Sakura sulla tomba di Venner

Set 27, 2023

Tempo di lettura: 9 min.

Nota: il presente contributo è stato scritto da un anonimo internauta di nazionalità russa su un blog denominato “BlackLightSpace”, solo due settimane dopo la morte di Dominique Venner, avvenuta  il 21 maggio 2013. La redazione di IDENTITARIO.ORG, dopo averlo tradotto, ha ritenuto opportuno diffonderlo. Buona lettura. 

Se penso a un fiore per Dominique Venner, il mio pensiero vola al sakura. Solo al sakura

Tutto, nella sua vicenda, è profondamente simbolico. È una storia di simboli, la sua. Una storia di persone che dei simboli non riescono più a cogliere il significato autentico; una storia di anime ancora capaci di far di se stesse un simbolo. Il sakura è un simbolo, antico, sottile, profondo. I suoi petali non si confanno a una ghirlanda, fragili e leggiadri quali sono, ed è solo cadendo dall’albero che la loro bellezza si manifesta. Su una tomba, non si posano fiori di sakura. Essi – piuttosto – vi volano, delicatamente trasportati dal vento. 

17 foto e immagini di Dominique Venner - Getty ImagesAi più, potrà non esser chiaro cosa Dominique Venner abbia a che fare con tutto questo, come pure la legalizzazione del matrimonio omosessuale, l’islamizzazione della Francia, e tutti gli altri processi che, in maniera non  sempre palese, influenzano in un modo o in un altro le cose di questo mondo. Solamente entrando in una dimensione simbolica, in cui niente più rimanga di non meritevole di tutta la nostra attenzione, in cui niente sopravviva delle piccole grane che scandiscono la nostra esistenza, tutto si farà importante, tutto avrà un preciso significato. 

Purtroppo, ormai da lungo tempo, abbiamo scordato cosa sia il mito: gli archetipi del moderno pensiero sono così volgari e banali che solo un bagliore senza precedenti può ricondurre in essere la freschezza di una percezione vivida. Una rottura, una cesura, nel flusso ininterrotto del quieto vivere.       

I simulacri della cultura di massa hanno assorbito ogni forma di espressione simbolica visiva e tangibile. Nel mondo d’oggi, niente è sacro, e pertanto abbiamo cessato di meditare sui segni che ci circondano, di contemplare i sakura. Le forme della cultura moderna ci relegano a una ridda di reazioni meramente meccaniche. Al contrario, un simbolo rimanda al Supremo che si fa reale, concreto. L’unica via tramite cui ancora possiamo comprendere tale processo è l’Azione. L’Azione è un Simbolo. Si tratta della precisa ragione per cui, poco prima del suo suicidio, Venner scrisse che solo “un gesto nuovo, spettacolare e simbolico può scrollare le coscienze anestetizzate”. Un gesto, dunque, un’Azione non condizionata dalla materialità, inutile agli interessi quotidiani, ma colma di un senso più alto e anti-mondano. Una simile Azione, evidentemente, non può che essere sacrificale. 

Nelle antiche società tradizionali, il recinto del sacrificio era considerato il centro del mondo. Un sacrificio non è spiegabile in termini “mondani”: piuttosto, a priori esso richiama “altro”, sublimandosi nella sua portata simbolica, asse metafisica che connette l’uomo con ciò che è più Elevato. Il sacrificio è un proclama, l’affermazione solenne di un esistere superiore a un mero frammento di materia. 

Sacrificare la propria vita è naturalmente la più alta forma di Azione simbolica. Fronte alla morte, tutto tace. Nessuno può accusare una persona che dona sé stessa di secondi fini. Darsi la morte non lascia spazio a fraintendimenti. Non si ignora un olocausto. Dominique Venner si è sparato in bocca in mezzo a una chiesa affollata di fedeli durante una celebrazione, e ha lasciato sull’altar maggiore le sue ultime parole. Ciascuno dei suoi atti, quel giorno, furono orientati a una cristallina interpretazione del suo gesto come puro Simbolo, illustrandone il valore di Sacrificio in ogni suo aspetto. 

Il Simbolo non chiarifica solo se stesso, ma getta luce su tutto ciò che gli è intorno. In riferimento a un atto simbolico, è insensato domandarsi esattamente quale ne sia stato lo scopo, “contro chi” fosse rivolto, e così via. Tali bassi dibattiti affollano il piano della vita ordinaria, ma dinanzi alla morte svaniscono. Il Simbolo che ha scelto l’Azione come sua forma, ha un solo obbiettivo: attrarre le coscienze su di sé, ciò non per convogliare l’attenzione su una particolare istanza, ma per destare la capacità stessa di percepire simbolicamente, di vedere più in alto, di cogliere qualcosa di più inestimabile della vita stessa. L’Azione simbolica ricorda a quanti vi assistono che non sono soltanto dei corpi. Da ciò, nelle “coscienze anestetizzate” si ridesta, seppure per un breve istante, l’abilità di osservare e capire, e penetrare con il proprio sguardo le profondità dei fenomeni. 

Il breviario per una esistenza ribelle di Dominique Venner - Barbadillo

Circa il suicidio di Venner, l’entrata in vigore della legge sui “matrimoni” omosessuali può essere riletta in questa chiave, ma per comprendere l’essenza di tale connessione, bisogna prima anche comprendere – o più precisamente, ricordare – ciò che per secoli l’istituto matrimoniale è stato: un Simbolo, esattamente un Simbolo. 

Sin dagli albori della Storia, il matrimonio si è configurato come un rituale, uno dei più importanti nella vita di un uomo. Il simbolismo che lo sottende è l’unione della prima coppia cosmica, il Dio e la Dea, fertili progenitori di ogni vivente. Il maschio primordiale e la femmina primordiale, lo Yin e lo Yang, il Giorno e la Notte, il Cielo e la Terra, il Solare e il Lunare, il grembo e il seme. Il duale congiungersi che genera il terzo. Non si tratta di una semplice “relazione”, di un gioco di seduzione, neppure di amore, in fondo. È una nuova unità forgiata dal fondersi di una duplicità, è l’alba di una vita che conosce la sua prima aurora. I singoli dettagli del rito sono cambiati molto di società in società, e ad esso si sono affiancate molteplici tipologie di relazioni umane parallele al vincolo matrimoniale. Tuttavia, ciò che sempre è rimasto invariato è l’elemento ultimo e necessario del matrimonio, ovvero la simbolica rappresentazione di due forze polari: l’uomo e la donna. Lo stesso genere è considerabile un simbolo in un’ottica tradizionale. Non soltanto l’uomo non è riducibile al suo corpo, ma il corpo non è a sua volta degradabile a un pezzo di carne, raffigurando piuttosto in sé un certo altro lato dell’essere. 

In una società tradizionale, nessuno avrebbe mai potuto figurarsi l’idea stessa di un “matrimonio omosessuale”, e non perché le relazioni omoerotiche fossero sempre e ovunque condannate. Il concetto, piuttosto, sarebbe apparso a chiunque come un puro assurdo, una chimerica contraddizione in termini. Da un punto di vista simbolico, dire “matrimonio omosessuale” non suona molto differente da “uomo bipede monogamba”, o qualcosa del genere. Esistono svariati tipi di relazione – amore, gioco, perversione, persino “amore omosessuale” – ma il matrimonio è una realtà precisa. Solo il completo oblio di ciò che è un matrimonio ha consentito il sorgere e il diffondersi di simili idee. Non si tratta del cozzare di differenti opinioni, ma dell’ignoranza più crassa e basilare; tuttavia, le conseguenze di tale ignoranza trascendono l’istituto matrimoniale, e travolgono tutto, dal concetto di famiglia a quello di genere, fino – manco a dirlo – l’idea stessa di uomo come ente superiore a un rozzo accrocco di carne e ossa. Una forma vuota, quella di cui parliamo, vuota di ogni significato. La distruzione di un rituale per il puro gusto di metter su carta e regolamentare dei diritti di proprietà. Corpi, senza più anima. Una Francia non più Francia. La “grande sostituzione”. 

Come vediamo, la medesima malattia presenta vari sintomi. Si tratta di idee che possono prendere piede soltanto in una società in cui il sacro è stato annientato COMPLETAMENTE. Sintomi, dicevamo. Sintomi di morte. Tutti gli altri mali che affliggono il nostro mondo possono associarsi a una civiltà che si fa sempre più vecchia e stanca, ma il completo annientamento del sacro –persino della sua memoria  – emana già un fetore di cadavere. Un tempo, la Francia era a ragione considerata il cuore dell’Europa. Quanto di bello e di grande vi è sorto, ma sappiamo bene come nulla in Natura sia esente da fasi di invecchiamento, affaticamento, crisi e decadenza. Tuttavia, assistere al morire di ciò che ami è un dolore insopportabile. Se Oswald Spengler vide il tramonto, a Dominique Venner toccò d’incontrare l’oscurità che ne è seguita.

Ancor più orribile è il fatto che se una civiltà muore, la storia della società che ne è figlia non si esaurisce. Lo spirito se ne va, ma il corpo rimane a decomporsi. Un corpo morto non può più dar vita ad alcunché di bello. È cibo per vermi, e niente più. Venner non volle assistere al mesto spettacolo dei vermi che brulicano e si moltiplicano sulla carogna della sua amata Patria. Alla morte, solo un’altra morte può adeguatamente rispondere. Il sangue redime, il sacrificio della vita è scaturigine di una nuova speranza di rinascita. “Insorgo contro il fatalismo”, scrisse nel suo ultimo messaggio. Egli capiva come il sangue di anche una singola persona, versato là dove serve, potrebbe farsi scintilla di sfida al destino. Il sangue attinge là dove neppure il fato osa. 

Dal punto di vista della linearità della storia, la morte è irreversibile. Dal punto di vista del Mito, una morte eroica si ripete in eterno. Il colpo di pistola che spezzò la quiete di Notre-Dame a Parigi gridò la tragedia di una Francia morente, ma allo stesso tempo riecheggiò la speranza di una ventura rinascita. Nell’ottica del mondo moderno, quella pallottola non ha cambiato niente. Ma nella più alta realtà del Mito, essa ha mutato la sorte di un’intera Nazione. 

L’importanza del gesto di Venner non è riducibile a quanti ne hanno sentito parlare, a chi lo ha capito, alle eventuali conseguenze di cui esso possa rivelarsi foriero, e a quali queste conseguenze siano. L’importanza di un’azione simbolica, infatti, è immateriale e senza tempo, incommensurabile rispetto ai criteri terreni. Un simbolo – dicevamo – desta le coscienze, è irrilevante di chi e quando. Destare le coscienze e tenderle al Supremo è il suo obbiettivo ultimo e la sua vittoria. Il trionfo sperato già è raggiunto. Là, oltre il tempo, quel colpo di pistola risuonerà per sempre, e lo spirito della Patria ad essa eternamente farà ritorno. Ciò significa che in Francia ancora nasceranno eroi, ancora ci si rammenterà del Supremo, ancora lampi di luce spezzeranno il buio. Ancora, spiriti si sveglieranno, “in un metafisico distacco dal reame della quantità”. 

Il sakura. Simbolo di tempi antichi, vestigia dal mondo della Tradizione. Un mondo che ancora vive in sé la bellezza e l’immortalità del Mito. Un bianco candido, su cui compaiono esili striature rosse. Numerose leggende sul sakura si associano al sangue, versato una volta e che ogni anno riemerge a ricordare di sé alla gente. Il sakura è anche un simbolo della giovinezza e del fascino femminile. Da tempo immemore, esso adorna stendardi di battaglia, e ancora oggi fa la sua comparsa sugli stemmi della Polizia e delle forze armate giapponesi. Cosa mai lega il valore militare alla bellezza muliebre? 

An image of a picturesque park, transformed into a dreamy landscape by blooming cherry blossom trees. The scene is showered with a soft rain of pink petals. People are relaxing under the trees, their joy mirrored by the cheerful palette of the surroundings. The serene pond in the middle reflects the spectacle like a mirror.

 La tradizione di contemplare la fioritura del sakura è descritta in giapponese da una parola dai molti significati, tutti indicanti ciò che nella vita vi è di più bello (un periodo di crescita florida, un miglior tempo dell’anno, una più felice fase della Storia). Qualcosa – insomma – che è motivo di orgoglio. La contemplazione del sakura è un tentativo di fermare l’attimo, di trascendere l’ora, di eludere la contingenza. Prolungare l’ammirato perdersi nella visione di ciò che è troppo delicato per la concretezza del mondo, per ciò che in esso vi è di più nobile. Contemplare il sakura è tornare alla terra dei propri anni verdi, al paese della massima felicità trascorsa. La morte e il declino non toccheranno il suo fragile fiore, la freschezza primigenia della civiltà in esso risboccerà, a patto che vi sia chi accetti di fermare un attimo i propri affari e ammirarlo. Finché vi saranno persone disposte a sacrificare la propria vita per la bellezza e la grandezza, per l’eccelso e l’etereo – di cui il sakura è memoria imperitura per il suo samurai.     

Quando si ha a che fare con un suicidio, si tratta immancabilmente di uno “stravolgersi” di ciò che ordinariamente regola l’esistenza quotidiana. Se nella routine di ogni giorno il Leitmotiv è sopravvivere e accumulare cose, con il suo atto il suicida ci sbatte davanti una scala di valori radicalmente eterogenea, un’immagine che non vede più la vita biologica godere della massima importanza, che considera i beni materiali inesorabilmente inutili. E’precisamente questo “stravolgimento” a introdurci alla dimensione simbolica. In esso, per dirla con René Guenon, opera “la legge dell’analogia inversa: gli elementi più insignificanti e bistrattati di questo mondo diventano imprescindibili nell’altro, e ciò che qui consideriamo prezioso, là perde tutto il tuo valore. Il piccolo diviene grande, l’intoccabile si fa tangibile, “l’ultimo sarà il primo”. La morte assurge a un’inedita rinascita. 

Cultura. Dominique Venner e l'etica del ribelle come unico destino - Barbadillo

Alcuni individui, abbrancandosi alla vita, iniziando a decomporsi ben prima di aver esalato l’ultimo respiro. Al contrario, solo chi è in grado di sacrificarla mostra di esser veramente attaccato alla vita. Costoro vedono la morte prima degli altri. Sanno uccidersi, ma morendo, diventano realmente immortali. Gli eroi fanno sempre ritorno. 

La eco dell’ultimo atto di Yukio Mishima è la medesima dello sparo nella navata parigina. L’opera conclusiva della bibliografia di Venner, pubblicato postumo, è chiamato “Un samurai d’Occidente ”. Il baluginare di un lampo in un giorno di primavera. Sangue, che lambisce bianchissimi petali. Primavera, che perenne succede all’inverno. In questa primavera, ecco che il sakura è fiorito.  

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