Yukio Mishima, mito e icona della Destra

Gen 14, 2024

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In più occasioni, Marcello Veneziani, in articoli e saggi, ha ribadito una tendenziale differenza tra la cultura militante di Sinistra e quella di Destra. Il progressismo ha una visione “progressiva”, evolutiva, della storia e quindi tende a vedere il futuro come il “mondo ideale” al quale occorre anelare, viceversa, la Destra ha un rimpianto per un glorioso passato che spera di recuperare e tramandare, nel tempo, con una visione “circolare” della Storia.

In Giambattista Vico, troviamo probabilmente la forma più alta di questo pensiero, in quanto, quel “passato” non torna “identico” ma si ripropone rivisitato in una forma nuova (a tal proposito vi rimandiamo a “Vico dei miracoli”, un testo del grande filosofo curato per l’appunto da Veneziani, uscito nel 2023 per Rizzoli). Più in generale, il progressismo occidentale ha vissuto (e tutt’ora vive), un senso di insoddisfazione per i luoghi in cui viviamo, un risentimento per l’Occidente (Oikofobia, la definiva il compianto filosofo conservatore britannico, Roger Scruton), tendendo ad un esasperato “esotismo”. Fallendo in Occidente, il marxismo-leninismo (e la sua discendenza radical-chic), l’Internazionale progressista ha coltivato i miti esotici, di Mao, di Castro e più di ogni, del Che Guevara. Il Che è diventato l’emblema di quello che la rivoluzione comunista “sarebbe potuta essere; il Conservatorismo (ma non tutti a Destra si compiacciono di questo termine, quindi lo utilizziamo in senso semplicistico), ha sempre teso invece a non sentirsi a suo agio, non nel suo luogo (non si spiegherebbe altrimenti l’amor Patrio, il sentimento nazionale, il legame con le tradizioni, che non possono non essere nazionali e locali), bensì, con il proprio tempo.

Che fine ha fatto la cultura di destra? - Marcello Veneziani

Il Conservatorismo (anche nella variante che io prediligo, quello “rivoluzionario”), non contesta il proprio luogo (genericamente, l’Occidente), ma ha la sensazione di vivere in un tempo che non è il suo, dove non c’è spazio per valori ed eroismi. Intendiamoci, non che la Destra difenda o diffonda l’Occidente in modo acritico, anzi, è ben consapevole del suo processo di declino, ma non è così infantile nel ritenere che per guarire l’Occidente dal suo “nihilismo” di massa, occorra “importare” culture e modelli “altri”. Anzi, occorre ben comprendere che il fronte progressista, in tutte le sue declinazioni, agisce in due direzioni: da una parte demolisce i valori storicamente occidentali, dall’altro “importa” quelli di altri popoli, altre etnie, altre culture, altre religioni, creando un caos che ha come obiettivo quello di far implodere l’Occidente, e far trionfare, con diversa strategia, un post-marxismo “di ritorno”. A questa strategia, la Destra non può reagire diversamente se non con un processo inverso: difendere – “conservare” – quello che ancora è valido della propria civiltà, restaurare ciò che è stato rimosso ed è necessario, e rivoluzionare, cambiare, rimuovendo quegli ostacoli che impediscono la possibilità, necessità di una Nuova Tradizione. Non è guardando ad altri modelli non occidentali da “importare” che possiamo sperare di “risanare” un Occidente malato. Ciò non significa che la Destra (in questo caso ci riferiamo principalmente a quella culturale e metapolitica italiana) debba chiudersi a riccio, su un autarchismo culturale di matrice esclusivamente nazionale. Sarebbe un errore.

La Rivoluzione conservatrice – come quella progressista – non è un’esclusiva italiana, ma deve avere un respiro internazionale. In primo luogo dobbiamo chiederci se Destra e fascismo coincidono o divergono. La mia risposta è che sono vere entrambe le affermazioni. Il fascismo è stato “anche di Destra”, ma non esclusivamente. E non tutte le destre sono ovviamente fasciste. Quando si parla perciò di cultura di Destra, è necessario avere un atteggiamento “inclusivo” (per usare un termine oggi abusato), ovvero, fascismo, nazionalismo, conservatorismo, tradizionalismo, cattolicesimo, laici, pagani; sono tutte, a buon titolo, determinazioni di quel ampio ventaglio di sfumature di cultura militante di Destra. Operare ad azioni che sabotino uno o più di questi campi, per favorirne altri, è un’operazione autolesionistica, oltre ad essere storicamente e intellettualmente inesatta e disonesta. Lo stesso discorso vale quando si discute di intellettuali di Destra nazionali o internazionali. Le simpatie di Walt Disney per il fascismo sono bene note, anche se possono disturbare qualche negazionista, ma non stupisce che Disney avesse in mente un fascismo profondamente diverso da quello italiano, e che al momento del conflitto della Seconda Guerra Mondiale, egli, come cittadino americano, non potesse non sostenere la causa della sua Patria, sebbene, immaginiamo, rammaricato che i due Paesi non fossero alleati, anziché nemici (prima della guerra, non erano pochi gli americani che guardavano con ammirazione all’Italia mussoliniana).

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Se discutiamo quindi di un Pantheon della “Cultura di Destra” di respiro “internazionale”, il numero di artisti e intellettuali di Destra, in tutte le sue derivazioni, diventa molto vasto, e persino più ricco di quello della Sinistra (con buona pace di Andrea Scanzi, che ha sproloquiato sulla mancanza di intellettuali di Destra da almeno 300 anni). Tra questi, mi si permetta di approfondire in questo mio articolo, il personaggio di Yukio Mishima, scrittore, drammaturgo, saggista, poeta, regista e attore giapponese, una vera icona della cultura di Destra. L’incontro – avvenuto molti anni fa – con le sue opere, è stato per me un’illuminazione. In vita era accusato dal culturame progressista di essere un fascista. Alberto Moravia che lo conobbe, lo definì un “Conservatore decadente”. Mishima rigettava l’etichetta di fascismo, in quanto il suo patriottismo (titolo di un suo racconto e di un film da lui diretto e interpretato), si rifaceva ai codici d’onore samurai, che attingevano ad un passato precedente al fascismo nipponico. Certamente però fu nazionalista, e il suo suicidio rituale compiendo su sé stesso il suppuku come atto di ribellione verso il colonialismo occidentale e l’americanizzazione del Giappone e la decadenza della sua Patria, ne conferma il suo ideale. Un atto estremo che molti anni dopo sarà ripetuto per ragioni analoghe da Dominique Venner.

Japan's most famous writer committed suicide after a failed coup attempt –  now, new photos add more layers to the haunting act

Se poi tra i tanti bellissimi romanzi da lui scritti (forse il più grande scrittore nipponico), ti imbatti nel saggio “Taiyō to tetsu” (Sole e acciaio) pubblicato per la prima volta nel 1970, allora la tua vita cambia per sempre. Comunque Mishima si autodefinisse, e comunque lo voglia considerare il mondo, un’opera come “Sole e acciaio” non può non piacere a un fascista, o ad un suo erede. Ad esempio: non importa che il regista Luchino Visconti fosse dichiaratamente comunista; la trasposizione del Premio Strega “Il Gattopardo” del Principe Giuseppe Tomasi di Lampedusa, resta un film fedele allo spirito del romanzo, quindi un film che trasmette valori conservatori e reazionari, al di là delle reali intenzioni di Visconti (al punto che il PCI di Togliatti ne rimase perplesso). Allo stesso modo, “Sole e acciaio” è una delle opere più belle che potessero essere realizzate, e si tratta di un capolavoro indiscutibile che dovrebbe essere apprezzato da tutti, a prescindere dall’appartenenza ideale. Il saggio è molto complesso, ma per chi non è a digiuno in materia, è comprensibile. È scritto in forma lirica, quasi fosse un romanzo. Nel libro, Mishima affronta il “suo” cambiamento, una sorta di “pellegrinaggio interiore”, una trasformazione spirituale dello scrittore, che avverte i limiti della scrittura per la scrittura, i limiti di un arido intellettualismo chiuso in sé stesso, autocelebrativo, e sente il bisogno dell’azione, e così come per anni egli ricamava con le parole, adesso Mishima “ricama” il proprio corpo con l’esercizio fisico, il culturismo, lo sport, il kendō, il bushido.

Yukio Mishima and Tatsumi Hijikata: The Way of the Sword

Mishima scolpisce il proprio corpo, lo “definisce”, fa del proprio corpo “un’opera d’arte”, applicando l’arte delle parole, alla materialità dei muscoli e del dinamismo fisico. Andando più in profondità potremmo dire che in Mishima avviene un processo in cui il corpo si fa a immagine e somiglianza dello spirito: spiritualizza il corpo, rendendolo “ideale”, vincendo il “reale” e i limiti materialistici. Ed è proprio una ribellione totale al materialismo, l’azione artistica, saggistica e sportiva che Mishima opera su sé stesso e che poi lo spingerà pochi anni dopo al suicidio simbolico e reale. Non sappiamo se Mishima avesse letto i testi filosofici di Giovanni Gentile sul’”attualismo”, ma di fatto è questo che Mishima opera su se stesso: il suo Super-Io, domina l’Io. C’è un “devo” che si impone al se stesso e lo compie. Certo Mishima aveva letto Gabriele d’Annunzio, e lo ammirava, traendone vaghe ispirazioni (si pensi alla comune passione tra il Vate e l’ultimo samurai, per l’immagine di San Sebastiano), e questo chiude il cerchio sui comuni ideali nazionalistici e patriottici, oltre alle aspirazioni estetiche e decadentiste. Un altro aspetto – certamente non trascurabile – di Mishima, era la sua presunta omosessualità. Mishima era sposato e ha avuto eredi, ma sembra innegabile che Mishima fosse prevalentemente omosessuale, e il tema è spesso trattato dalle sue opere letterarie. La stessa ossessione di far del proprio corpo un opera d’arte, oltre ad un’evidente predilezione per l’estetismo, il masochismo, e una lugubre ossessione per la morte imbevuta di cultura decadente, ne traccia una identità sessuale inquieta e incerta, che è parte del fascino del personaggio e delle sue opere. Ma è anche un’occasione per chiudere definitivamente il discorso su “Destra = omofobia”.

In ricordo di Yukio Mishima | Artribune

Un certo cameratismo maschile, tipico di certe frange anche della Destra radicale, sono spesso sublimazioni ed esternazioni estetiche di forme omoerotica, non certo presenti solo in Mishima. Si parla in questo caso di “cultura omosessuale di Destra”. Ne sono esempi sublimi, l’anarco-individualista Adolf Brand – omosessuale “virile” – e il suo attivismo per la rivista di “Der Eigene”; sia Brand che “Der Eigene”, difficilmente entreranno nelle manifestazioni e discussioni della cultura “Fucsia”, in quanto, affermavano tesi diametralmente opposte a quelle della propaganda gender odierna, ovvero, contestavano la tesi che l’omosessualità fosse un “terzo sesso”, e ancor più interessante sottolineare che Brand e “Der Eigene” erano schierati su posizioni conservatrici, nazionalistiche e vagamente razziste. Ed esattamente come Mishima che era, sì, omosessuale, ma non era affatto “gay” ed era nazional-rivoluzionario, sono ovviamente personaggi troppo scomodi per il mondo Lgbtq+. Dire che ci sono anche omosessuali di Destra è superfluo, e la Destra di per sé non è omofoba. Qui, la Destra, non contesta l’omosessualità in sé, quanto, l’omogenitorialità e le esibizioni turpi e spesso sacrileghe, che sarebbero contestate dalla Destra anche se a compierle fossero eterosessuali.

Jacques Marie Mage — WHEN SILENCE IS PROLONGED

Per chi non fosse avvezzo al Mito di Yukio Mishima, o comunque volesse approfondire, consiglio vivamente un breve saggio stupendo pubblicato da Passaggio al Bosco che io ho letto recentemente con grande piacere: trattasi di “Yukio Mishima, Conservare il fuoco” di Michele Lamanna pubblicato nel 2022. Il saggio che comprende vari interventi ed arricchito da immagini e scritti originali centra il bersaglio di offrire un ritratto nitido e documentato del grande scrittore nipponico; il profilo biografico alle grandi doti letterarie; dal tema dell’eroismo al concetto della dualità; dalla visione spirituale dell’esistenza al confronto con la modernità mercantile; dalla pratica marziale al rapporto tra anima e corpo; dall’esempio degli antenati alla volontà di edificare un Giappone sovrano, passando per il patriottismo, per l’estetica artistica, per il senso del vuoto e per l’approccio alla morte. La parabola dell’ultimo samurai – plasticamente incarnata dall’epilogo sacrificale del suo seppuku – continua a rammentarci l’esempio supremo dell’esteta guerriero, nel solco di una Tradizione che non è banale adorazione delle ceneri, ma perenne e disinteressata custodia del fuoco.

Parlavo all’inizio dell’articolo di un’ossessione del progressismo per “l’esotismo”. Per il conservatorismo e il “nazionali-rivoluzionarismo”, è necessario parlare di “culto”, di “passione” per icone che pur appartenendo ad altre nazioni, culture, religioni, rientrano a pieno titolo nel campo della “Cultura di Destra”. Personalmente definirei Yukio Mishima, il “Che Guevara nero”; l’ultimo samurai giapponese, è per il fascismo e il per il post-fascismo quello che il “Che” ha rappresentato per il comunismo; un’icona “esotica”, di un nazional-rivoluzionario, che però – a differenza del Che – Mishima non ha mai ucciso nessuno, se non sé stesso. Curioso che l’industria del capitalismo americano e globale abbia trasformato l’icona di un rivoluzionario comunista come il Che Guevara in una immagine da immortalare ovunque, come nelle T-shirt, con le quali il turbocapitalismo ha abbondantemente lucrato, rovesciando il comunista in strumento consumistico, mentre una cosa analoga non è avvenuta per un personaggio iconico come Yukio Mishima. Segno che i conti tra rossi e neri non sono ancora pari.