La Redazione di Identitario.org ringrazia La Verità per la concessione dell’articolo.
Un saggio appena uscito fa il punto su una delle più cruciali e meno affrontate delle emergenze: quella relativa all’estinzione fisica e al declino spirituale del nostro popolo.
L’ultimo, inquietante quanto drammaticamente «telefonato», allarme demografico è arrivato qualche giorno fa dall’Istat. Secondo gli indicatori demografici dell’anno 2023 pubblicati dall’istituto di statistica, i nati residenti in Italia sono 379.000, con un tasso di natalità pari al 6,4 per mille (era 6,7 per mille nel 2022). La diminuzione delle nascite rispetto al 2022 è di 14.000 unità (-3,6%). Dal 2008, ultimo anno in cui si è assistito in Italia a un aumento delle nascite, il calo è di 197.000 unità (-34,2%). Il numero medio di figli per donna scende così da 1,24 nel 2022 a 1,20 nel 2023, avvicinandosi di molto al minimo storico di 1,19 figli registrato nel lontano 1995. Nel resto d’Europa le cose vanno da qualche parte un po’ meglio, ma visti dalla giusta distanza, i dati restano preoccupanti ovunque: c’è una parte di umanità che ha smesso di perpetuare se stessa. E, se si incrociano questi dati con quelli sull’immigrazione, il quadro appare chiarissimo.
A questo cruciale argomento è dedicato il saggio La scomparsa dei popoli europei. Denatalità, immigrazione, declino, di Augusto Priore, appena edito da Passaggio al bosco. Il saggio, zeppo di tabelle, grafici, numeri, statistiche, ha il pregio di guardare con franchezza in faccia alla realtà: «Per garantire il rimpiazzo generazionale una donna deve avere una media di 2,1 figli. Tale valore deve essere conservato nel lungo periodo. Quando il tasso di fecondità scende sotto il 2,1 per lungo tempo la popolazione –in assenza di migrazioni- invecchia e diminuisce. Un numero medio di figli per donna costantemente basso (che si avvicina a 1) porta a invecchiamento e spopolamento più rapidamente (una popolazione con un tasso di fecondità di 1,72 invecchia più lentamente di una popolazione con un tasso di fecondità di 1,24)». Se si confrontano tali tassi, nudi e crudi, con le cifre più aggiornate della natalità italiana (vedi sopra) o europea, il quadro è presto definito. Del resto in Italia l’ultimo anno in cui abbiamo raggiunto un tasso di fecondità pari a 2,1 è stato il 1976.
Perché si smette di fare figli? La risposta alla domanda non è univoca. Certo, per quel che riguarda l’Italia e l’Europa, ci sono molte risposte di taglio politico e culturale: il poco sostegno alle famiglie, il caro vita che strangola le suddette, una generale mentalità individualista, edonista, etc. Tutto questo è vero, ma non esaurisce la questione. Come nota giustamente l’autore, «la Russia non è guidata da un’élite progressista. Tra alti e bassi è riuscita a mantenere un numero medio di figli per donna intorno al 2 fino al 1989; caduta l’Urss, il tasso di fecondità totale è sceso fino a stabilizzarsi intorno all’1,5 odierno, lo stesso numero medio di figli per donna registrato nel resto dell’Europa». Allo stesso modo, «la Cina, che come la Russia non è guidata da una élite progressista, registra un tasso di fecondità di 1,28 (2020), più basso della media europea».
A ben vedere, su scala globale la popolazione mondiale ancora cresce, ma il tasso di incremento cala dappertutto. Insomma, a livello generale di umanità si cresce ancora, ma a velocità sempre più lenta. Entro il 2050 è probabile che la frenata demografica sarà avvertita bruscamente in tutto il pianeta. Il punto è che tale fenomeno verrà vissuto con intensità quantitativa e sarà affrontato con strumenti culturali qualitativi molto diversi nelle varie macroaree. Detto in termini più semplici, è vero che entro qualche decennio pure l’Africa smetterà di crescere, l’importante è non essere già estinti per quel momento.
Scrive Stefano Vaj nella prefazione al libro:
«Se consideriamo l’Europa non come una casuale configurazione tettonica di pianure, laghi e montagne, ma come un insieme di popoli, la manifestazione concreta di tale decadenza in termini di conseguenze è anche e soprattutto la minaccia di estinzione che incombe sui popoli che la compongono, estinzione che ha un immediato significato demografico e biologico, come per qualsiasi popolazione di qualsiasi specie vivente. A sua volta, il suddetto declino demografico e biologico ha disgraziatamente effetti di retroazione positiva, cioè di rinforzo, sulle cause di cui si diceva, in un circolo vizioso che non ha ovviamente vie d’uscita all’interno del quadro “umanista” della narrativa occidentale dominante».
Se ogni pur blanda misura di sostegno demografico e di aiuto alle famiglie va certamente salutato come un passettino nella direzione giusta, resta il fatto che difficilmente si potrà mettere mano al problema restando nel quadro dei presenti valori dominanti. Ma, per il momento, ogni boccata d’ossigeno demografica è benvenuta.