“Purgherà con fiamme vendicatrici”: analisi storica delle legge romana tardoantica

Gen 21, 2024

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«Purgherà tramite le fiamme vendicatrici»(1): questo è il comando riportato nel Codice teodosiano del 438 d.C. , dove «Gli imperatori Valentiniano, Teodosio e Arcadio, augusti» ordinano «ad Orienzio, vicario per la città di Roma» (2 ) la pena di morte, tramite rogo, per i trasgressori della legge. Il crimine, in sostanza, sarebbe quello della pratica di sodomia e dei rapporti pederastici tramite frequentazioni di bordelli maschili.

Scopo di questo approfondimento – evidentemente – non è quello di elargire giudizi sulla scorta delle opinioni odierne, ma solo quello di analizzare storicamente una legislazione che ha trovato attuazione nell’Antica Roma: lo specifichiamo – apertamente – per tacitare in modo preventivo ogni tentativo di strumentalizzazione in tal senso. Restiamo convinti, infatti, che la storia debba essere studiata tutta, approfonditamente e senza censure postume, a differenze di quanto vorrebbe una certa “cancel culture” che – per promuovere le proprie tesi nel presente – vorrebbe cancellare o riscrivere il passato. Studiare quest’ultimo, evidentemente, non significa né esaltarlo né disprezzarlo, ma approfondirlo in virtù di una conoscenza che necessità – per sua natura – della completezza e del confronto.

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Anzitutto, vi è certo una continuità della sensibilità che porta a simili condanne, come quella del caso dei Baccanali – che prenderemo come esempio più avanti – e che quindi non possono essere considerate come una novità assoluta del tardo mondo romano: se una simile legge fu possibile, senza dubbio, è perché con ogni evidenza era radicata in una sensibilità comune – antica e diffusa – che ne permetteva la ricezione nell’intero territorio imperiale. La civiltà romana, del resto, fu caratterizzata da un alto grado di complessità, i cui particolari sfidano la narrazione auspicata e promossa dal progressivismo liberale. Questo infatti ha assunto la classicità come modello ideale, a costo di trarne una rappresentazione semplificata e non di rado del tutto immaginifica – per non dire consapevolmente falsa – finalizzata a giustificare gli usi e costumi contemporanei (3).

Il caso in esame tratteggia uno scenario molto differente. Esso problematizza la tendenza storiografica ravvisabile nella cesura tardoantica (4), sottolineando invece i caratteri di continuità di tale periodo rispetto al precedente. Una continuità che si estendeva alla categoria, assolutamente centrale, dell’identità e dell’autorappresentazione comunitaria di un «mondo romano» dotato di un’impostazione morale e valoriale estremamente distante dalla dottrina illuminista che, pure, lo ha spesso rivendicato e a volte ancora lo rivendica. Si evidenzia – dunque – come un esame attento e minuzioso su una simile pena contro la pratica di sodomia nei bordelli, avvenga attraverso due punti fondamentali: il primo tutto riguardante il problema dell’analisi storiografica, che tende a voler delegittimare il mondo romano tardoantico; il secondo, una volta definita la continuità storica in rapporto all’identità percepita degli uomini dell’epoca, di dimostrare che l’eredità che il mondo romano ha consegnato ai suoi posteri è ben lontana sia da quella delle libertà individuali che oggi taluni si figurano, che dal variopinto melting pot di genti e generi sessuali di cui alcuni vorrebbero vedere ammantate le vie e le insule dell’Urbe e del suo impero.

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Riguardo la delegittimazione della tarda antichità romana bisogna capire da dove deriva la considerazione del periodo del “dominato” (5) come distinto dal concetto di civiltà romana. La storiografia si è sviluppata come scienza accademicamente autonoma alla fine del periodo illuminista, dalla cui filosofia è fortemente influenzata. Autori quali Voltaire – per esempio – hanno basato le proprie posizioni del mondo “classico” e “medievale” su preconcetti posti dai  “primi moderni”, cioè gli uomini rinascimentali che pensavano alla storia in tre fasi: la fase classica (dell’ antichità greca e romana, periodo terminato con la caduta di Roma), la fase medievale (secondo loro periodo di oscurità e declino) e la fase moderna (periodo di riabilitazione in cui rifioriscono secondo loro le antiche virtù) (6). Questi pregiudizi relativi al Medioevo e alla Tardo sono acriticamente confluiti nell’analisi storiografica illuminista, orientata tuttavia a un positivismo progressista che non vedeva nel passato un modello di perfezione statica. Il giudizio negativo nei confronti del Medioevo, che negli autori dell’umanesimo rinascimentale era derivato dall’aspirazione al ritorno a un’«età dell’oro», è quindi diventato, per gli autori illuministi, un giudizio assoluto di merito(7). La concezione degenerativa della storia – figlia, questa sì, del mondo classico – fu dunque sostituita da una serie di brusche cesure definite in base alla prossimità o meno di arbitrarie sequenze cronologiche agli ideali illuministi. Da ciò sono derivate innumerevoli problematiche, perlopiù dovute alla concezione non organica della storia, tra cui la scissione netta fra il periodo della Roma Arcaica, della Roma Repubblicana e della Roma Imperiale. Periodi che stando a questo criterio sarebbero da mutilare sommariamente: parti a sé stanti, insomma, anziché quel processo storico sostanzialmente unitario che noi identifichiamo con la civiltà romana, per motivazioni religiose, culturali, politiche, sociali, economiche, e via dicendo.

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La categorizzazione storiografica ha avuto effetti anche sul piano linguistico, dove ha prodotto una moltiplicazione dei termini usati per riferirsi alla romanità nei suoi vari periodi. Una di queste evidenti scissioni si riscontra nella volontà di adoperare nuove terminologie linguistiche e categorie storiche, in questo caso il termine “bizantino” o “bizantini”. Tra i primi ad avere utilizzato il termine “bizantini”, per definire i romano-orientali, è stato Charles Du-Fresne Du Cange (8). Lui e gli illuministi non potevano accettare che i ”bizantini” fossero ”greci” o ”romani”, visto che, sotteso ai termini ”greci” e ”romani”, c’era il «glorioso» periodo classico terminato con la caduta di Roma.

Eppure, nonostante il cambio di capitali e i nuovi centri d’influenza – come Milano e Ravenna –, i romani della parte occidentale continuarono a identificarsi appunto come «romani». Stessa cosa per la Pars Orientalis, in cui nonostante gli influssi greci nella lingua e nel costume prevalse sempre un sentimento di unitarietà(9). Un romano che parlasse greco non si percepiva e non era percepito come meno romano di un romano che parlasse latino: a essere determinate, anche in quel periodo, non era il linguaggio, ma la più vasta e più precisa categoria di ethnos.

La riforma statale di Eraclio I del VI-VII secolo d.C. è spesso usata nella manualistica per introdurre il neologismo «bizantino». Questo produce una semplificazione forse didatticamente efficace, ma sbagliata. I cittadini della parte orientale dell’impero continuarono a essere romani, e come tali erano identificati sia dai latini dei regni romano-barbarici, sia da altri popoli, come persiani ed arabi. Nell’islamico Hadith 4292 sta scritto: «Farai la pace con i romani (cioè cristiani / ‘Rum’) in modo sicuro tregua/alleanza, e tu con loro lo farete combatterete un nemico che è dietro di te, e sarai vittorioso» (10). Con l’elezione di Carlo Magno quale Imperator Augustus dei romani nell 800 d.C. si ha la ricostituzione della Parte Occidentale, sulla quale precedentemente i sovrani dei regni romano-barbarici avevano esercitato una sovranità regionale quali comandanti locali – duces – dell’imperatore d’Oriente, che conservava l’autorità suprema, seppur di natura essenzialmente formale.

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In questo senso, contestualizziamo storicamente la legge del Codice teodosiano “Non patimur urbem Romam” come pienamente legittima nel corso della romanità , essa  certamente si ricollega agli stessi valori fondativi della tradizione romana. Non fu infatti la prima volta che Roma produsse una legislazione intesa a difendere le virtù tradizionali, punendo severamente i comportamenti «degenerati». Il principio di fondo obbedisce all’imperativo di preservare i mores contro il dilagare di attitudini sociali considerate “moralmente inaccettabili”, che rischiano di far crollare il sistema unitario romano basato sugli exempla della virilità e dell’umiltà. Un esempio di epoca Repubblicana riguarda Catone Censore, noto apologeta dei mores, che perseguitò gli aderenti ai Baccanali – culti di matrice ellenica in onore di Dionisio (11): tali rituali orgiastici, praticati soprattutto dalle frange più basse della popolazione, avrebbero rischiato di creare divisioni sociali e una sovversione del mos maiorum. Dimostrazione di questa forte opposizione fu Il Senatus consultum de Bacchanalibus, un decreto del Senato col quale furono vietati in tutta Italia i Bacchanalia, eccezion fatta per alcuni casi specifici che dovevano essere esplicitamente approvati dal Senato stesso (12). Come vedremo più avanti un’apologia dei mores tradizionali è riportata nella Legge del codice teodosiano, che in tal modo si riallaccia a quel passato che costituisce le fondamenta della romanitas. L’attacco contro le pratiche pederastiche, omosessuali e lussuriose era dunque motivato dal fatto che esse corrompevano – secondo la concezione del tempo – la morale e i valori di giustizia e concordia sociale. Tale visione può essere equiparata agli usi e costumi dei nemici degli antichi israeliti riportati nell’Antico Testamento, come quelli dei cananei e dei punici, che adoravano il dio Baal praticando orge rituali, sodomia e comportamenti effemminati analoghi a quelli riscontrabili nei Baccanali (13). Questi elementi evidenziano i tratti di continuità tra la tradizione cristiana – che condanna tali atti come peccato – e la tradizione dei mores romani.

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Dovendo identificare il più importante lascito di Roma, più delle strade, degli acquedotti, della lingua in sé, al primo posto sicuramente metteremmo la legislazione. La Legge romana ci arriva tramite il Corpus iuris civilis – o Corpus iuris Iustinianeum –, cioè la raccolta di leggi messa per iscritto dall’imperatore Giustiniano I di tutte le leggi precedentemente emanate e recepite dai posteri. Senza questa raccolta non avremmo neanche la legge del Codice teodosiano del 438. La pena riguardante i rapporti pederastici e omosessuali nei bordelli fu inglobata nel Corpus iuris civilis dell’imperatore Giustiniano I accanto alla Novella 141 del 559 – promulgata dallo stesso Giustiniano – che citava espressamente la rovina di Sodoma come esempio di ciò che accade alle città nelle quali sia permessa la pratica dell’omosessualità maschile (14).

Analizzando il testo della Lex “Non patimur urbem Romam”, leggiamo (dopo il passo riportato nell’introduzione (15)):

«Non sopportiamo che la città di Roma, madre di tutte le virtù, sia più a lungo infangata dalla macchia del comportamento effeminato nel maschio, e che quella forza rustica dei primi fondatori, infranta mollemente dal popolino, porti ingiuria ai tempi dei nostri fondatori o degli imperatori, Orienzio carissimo e graditissimo a noi.» (16).

I riferimenti alle virtù «dei primi fondatori» dell’Urbe sono evidenti: essi fungono da collegamento con la Roma arcaica per la legittimità dei nuovi Imperatori per condannare il comportamento evidenziato.

«Perciò la tua lodevole esperienza (di Orienzio) purgherà tramite le fiamme vendicatrici tutti coloro che praticano l’infamia di condannare il loro corpo maschile, travestito da femminile, alla passività del sesso opposto (al punto che non differiscono in nulla dalle femmine) […] dopo averli arrestati, come richiede l’enormità del crimine, e portati tutti fuori (ci si vergogna a dirlo) dai bordelli maschili, in presenza del popolo»(17).

Oltre alla punizione, si specifica anche nel dettaglio il crimine commesso, ribadendo il valore monitorio della pena nei confronti del popolo:

«in modo che tutti capiscano che dev’essere sacrosanto il contenitore dell’anima virile, e che chi abbia perso turpemente il suo sesso, non potrà aspirare a quello altrui senza subire l’estremo supplizio».

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Non è chiaro se la legge colpisse solo i prostituti, o i “sodomiti passivi” in generale. Si noti comunque che essa punisce i prostituti per essere stati passivi nel rapporto sessuale, ma non i loro clienti “attivi”, e l’aver offerto il proprio corpo alla pratica di quella che veniva classificata come «infamia». Coerente con i principi patriarcali e virili della tradizione romana, a essere punita non era la sodomia in sé – condannata invece nell’Antico Testamento (18) – ma la confusione dei ruoli sessuali e la pratica di prostituzione maschile, che sviliva il maschio in quanto tale.

Partendo da un’analisi critica della storiografia, in particolare quella moderna e illuminista, passando per una dimostrazione linguistica e culturale, esempi come quello preso in esame della Lex “Non patimur urbem Romam” si collocano, diversamente da come alcuni vorrebbero far credere, in piena continuità con quei valori fondativi della «…città di Roma, madre di tutte le virtù…». La legge, dunque, del Codice teodosiano confluita nel Corpus iuris civilis, non rappresenta una novità nella mentalità conservatrice del mondo romano, bensì l’apice di un processo, quello della civiltà romana, originato dall’idea dei Patres fondatori dell’età Arcaica, passando per le vicende di epoca Repubblicana, fino al Tardo Impero con il contributo dell’influenza del Cristianesimo.

NOTE:

(1) Dalla Mosaicarum et romanarum legum collectio, V, 3. In: Fontes iuris romani antejustiniani, parte 2, Barbera, Firenze 1940.  Il testo da “omnes, quibus” in poi è ripreso dal Codex theodosianus, IX 7, 6.
(2) Ibidem
(3) L’ambiente culturale accademico e sociale anglosassone è sempre più orientato su posizioni di assimilazione del mondo “antico” con il mondo contemporaneo per legittimare le proprie posizioni socio-culturali. Molto spesso questo risente anche di una cancellazione culturale –  “cancel culture”  – di tutto quello che non si conforma alla volontà politica del liberalismo progressista.
(4) Dal dizionario della Treccani: tardoantico è IL Periodo della storia antica compreso all’incirca tra l’età dell’imperatore Commodo (180-192 d.C.) e il 7° sec., ben definibile sul piano delle manifestazioni della cultura, della società, della politica, dell’economia.
(5) In storia romana, con “dominato” si intende la forma di governo del tardo impero contrapposta al principato dell’alto impero. Governo caratterizzato dalla centralità dell’imperatore, non più contrastato dai residui delle istituzioni repubblicane, poteva disporre dell’Impero come se fosse una regno, ovvero da padrone e signore, cioè dominus, da cui la definizione di dominatus. Il dominato ebbe convenzionalmente inizio con l’ascesa al potere di Diocleziano nel 284 ma anche già da prima sotto il periodo dell’anarchia militare.
(6) Pierluigi De Vecchi ed Elda Cerchiari, I tempi dell’arte, volume 2, Bompiani, Milano 1999.
(7) Voltaire, pseudonimo di François-Marie Arouet  (Parigi, 21 novembre 1694 – Parigi, 30 maggio 1778), è stato un filosofo, drammaturgo, storico, scrittore, poeta, aforista, enciclopedista, autore di fiabe, romanziere e saggista francese, il cui nome è legato indissolubilmente all’Illuminsimo. Le sue considerazioni erano di totale ostilità specie nel periodo tardo della romanità, basta i suoi elogi a Flavio Claudio Giuliano come oppositore alla moralità degli imperatori cristiani.
(8) Charles Du-Fresne Du Cange (Amiens 1610 – Parigi 1668). Egli “per primo studiò sistematicamente la storia di Bisanzio e dell’Oriente latino, lasciando una fondamentale Storia di Costantinopoli sotto gli imperatori francesi (1657) e vari appunti da cui Rey trasse, nel 1863, le Famiglie d’Oltremare. Curò inoltre l’edizione di numerose fonti storiche importantissime, tra le quali la Storia di san Luigi, di Joinville e l’Epitome storica (o Sinossi storica) del “bizantino” Zonara. La sua fama resta tuttavia legata soprattutto al Glossarium mediae et infimae latinitatis (1678), strumento medievale, e al Glossarium mediae et infimae graecitatis (1688)”.
(9) La lingua greca era più diffusa per tutta la parte orientale dell’impero fin dalle annessioni delle province in cui gli stessi romani si trovarono a utilizzarla come “lingua franca”.
(10) Hadith N. 4292, Libro delle Grandi Battaglie, Sunan Abu Dawud, vol. 4
(11) Mathisen, Ralph W., Ancient Roman Civilization, Oxford University Press, 2019, p. 147.
(12) La copia che sopravvive è incisa su una tavoletta di bronzo scoperta in Calabria nel 1640, oggi conservata al Kunsthistorisches Museum di Vienna. Il testo che appare sulla tavoletta è il seguente Alfred Ernout, Recueil de Textes Latins Archaiques, Parigi, Librairie C. Klincksieck, 1947, pp. 58–68.
(13) Riferimenti di queste pratiche nell’Antico Testamento dei cananei si possono trovare in Sapienza 12:3-14
(14) Corpus iuris civilis È composto da: le Istituzioni (in latino Institutiones), opera didattica in quattro libri destinata a coloro che studiavano il diritto sul modello delle Istituzioni scritto dal giurista romano Gaio; il Digesto (Digestum), o Pandette (Pandectae), antologia in 50 libri di frammenti, il Codice (Codex), raccolta di costituzioni imperiali da Adriano allo stesso Giustiniano I; le Novelle (Novellae Constitutiones), raccolta di costituzioni emanate da Giustiniano dopo la pubblicazione del Codice, fino alla sua morte. I primi tre testi sono scritti in latino, mentre l’ultimo, le Novelle, è scritto parte in latino e parte in greco.
(15) Rimandando al testo della nota (1) leggiamo: «Gli imperatori Valentiniano, Teodosio e Arcadio, augusti, ad Orienzio, vicario per la città di Roma…»
(16) sempre riferito al testo della nota (1) come le parti seguenti
(17) Dalla descrizione del corpo come “contenitore dell’anima” è evidente l’ispirazione cristiana di questa legge (la seconda, dopo quella del 342), che si pensa abbia introdotto il rogo per analogia con il supplizio di Sodoma e Gomorra.  Questa legge ebbe grande importanza storica, perché fu dalla sua riesumazione, ad opera dei commentatori bolognesi del XIII secolo, che la pena del rogo fu rimessa in vigore (il primo rogo è attestato nel 1277).
(18) Levitico 20:13  “Se uno ha rapporti con un uomo come con una donna, tutti e due hanno commesso un abominio; dovranno essere messi a morte; il loro sangue ricadrà su di loro.