La storia della RSI, si sa, è in parte avvolta dal mistero, in parte cancellata, in parte manipolata dall’antifascismo di mestiere che, specie dagli anni ’60 in poi, tiene in ostaggio la cultura italiana allestendo un teatro di falsità per giustificare la propria visione del mondo e mascherare i propri fallimenti politici, sociali, umani.
Grandi e piccoli episodi avvenuti durante i 600 giorni della Repubblica Sociale Italiana sono ancora avvolti nel mistero, si pensi all’uccisione di Mussolini, alla “scomparsa” del cosiddetto Oro di Dongo, fino ad arrivare ai contatti che, ovunque, si tennero tra tutti i protagonisti di quella tragedia: fascisti, Germanici, Angloamericani e perfino partigiani.
Ovviamente, la scomparsa dei protagonisti e l’assenza di documenti rende ardua ogni speculazione su questi episodi misteriosi, troppo spesso confinati in ricordi personali, in racconti di “chi c’era”, al “sentito dire”. Troppo poco per far cadere il velo di mistero che li circonda, troppo poco per trasformarli in storia. È pur vero che, in assenza di documenti, il ricercatore deve pur tessere la sua tela con quello che ha, saldando il tutto con la sua professionalità ed esperienza e, ovviamente, con la logicità e l’onestà intellettuale (questa sconosciuta ai “professoroni” con stipendio statale italiani).
Un posto particolare tra gli “indagatori”, per esempio, è riservato alla scomparsa dei documenti che Mussolini decise di portare via con sé da Milano quel 25 Aprile 1945, quando si allontanò dalla Capitale della RSI dopo il fallimento delle trattative per un pacifico passaggio di poteri al CLNAI. Andando via da Milano, non solo salvò la città dai combattimenti tra le opposte fazioni, ma umiliò gli antifascisti che stavano già sognando l’insurrezione “liberatrice” (in attesa dei carri armati a stelle e strisce) e, invece, entrarono in azione solo quando in città non c’era più nessuno contro cui insorgere (tenendosi nel contempo ben lontani dalle caserme tedesche e da quella della Decima MAS ancora in armi).
Tra i documenti che il Duce portava con sé, si racconta – e qui il lettore ci perdonerà se entriamo nel “giallo” più che nella storia – vi fosse anche il famoso Carteggio Mussolini-Churchill, carteggio che tanto ha fatto parlare di sé nel corso dei decenni. Ma non solo questo: v’era un carteggio riguardante l’omicidio Matteotti (omicidio preterintenzionale cui il Duce era del tutto estraneo); un altro imbarazzante riguardante l’erede al Trono d’Italia il Principe Umberto di Savoia; ecc. Materiale non solo capace di riscrivere l’intera storia del Ventennio come è stata narrata in questi ultimi decenni, ma soprattutto – all’epoca – valida per salvare il destino d’Italia al tavolo della pace. Di questi documenti poco o nulla è giunto fino a noi, tanto che gli antifascisti ne negano con supponenza e convinzione addirittura l’esistenza. Occupandoci di storia, poco ci interessiamo delle opinioni di chi fa speculazione politica accecato dall’odio e un richiamo a quei documenti ci permette di non chiudere – come vorrebbero i gendarmi della memoria – la discussione su quanto avvenne negli ultimi giorni di vita di Benito Mussolini, sulle dinamiche che portarono l’Italia ad entrare nel Secondo conflitto mondiale, ecc.
Di là del “fronte accademico antifascista”, oggi, non pochi studi hanno gettato nuova luce sui documenti del Duce scomparsi, si pensi solo a quelli di Fabio Andriola o Roberto Festorazzi, tanto per citare quelli che hanno suscitato il nostro interesse e il nostro apprezzamento.
Un articolo comparso su “Il Merlo Giallo” del Gennaio 1949 – quindi, tra i primissimi ad affrontare l’argomento – ci permette di tornare sulla questione dei documenti di Mussolini e su cosa già si diceva nell’immediato dopoguerra.
“[…] Che si poteva leggere – e si leggerà certamente domani – nei documenti di quella borsa e di quelle valige? Per quanto si sa, da informazioni forzatamente sommesse e clandestine, di personalità che erano in grado e avevano il dovere di sapere, si può dire che quei documenti erano tali da mettere l’Italia, alla fine della guerra, in una posizione di maggior rispetto e di minor torto (se non pure di legittima giustificazione, storica e umana) di fronte alle Nazioni cosiddette vincitrici, che quella tal nostra ‘cupidigia di servilismo’ di orlandiana definizione seppe convincerci di chiamar ‘alleati’. Si ricordi con quale precipitazione il signor Churchill, ancor tutto accaldato del whisky della vittoria, corse in quel di Como a dipingere le placide acque e le amene rive del lago. Pare che fosse strozzinescamente ricattatorio il prezzo che dové pagare per riscattare le lettere che egli aveva scritto a Mussolini: lettere indubbiamente importantissime e molto compromettenti per lui (per lui e per l’Inghilterra) se era stato costretto a recarsi sul posto per ritirarle di persona dai suoi ricattatori. Vero è che poi volle anche andare di persona a far la sua compunta offerta floreale al grande Impiccato di Piazzale Loreto. Nel qual gesto non bisogna solo vedere la coccodrillesca compunzione della proverbiale gesuiteria britannica, ma anche l’intimo travaglio dell’uomo che, diretto mandante e primo autore di quell’orrendo massacro, aveva tolto al Morto la sua postuma voce di difesa e di accusa. Ma non solo al Morto, diventato ormai insensibile alle frodi e agli insulti degli uomini; anche ai vivi, soprattutto ai milioni di vivi, che avevano in quella la loro voce di accusa contro Churchill e di difesa dall’Inghilterra, che invece poté poi imporre loro l’infamia di quel diktat con l’articolo 16 e mortificarli fino alla nausea con quel suo gioco di politica senile […]”.
Se i “dipinti comaschi” di Churchill dei primi giorni di Settembre 1945 sono oggi considerati la prova di un interesse dell’ex-Primo Ministro britannico ad entrare in possesso delle lettere scritte negli anni al suo “amico” Mussolini e che, in quelle settimane, “svolazzavano” sul lago, dimenticato è l’omaggio che lo stesso fece al Duce, visitando, insieme alla figlia, il tumulo di terra al Musocco di Milano ove era seppellito.
Sebbene interessantissimo non vogliamo indugiare su questo carteggio, ma su un altro plico che si dice fosse tra i documenti sottratti al Duce negli ultimi giorni di vita. Un plico che conteneva la bozza di un accordo per una pace separata della RSI con gli Alleati, siglato in quello che è passato alla storia come “convegno del Lago d’Iseo”.
Bisogna subito dire che su questo misterioso incontro non esistono documenti, né testimonianze circostanziate, e ciò lo confina subito nel limbo delle fantasie che sono così frequenti quando ci si confronta con la cosiddetta “storia narrata”… a voce, appunto. Tuttavia, fa parte dei tanti misteri che affollano la storia della RSI che non ci pare corretto liquidare come “falso storico”, anche solo per far accapponare la pelle ai gendarmi della memoria e ai professoroni con stipendio statale.
La storia della RSI, come abbiamo più volte affermato, è in parte ancora da scrivere, migliaia sono i fatti dimenticati o cancellati, ancor di più quelli manipolati. Il convegno del Lago d’Iseo, quindi, potrebbe essere tra questi e vogliamo ricordarlo. E se al termine del racconto ne risultasse una storia un po’ troppo debole, ebbene, avremmo scritto solo un bel romanzo. Anche in questo caso, la Repubblica Sociale Italiana avrà fatto scrivere di sé, abbattendo il “Muro di Protezione Antifascista” eretto dai gendarmi della memoria. Non potremmo che essere soddisfatti.
Il Lago d’Iseo è uno dei grandi laghi dell’Italia settentrionale, situato a cavallo delle province di Brescia e di Bergamo. Durante la RSI, a Montecolino, era dislocata una base della Decima MAS e l’unica cosa di importante che avvenne durante il conflitto fu la Strage del Battello “Iseo” del 5 Novembre 1944, quando un’incursione britannica causò la morte di 42 civili in transito. Tutto qui. Terribilmente, ovviamente. Una strage rimasta impunita.
Secondo quanto si narra, proprio a Montecolino – precisamente nel Comune di Provaglio d’Iseo (Brescia), all’estremità Sud-Est del lago – ad una settantina di chilometri (linea d’aria) ad Est di Milano, nella seconda metà del 1944, si sarebbe svolto un importantissimo incontro tra le delegazioni ufficiali dei Paesi belligeranti (RSI, Germania, Gran Bretagna e USA) per sondare la possibilità di una conclusione anticipata della guerra sul fronte italiano.
Che di incontri ve ne siano stati, magari non ad altissimo livello, magari solo a scopo interlocutorio, tra i vari contendenti è assodato. Del resto, proprio da uno di questi, scaturirà l’Operazione “Sunrise” del 29 Aprile 1945 per la resa delle truppe germaniche in Italia senza il consenso di Hitler e di Mussolini.
Anche noi, durante le nostre ricerche sulla storia della RSI sull’Appennino Umbro-Laziale siamo venuti a conoscenza di accordi di non belligeranza siglati tra ribelli e Germanici nella provincia di Rieti, da cui erano esclusi però i fascisti (cfr. P. Cappellari, Rieti repubblicana 1943-1944, Herald Editore, Roma 2015). Così come siamo venuti a conoscenza di accordi per evitare il degenerare della guerra civile tentati dai fascisti repubblicani di Terni con i caporioni del comunismo locale (cfr. P. Cappellari, Terni repubblicana 1943-1944, Herald Editore, Roma 2020). Tutti accordi di cui nessuno aveva mai saputo nulla, gelosamente nascosti dalla locale memorialistica (per non parlare dagli storici).
Certo, un conto è parlare di accordi locali, un altro è l’ipotizzare un incontro ad altissimo livello con finalità a dir poco strabilianti.
Ma andiamo per ordine, riprendendo proprio l’articolo de “Il Merlo Giallo” del Gennaio 1949 che fu uno dei primi – se non il primo – a rendere pubblico quanto avvenuto sul Lago d’Iseo:
“Fra alcuni superstiti del Governo della RSI ed altre eminenti personalità militari e civili che con quel Governo avevano collaborato fino all’Aprile 1945 si parla ancora di un convegno avvenuto subito dopo la presa di Roma, nell’Estate del 1944, sul Lago d’Iseo. Gli Angloamericani, soddisfatti del successo politico ottenuto con la conquista della Capitale italiana e convinti della scarsa utilità della continuazione delle operazioni militari sul nostro territorio, si sarebbero resi, essi stessi, iniziatori del convegno per esaminare le possibilità di una pace separata con l’Italia [ossia la RSI]. Si assicura che il colloquio ebbe luogo col consenso dello stesso Hitler e vi parteciparono rappresentanti anglosassoni giunti dalla Svizzera, il rappresentante tedesco e da parte italiana Mussolini con un suo Sottosegretario.
Il convegno si sarebbe concluso con la formulazione di uno schema di trattato di pace, accettato e siglato da tutte le parti convenute, nel quale si stabiliva quanto segue:
- I Tedeschi avrebbero sgombrato tutto il territorio italiano e restituito alla RSI gli 800.000 militari internati in Germania;
- Gli Angloamericani si sarebbero fermati sulla raggiunta linea territoriale che sarebbe stata idealmente estesa ai due lati anche al mare, con l’impegno di non varcarla e di cessare le operazioni belliche contro l’Italia;
- La RSI avrebbe a sua volta cessato le operazioni belliche contro gli Angloamericani, impegnandosi a concentrare le sue forze militari, accresciute degli 800.000 reduci della Germania, sul fronte orientale con il compiuto di opporsi all’avanzata slava. In complesso si riconosceva all’Italia, a pace definitiva conclusa, la libera disponibilità di tutte le sue colonie, Etiopia compresa, e in più le si concedeva la parte Nord della Dalmazia.
Con tale schema di trattato, ripetiamo (a quanto si dice) accettato e siglato dalle tre parti convenute, si realizzava l’interesse di tutte e tre le parti in conflitto: perché gli Angloamericani, cessando da un dispendio di forze che in Italia non avrebbe mai potuto mai dare risultati militarmente apprezzabili, potevano impiegarle, più utilmente, altrove; la Germania conservava il beneficio di tener lontana dalle sue frontiere meridionali la minaccia nemica e veniva sollevata dallo sforzo militare compiuto in Italia, anche se esso fosse in parte ripagato dai profitti dell’occupazione; l’Italia cessava dai suoi sforzi e dai suoi oneri di guerra e salvava tutto il suo patrimonio nazionale e coloniale, che veniva anzi aumentato dalla parte Nord della Dalmazia.
Si era così trovato il punto di coincidenza di tre diversi interessi che si sarebbero detti opposti e inconciliabili; ma una tal soluzione, che era così intelligente e benefica per tutti, doveva far i conti, pare, con due gretti nemici, che posponevano ai loro rancori e ai loro miserabili calcoli personali l’interesse supremo del proprio e di tanti altri disgraziatissimi popoli: Eden [Anthony, Ministro degli Esteri britannico] e il Governo Badoglio (o forse solo la persona e la volontà di Badoglio).
[…] Eden, dunque, in parte avvalendosi delle opposizioni del Governo Badoglio e in parte approfittando delle impressioni di un prossimo crollo della Germania, che poteva dare l’attentato del 20 Luglio contro Hitler, riuscì a convincere Churchill, e questi Roosevelt, che non conveniva concedere tanto a Mussolini, dal momento che così prossima appariva la fine della guerra e così scarsamente utile la cessazione delle ostilità in Italia” (Aculeus, I documenti sottratti a Mussolini a Dongo, “Il Merlo Giallo”, a. IV, n. 147, 25 Gennaio 1949).
Come abbiamo detto, se la notizia dell’incontro di per sé era già stupefacente, ancor pur sorpresi si rimane nel leggere le clausole dell’accordo siglato. Ma queste erano le voci che giravano in quel 1949.
Tuttavia, una cosa deve essere evidenziata per correttezza storica. Certamente una svista del giornalista. Nell’Estate del 1944, infatti, il Maresciallo d’Italia Pietro Badoglio non era più il Capo del Governo (del Regno del Sud), in quanto si era dimesso il 6 Giugno di quell’anno. Al suo posto, in carica dal 18 Giugno 1944, durante il misterioso convegno del Lago d’Iseo, vi era Ivanoe Bonomi, al quale – caso mai – si dovrebbe attribuire l’opposizione al perfezionamento dell’accordo di pace separata tra gli Alleati e la RSI.
A tutt’oggi si considerano prive di fondamento tutte le voci in merito a questo convegno. Eppure, nel corso degli anni, il racconto su quanto avvenuto si è ampliato e “perfezionato”.
Ha scritto Paolo Vitolino, negli atti del convegno di Napoli dell’8 Novembre 1988 organizzato dall’Istituto di Studi Storici Economici e Sociali:
“A conferma e compendio della sua attività [del Comandante Junio Valerio Borghese] basti ricordare il convegno segreto da lui organizzato presso l’idroscalo di Montecolino, sul Lago di Iseo, sede di una base della Xa Flottiglia MAS e vicinissimo alla residenza della sua famiglia. Il convegno fu sollecitato tra l’altro nientemeno che da Churchill, da sempre in trattative segrete con lo stesso Mussolini. Esso si svolse il 16 Novembre 1944 e vi parteciparono anche alti Ufficiali tedeschi, inglesi e americani e l’oggetto fu la presentazione di un piano segretissimo che avrebbe completamente cambiato l’aspetto dell’Europa del dopoguerra. Il piano era stato elaborato dallo stesso Churchill e prevedeva il riconoscimento della RSI e la stipula di un armistizio con la stessa, il rovesciamento del fronte delle Armate americane e inglesi in Italia non più contro l’Esercito tedesco ma contro la Russia, l’appoggio delle Armate tedesche in Italia e delle Divisioni italiane a queste azioni. La lungimiranza politica dello statista inglese, che, dando prova anche in questo caso del suo intuito politico e del suo spregiudicato opportunismo, aveva capito in anticipo da quale parte stesse il vero nemico, non fu però corrisposta dagli alleati americani, che bocciarono in toto le proposte, in omaggio alla lealtà all’‘amico’ Stalin” (P. Vitolino, Fascismo del Sud e Venezia Giulia).
Ma non solo. Ha scritto Giuseppe Pesce:
“Nel Novembre 1944, a cavallo del giorno 16, a Montecolino, presso la Xa Flottiglia MAS, avvennero incontri fra rappresentanti inglesi, tedeschi ed americani per esaminare la possibilità di una pace separata per poi volgere le armi contro l’URSS.
Sergio Nesi, Ufficiale di Junio Valerio Borghese, ne fu testimone, mentre la signora Daria Olsuffief, moglie del Comandante Borghese, svolse l’incarico di interprete.
I Tedeschi erano rappresentati dall’Ambasciatore Rahn e dal Capo delle SS in Italia, Generale Wolff; Mussolini aveva inviato il Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, Francesco Maria Barracu, accompagnato dal Generale della GNR Giuseppe Violante, dal Capitano di Vascello Fausto Sestini della Marina Repubblicana e da Junio Valerio Borghese.
Secondo Alfredo Cucco, Sottosegretario alla Cultura Popolare, nell’Isola di San Paolo sul Lago, presso la villa dell’industriale Beretta, si sarebbero verificati altri incontri.
L’attendente di Mussolini, Pietro Carradori, affermò di avere accompagnato il Duce ad almeno due incontri riservatissimi con emissari britannici a Porto Ceresio, in provincia di Varese, poche centinaia di metri dal confine svizzero. Al primo di tali incontri, che sarebbe avvenuto la sera del 21 Settembre 1944, Mussolini era accompagnato da Bombacci mentre al secondo incontro, avvenuto nella notte sul 22 Gennaio 1945, Mussolini si fece accompagnare da Barracu.
Tali colloqui non ebbero seguito in quanto il Presidente Roosevelt non aveva intenzione di tradire gli accordi di Yalta; inoltre egli era succube del volere di Stalin che lo plagiava.
[…] Il comando in capo dell’8a Armata, in pieno accordo con Churchill, studiava la possibilità di uno sbarco a Trieste per aprire un varco verso l’Austria e la Cecoslovacchia in modo da arrivare a Berlino prima dei Russi.
Le operazioni nei Balcani sono sempre state una idea fissa di Churchill che temeva fortemente l’invasione dell’Europa da parte dei Russi; a questo piano si appoggiava un progetto italiano tendente a salvare la Venezia Giulia dall’occupazione degli Slavi di Tito. Un piano segreto italiano faceva capo all’Ammiraglio De Courten, Ministro della Marina del Governo Badoglio e contatti segreti erano tenuti con il Comandante Borghese e con la Xa MAS; molti emissari attraversarono le linee nei due sensi per perfezionare gli accordi. Borghese inviò a Trieste il Comandante Lenzi per organizzare lo sbarco, previsto nel piano, del Battaglione ‘San Marco’ trasportato da navi italiane ed appoggiato dal Gruppo di Artiglieria ‘Colleoni’ della Divisione Decima.
Il Piano De Courten era ignoto anche al Governo del Sud ed al Comando Militare Italiano così come gli Americani, in particolare, furono tenuti all’oscuro di tutto in quanto insistevano nel rispetto degli accordi di Yalta.
Lo sbarco non avvenne e pertanto gli accordi di Montecolino rimasero lettera morta.
Al tavolo della pace gli Inglesi si comportarono con l’Italia in modo più duro degli Americani, dimostrando così che le azioni segrete discusse a Montecolino non erano dovute a benevolenza verso l’Italia, ma solo ad una spregiudicata politica a favore degli interessi inglesi” (Giuseppe Pesce, www.pescaraonline.net).
Questo breve saggio sul convegno del Lago d’Iseo ci ha permesso, se non di fare luce su ciò che in realtà avvenne – o non avvenne –, almeno di tornare a parlare dell’incessante azione della RSI in difesa dei confini italiani e per una pace onorevole, mai dissociata dalla giustizia. Battaglia che Mussolini – e con lui tutti i fascisti repubblicani – condussero fino agli ultimi giorni d’Aprile del 1945, quando i carri armati a stelle strisce, straripando nella Pianura Padana ed agevolando l’avanzata Slava in Istria, posero fine alla Nazione italiana come Stato libero ed indipendente.
Pietro Cappellari
(“L’Ultima Crociata”, a. LXXIII, n. 7, Ottobre 2023)