Visioni americane, crisi occidentali, opportunità europee

Feb 6, 2024

Tempo di lettura: 8 min.

Il 2024 sarà un anno importante per quanto riguarda gli equilibri internazionali. Soprattutto, sarà un anno decisivo per l’Occidente, ormai nel pieno della sua crisi esistenziale. In particolare, le presidenziali USA porteranno probabilmente gli Stati Uniti e l’Europa ad interrogarsi definitivamente sulla propria natura e sul proprio futuro. Eravamo rimasti ad un incredibile assalto a Capitol Hill e alla violazione di ogni sacralità dei luoghi della politica e della democrazia americana universalmente intesa: sullo sfondo, la figura di Donald Trump che esce di scena, di spalle, convinto dell’intervento di una lunga mano sulle elezioni, ma costretto a fare un passo indietro di fronte al disastro incombente causato da bellicose milizie e sostenitori stanchi di essere ai margini di una narrazione americana illusoria e parziale.

4 dead after rioters stormed the halls of Congress to block Biden's win |  CNN Politics

Nel settembre del 2023 sono state emesse le sentenze più importanti per i fatti di Capitol Hill. Enrique Tarrio, già leader carismatico dei Proud Boys, agitatore politico radicale e fanatico sostenitore di Trump, subisce una condanna durissima a 22 anni di carcere. Pur non essendo presente all’assalto di Capitol Hill è stato riconosciuto come mente organizzativa e sovversiva dietro agli eventi. Un uomo piegato e pentito, che considera quella vicenda una vergogna assoluta e che sognava un ritiro a vita privata lontano dalla politica di strada, paga quindi molto caro la sua militanza. Non è il solo. Altre condanne, per i membri di Proud Boys e Oath Keepers, sono state emesse per un totale di 400 anni di carcere. L’inevitabile scure della giustizia di fronte a quello che è stato visto come un tentativo di sovversione dell’ordine democratico, quindi, si abbatte sulle milizie che hanno sostenuto fino all’ultimo la lotta a quella che venne definita “l’elezione rubata” per il secondo mandato di Trump.

Canadian chapter of the Proud Boys, labeled terrorist group, says it is  'officially dissolved' - The Washington Post

D’altra parte, la vera colpa da espiare non è solo la formale violazione dei luoghi sacri alla democrazia e il tentativo di interrompere il meccanismo della stessa, quanto aver infranto ciò che di più caro e solido nella democrazia americana – ovvero la pacifica trasmissione del potere – era stato identificato dai cittadini degli States. Il rispetto per l’ordine democratico, del resto, è una costante della storia degli Stati Uniti e vede molteplici esempi di scontri finiti con l’inchino rispettoso della volontà popolare. Ultimo e più importante esempio è il discorso del duro e puro McCain all’indomani dell’elezione di Obama. Queste condanne – di fatto – sono solo il preludio di una lotta senza quartiere, anche legale dove possibile, ad un eventuale e senza dubbio probabile secondo mandato di Trump, in un momento di vera crisi di coscienza americana, dove il fantasma della guerra civile è presente seppur mai esplicitato.

Il veloce mutamento dell’ordine mondiale a cui abbiamo assistito in questi ultimi due anni è stato una durissima prova non solo alla cosiddetta egemonia americana resasi debole nel tempo, anche (ma non solo) a causa di errori strategici, ma è stata anche una doccia fredda ai sogni di pace garantiti dalla sola esistenza della NATO, trainata dall’inerzia americana del trionfo post bellico. Pochi ricordano come Trump – durante la sua presidenza – avesse adombrato l’idea di abbandonare la NATO a causa soprattutto della promessa mai mantenuta degli stati Europei di equilibrare la spesa militare, ovvero il famoso 2% mai raggiunto da nessun Paese. Certamente, però, la ragione profonda è un’altra: l’abbandono del Vecchio Continente a favore di una politica interna ed estera di natura originaria e preglobalista.

La Nato apre le porte all'Ucraina (ma non come avrebbe voluto Zelensky) -  Linkiesta.it

La protezione esclusiva dei propri confini, espressa soprattutto nel tema messicano, è tornata ad essere un concetto forte nei comizi repubblicani. Trump ha fortemente espresso la volontà di proteggere gli interessi interni, che oramai non corrisponderebbero più agli interessi lontani della vecchia Europa. Una seconda elezione di Trump porterebbe alle estreme conseguenze le volontà politiche del tycoon, tanto da rischiare di far emergere dalle polveri la brace mai spenta della guerra civile negli Stati Uniti.  Non è poi così fantasiosa la possibilità di un precipitare degli eventi in un Paese dalle due anime radicalmente contrastanti e in preda a forti interrogativi sul futuro, dove la pace interna è sempre stata imposta dalla presenza più capillare possibile dello Stato centrale, dedito ad una narrazione ad uso esterno sempre parziale e costruita in modo spendibile. Qualsiasi ulteriore impedimento – più o meno artificioso – del compimento di una volontà popolare fondata sui princìpi originari degli Stati Uniti, dove sussistono correnti politiche dedite alla deviazione del potere, limitazione della libertà di iniziativa e libertà personale (vedi lotta alle armi), sarebbero a questo punto una scintilla che potenzialmente potrebbe portare al collasso. Non a caso, miopi tentativi legali di tenere fuori Trump dalla corsa sono tuttora in atto, anche se con scarso successo e sono per lo più destinati a confermare l’idea di uno Stato centrale oppressore ed antidemocratico nel vasto elettorato trumpiano. Se per i democratici l’unico vero nome è quello dell’anziano e poco convincente Biden, per i repubblicani il panorama è certamente più complesso. Da una parte corre Ron DeSantis, già governatore della Florida, impegnato in una dura lotta senza esclusione di colpi con la multinazionale Disney, tanto da tentare di revocare lo statuto speciale giuridico di cui gode l’enorme enclave Disneyland. Una lotta che vede la cultura Woke sullo sfondo come vero nemico e che non sta portando fortuna al candidato principale sfidante di Trump, che tra parentesi si schiera a difesa della Disney a nome della libertà di impresa. La priorità di De Santis in fatto di politica estera è definita dalle intenzioni, una volta eletto, di compiere una forte azione militare unilaterale in Messico per fronteggiare i Narcos. Azione militare unilaterale che, ovviamente, rischierebbe di trasformarsi in una guerra diretta con il Messico stesso.

Trump unloads on DeSantis after midterms

L’outsider in questa corsa alle presidenziali è Nikki Haley, di origini Indiane (nome da nubile Nimrata Randhawa) già governatrice del South Carolina e ambasciatrice ONU proprio sotto la presidenza Trump, che si candida ad essere l’alternativa presentabile, il che – tradotto in soldoni – significa alternativa accettabile a sinistra. Una campagna elettorale che sta portando finanziamenti anche da colossi di Wall Street precedentemente vicini ai democratici e disposti a finanziare una repubblicana, pur di non vedere Trump alla guida degli USA. Il suo distinguo dalla visione politica di Trump è presente soprattutto in politica estera, dove la si vede più vicina a quella versione degli Stati Uniti riconoscibile nel provocatorio concetto di “esportatori di democrazia”. Qualcuno ha pensato di appellarsi alla Haley con la poco simpatica espressione “una Dick Cheney con i tacchi”. La sua effettiva ascesa, seppur reale nei consensi e nella presenza nel dibattito politico, rimane una speculazione giornalistica e un pio desiderio, dato che la presa di Trump nell’elettorato repubblicano – al momento – sembra inscalfibile. Infatti, i recenti causcus (qualcosa di più delle comuni primarie) vedono non sono trionfare Trump, ma mettere la Haley dietro lo “sfavorito” DeSantis. Questo dimostra ancora una volta la scarsa lungimiranza di un certo giornalismo riguardo i temi americani. Giornalismo che si trova a fare il tifo, più che approfondire tematiche reali.

Il vero bastone tra le ruote di Trump sono i clamorosi processi dallo straordinario tempismo che saranno un elemento di disturbo alla corsa per la Casa Bianca, ma anche una conferma di tentativo di manipolazione per l’elettorato repubblicano. Facendo esercizio di preveggenza, di fronte agli eventi in corso ed eventualmente di fronte all’eventualità di avere gli Stati Uniti defilati se non addirittura fuori dalla NATO (anche se prima delle elezioni si sta cercando di blindare l’adesione alla NATO di fatto sottoponendo ogni ipotesi di fuoriuscita al congresso), cosa potrebbe o dovrebbe fare l’Europa? Nello scenario peggiore ci si dovrebbe velocemente rendere conto che tutto quello che si è costruito fino ad ora attorno all’Unione Europea, si regge su di un fragile guscio ideologico, paradossalmente privo di idea sostanziale e tanto meno orizzonti storici. Un concetto burocratico non aderente ad un concetto geopolitico affine, privo di una visione politica coesa e autonoma. Un sistema immobile, incapace di prendere decisioni forti che possano fare gli interessi dei popoli che storicamente si possono riconoscere nella Civiltà e nel concetto dell’Europa. Ci si dovrebbe rendere conto velocemente che la sovranità è stata sublimata nella negoziazione dei valori fondativi dell’occidente stesso, in una soluzione volatile di mercato ed opportunità politiche legate esclusivamente alla trazione americana di un blocco militare che – fino a qualche anno fa – era considerato in stato di morte celebrale, come ben rappresentato da una espressione calzante di Macron. Ci ha pensato la Russia a risvegliare la NATO, ancora confusa sulla vera direzione da prendere, ora che è caduta dal letto.

Defender Europa. In questi giorni 30 mila soldati dagli USA nel più grande  sbarco da mezzo secolo ( senza mascherina ) Che succede? - Positanonews

Non è tanto il riarmo che dovrebbe essere prioritario, soprattutto per le nazioni Europee che si sono illuse di vivere un eterno presente di pace senza necessità di deterrenza appoggiati alla statura americana, quanto la postura politica di fronte al riemergere di contrapposizioni tra blocchi. L’oggettiva propensione all’espansione acritica della NATO è una problematica che deve essere argomento di riflessione profondo per una stabilità anche europea. Nell’ottica di future trattative, dunque, la neutralità di una fascia di paesi potrebbe essere una opportunità di pace e stabilità, seppur fatta di separazioni di blocchi. Un ritorno ad una contrapposizione economica e culturale tra occidente e sud-oriente (BRICS?) è un destino al quale l’Europa dovrebbe pensare, a prescindere dalle vicissitudini americane. Ma questa dovrebbe essere una questione soprattutto morale, prima che economica. E qui nasce il vero problema che riguarda soprattutto l’area identitaria… La naturale e spontanea opposizione alla NATO, così come la conoscevamo, non può essere di per sé un argomento sufficiente di discussione: la NATO – purtroppo – è un campo di esistenza oggettivo, nel quale occorre muoversi senza illusioni e oltre gli slogan, se si vuole costruire una visione credibile che tenga conto della realtà, anche in virtù di un futuro scenario incentrato su una maggiore indipendenza. Nel tempo è stato facile lasciarsi sedurre dalle posture ieratiche di altri mondi, soprattutto in confronto ad una decadenza occidentale, palese in termini di valori e costumi annessi. Quando era una questione tutto sommato innocua, fatta di validi contrappesi culturali, agli smarrimenti occidentali era accettabile e di facile uso e consumo. Eppure, la guerra ha mostrato come in fondo abbiamo vissuto una sorta di illusione negli ultimi trent’anni. Lo spettro di un certo sovietismo imperialista che punisce chi invoca pace, arresta poeti e sogna in prima serata televisiva gli effetti di eventuali attacchi nucleari all’occidente – a prescindere da ocme la si pensi sul conflitto in atto – non rappresenta attualmente un’area d’influenza sostituibile ad un possibile modello europeo che si incarni in quel faro di civiltà che la sua stessa storia chiama ad essere. L’area identitaria, nel suo complesso, dovrebbe tenerne, anche in termini etici e di dignità morale. Non è certo il pezzo del petrolio e dell’energia la leva di un ragionamento geopolitico di questa dimensione: è necessario superare le dicotomie e i riflessi pavloviani per riacquistare una visione superiore, che ricollochi al posto naturale della storia che è quello di una Europa di nazioni che ritornino sovrane e grandi eticamente, prima ancora che economicamente.

Présentation | Institut Iliade

Eccoci di nuovo da capo, quindi, a ripensare ad una Europa nuova ma nello stesso tempo antica, che necessariamente debba muoversi con gambe proprie sia economicamente ed energeticamente, in termini di difesa e di deterrenza. Potrebbe quindi essere proprio un risultato elettorale di oltreoceano – forse – ad aprire una nuova stagione di consapevolezza europea, forte anche di diversi risultati elettorali quanto meno punitivi di sinistre dissolutive. Sotto questo punto di vista, allora, è auspicabile una postura americana più concentrata sui propri interessi regionali ed eventualmente alla competizione con la Cina, che una trazione americana di una NATO ciecamente ideologica indisponibile a stabilire (ed imporre) una pace necessaria che stabilizzi i blocchi, ma altrettanto disponibile nel trattare l’Europa come un campo di battaglia. Dio ci scampi.