi presunti valori universali. Non è nemmeno la penisola di un’Eurasia il cui centro di gravità si trova ai margini degli Urali. L’Europa non è il culmine di una storia vergognosa che va cancellata, o sfigurata, per imporre ai suoi eredi il plumbeo mantello di un pentimento mortificante. Non è nemmeno una navata di pazzi, guidata dagli allucinati, deliranti profeti della “decostruzione”, intenti a minare le basi antropologiche che garantiscono la crescita e la conservazione delle culture, delle società, dei popoli.
L’Europa non è un insieme di paesaggi deturpati, non è una natura devastata in nome degli imperativi della crescita illimitata branditi per sostenere politiche miopi. È ancor di meno una fuga lontano da ogni logica di potere, in nome delle fantasie di un’ecologia incompresa. L’Europa non è una processione di tecnocrati incaricati di alimentare “il più freddo dei mostri freddi”, tale un sovrano senza volto che spoglia i suoi vassalli delle loro prerogative con pignola autorità ma si dimostra incapace di difenderle. L’Europa non è l’Unione Europea.
L’Europa è tutt’altro e molto di più. È allo stesso tempo un’eredità antica e la prefigurazione del futuro dei popoli che la incarnano. L’Europa è un’area geopolitica abitata da migliaia di anni da un gruppo di popoli strettamente imparentati tra loro. Nonostante la violenza dei conflitti che hanno tessuto la trama eroica e tragica della loro storia comune, questi popoli condividono lo stesso patrimonio di civiltà, forgiato da una miscela di elementi etnici che sono rimasti praticamente immutati in tutto il continente dall’inizio dell’età del bronzo, duemila anni prima dell’era cristiana. L’espansione celtica, l’alba del pensiero greco, l’ascesa dell’imperium romano, la renovatio imperii carolingia e germanica, il ritorno alle fonti perenni del genio antico durante il “Rinascimento”, il risveglio del senso di identità dei popoli europei a metà del XIX secolo: tutti questi fenomeni, apparentemente diversi, sono in realtà l’espressione polifonica di uno stesso genio europeo, a cui danno voce diversi popoli popoli provenienti dallo stesso crogiolo, attraverso forme diverse e sempre rinnovate, tanto in campo politico, filosofico e artistico che in campo scientifico e tecnologico. Il cataclisma del “secolo del 14” ha scosso però questo edificio di civiltà. Le due guerre mondiali, oltre alle immense distruzioni e perdite che hanno causato, hanno portato gli europei a dubitare pericolosamente di se stessi. I nostri popoli, spesso accecati da ideologie che cercano di fare tabula rasa del passato in nome di un presunto “senso universale della storia”, devono ora uscire dalla passività in cui li ha fatti sprofondare il materialismo consumistico degli ultimi decenni.
Perché non siamo solo eredi: la nostra eredità ci chiama ad una responsabilità! Ci chiama ora a un impegno totale, ad affrontare con chiarezza e determinazione le sfide del nostro tempo. La posta in gioco è colossale: i popoli europei devono scegliere tra la loro cancellazione definitiva e la volontà di compiere il loro destino storico, continuando ad affermare liberamente la propria identità e la propria sovranità sull’area continentale in cui il loro genio affonda le sue radici da più di cinquemila anni. In questo contesto, ognuno di noi può scegliere di arrendersi, di cercare di conservare timidamente un tiepido e più o meno comodo compromesso, o al contrario rimanere attivamente fedele a “ciò che siamo”, in tutti gli ambiti dell’esistenza, per “vivere da europei”. Questa scelta e questo impegno determineranno in che tipo di Europa vivranno i nostri figli.
Questo è l’appello che lanciamo: l’Europa non è solo il fondamento delle nostre patrie, la “terra dei nostri padri”; deve anche diventare, secondo le parole di Nietzsche, la “terra dei nostri figli”. L’Europa è insieme mito e destino, memoria delle nostre origini e volontà sempre rinnovata di riconquistare la nostra grandezza originaria. È il luogo in cui il genio dei popoli europei ha costruito i megaliti di Stonehenge, le colonne del Partenone, le navate delle cattedrali, ha concepito i canti omerici, la musica polifonica, la fisica quantistica e il razzo Ariane. In tutta l’Europa sta nascendo una nuova generazione, consapevole delle proprie radici, della propria identità e della propria appartenenza a una civiltà comune. Di fronte a delle sfide senza precedenti, oggi spetta a lei intraprendere una vera e propria “rivoluzione conservatrice”, destinata a liberare le menti dalle catene ideologiche. Questa è la via della “grande rinascita” che porterà i popoli europei a riconquistare insieme il pieno controllo del loro spazio geopolitico. L’Europa ha il gusto della potenza ritrovata, dell’orgoglio dei popoli e delle nazioni; un orgoglio sottoposto solo alla consapevolezza di servire un interesse superiore, quello della nostra civiltà”.
Qualcosa si sta muovendo: spetta a noi contribuire a sostenerlo.