Contrariamente a quanto affermato da Marx, Werner Sombart – nel saggio L’avvenire del capitalismo (1932) – sostiene che «l’economia non è il nostro destino»; essa non è un processo naturale, ma una creazione culturale dell’uomo e in quanto tale: «il futuro assetto dell’economia è quindi un problema non di scienza ma di volontà». Per Sombart il libero mercato si fonda su di un equivoco del XVIII secolo: gli intellettuali dell’epoca subirono il fascino delle teorie di Isaac Newton, secondo cui gli astri si mantengono in equilibrio per la forza di attrazione e di repulsione. Queste due forze, consentono agli astri di percorrere in armonia le loro orbite. Trasferendo questi concetti alla società umana «si collegò quest’ultima con l’idea metafisica dell’armonia prestabilita, in virtù della quale anche la società umana, come i corpi celesti, sarebbe stata inserita in un ordine posto da Dio, i cui desideri infiniti avrebbero previsto la massima felicità e il massimo benessere sia per gli individui che per la collettività».
Questo modo di concepire l’economia rifletteva l’interesse dei sostenitori del capitalismo: l’idea secondo cui tutto debba andare per il meglio, lasciando piena libertà alle singole economie, non ha dunque nessun fondamento. Per l’economista tedesco, il libero mercato è paragonabile all’abolizione delle regole per la circolazione dei veicoli: su larga scala non può funzionare. L’economia privata è cresciuta al punto da interessare centinaia di migliaia di individui, sicché – per scongiurare il fallimento di una banca o di una grande azienda – lo Stato, suo malgrado, è costretto a intervenire.
Sombart – al libero mercato – contrappone l’«economia programmata», che non vuol dire programmare «ogni cucchiaiata di minestra che mangiamo», giacché il programma «non significa in alcun caso controllo, regolamentazione o vincolo. Una piena libertà d’azione non risulta affatto incompatibile con la programmazione: in ogni programmazione totale – pertanto – rimarranno sufficienti zone di indifferenza entro le quali ciascuno potrà fare e consentire quel che crede».
L’economia programmata non si traduce direttamente in comunismo; al contrario, la programmazione dell’economia prevede la coesistenza e l’interazione di una pluralità di forme e sistemi economici: coesisteranno economia privata, quella di mercato, l’economia che provvede ai bisogni collettivi, l’economia dei ceti rurali, dei proprietari, dei mestieri; ci sarà economia sociale, statale e comunale. Ci sarà posto anche per l’impresa capitalistica. «Assai sciocco si dimostrerebbe chi, posseduto da ostinazione dottrinaria, intendesse privarsi anche di una sola di queste molteplici forme organizzative».
Lo Stato – oltre a razionalizzare l’economia, in senso corporativo e non competitivo – deve agire sul sistema educativo: non deve essere promosso l’individualismo.
Sombart preannuncia l’ascesa delle economie arretrate che l’Europa occidentale stava sfruttando: «non appena siano nelle condizioni di permetterselo, i popoli extraeuropei ambiscono ad auto-finanziarsi. Essi non avranno quindi più bisogno di impiegare i nostri capitali: al più, richiederanno in certe occasioni di impiegare i nostri “cervelli”». Il livello di scambio tra l’Europa occidentale e gli altri Paesi del mondo si abbasserà quando questi ultimi si avvieranno verso l’industrializzazione e le importazioni dall’Europa diminuiranno.
«Va poi aggiunto che i Paesi agricoli han potuto procuraci per cent’anni prodotti del suolo a prezzo basso, solo perché hanno praticato colture con rese altissime e perché le loro popolazioni rurali non hanno mangiato a sazietà. Per l’avvenire però non possiamo più fare assegnamento su questi fattori. I popoli extraeuropei si sono emancipati in ogni senso dal sistema di sfruttamento euro-occidentale».
Che ne sarà dei Paesi in cui il capitalismo è radicato da tempo? Le loro economie devono raccogliersi in se stesse. Tuttavia, l’autarchia non significa autosufficienza al 100% (è un obiettivo irraggiungibile). Per razionalizzare le relazioni internazionali occorrerà superare il libero scambio in favore di unioni doganali e dazi preferenziali. L’economia tedesca dovrà guardare verso il sud-est dell’Europa.
Nel saggio seguono considerazioni che sono figlie del tempo: Sombart sosteneva che, per raggiungere la massima indipendenza economica (autarchia nazionale), occorreva intraprendere un percorso di ruralizzazione, passando dal 30% della popolazione rurale (1932) al 42,5% (la percentuale del 1882), questo perché la Germania era passata da Paese esportatore a Paese importatore.
Ricollegandoci alle parole di apertura: l’economia non è destino, ma volontà.
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