Progetto Razzia. Cos’è e perché si chiama così?
Progetto Razzia è un laboratorio politico il cui fine è, nell’epoca della smobilitazione politica, rimobilitare e ri-politicizzare il discorso pubblico. E per farlo la prassi principale è “rendere pop” autori radicali e idee rivoluzionarie.
Principalmente sul Youtube, dove trattiamo testi sconosciuti o sistemi politici oscuri cercando di renderli fruibili al grande pubblico, ma anche ad esempio il nostro ultimo libro “Enciclopedia della Politica Underground” dove costruiamo una sorta di elenco, di ipertesto, di informazioni nascoste e di storie incredibili che facciano dire a chi si imbatte nel nostro lavoro “ah wow ma allora fare politica, essere radicale, è davvero una figata”.
Ad un livello un po’ più esoterico “Progetto Razzia” è, per quanto possa sembrare strano, la prosecuzione, la “messa a terra”, della strategia e del paradigma che delineavo nel mio scorso testo “Stregoneria Politica”. La risposta ad un ecosistema ostile che rende difficile la comunicazione di alcune visioni del mondo.
Beh a questo punto è d’obbligo chiedere un approfondimento: cosa è la stregoneria politica di cui parla il tuo scorso libro?
Stregoneria politica è il paradigma che, preso atto della non neutralità delle piattaforme sulle quali oggi avviene il 100% del dibattito politico (social, algoritmi di Google e Youtube ecc ecc) tenta di elaborare un insieme di strategie che permettano ai piccoli gruppi politici o agli attori alternativi di elaborare una propria strategia comunicativa funzionale in questo contesto non collaborativo o ostile.
Sostanzialmente si differenzia dal marketing politico perché mentre il marketing politico (pensato e utilizzato da partiti politici e soggetti politici “mainstream”) presuppone una certa neutralità o utilizzabilità del sistema mass-mediatico o comunicativo, la Stregoneria Politica postula che tale neutralità o utilizzabilità sia non raggiungibile per alcuni attori. Pertanto il focus logico e operativo non diventa più “allineare messaggio, target ed esigenze per massimizzare il consenso” come teorizzava il marketing politico, ma un più complesso “come comunicare in un ambiente ostile”.
Contrappongo poi il termine “Stregoneria Politica” come strumento per gli attori esclusi alla “Scienza del controllo” o “Scienza del consenso” che invece è il paradigma che utilizza chi può accedere alle risorse dell’infosfera o direttamente possiede tali risorse (come le piattaforme social) perché questi attori tramite una infinita quantità di dati, una quantità infinita di capacità di analisi e quasi infinita di risorse possono letteralmente non solo “comprendere la società” ma anche modificarla e fare politica infinitamente meglio dei partiti politici.
Il tuo è un focus sul tema dei movimenti radicali. Perché sono meglio o quantomeno più interessanti da studiare rispetto ai movimenti non radicali?
Potrei dare almeno due motivazioni a questa domanda.
Dal punto di vista strettamente politologico credo che l’epoca del riformismo sia finita perché l’offerta politica, in particolare in Occidente, è sempre più americanizzata. Abbiamo cioè spesso la sensazione che i partiti siano due (o quattro, o dieci), ma la politica una sola e che le differenze tra le varie offerte politiche siano soprattutto accessorie. Ragione per cui, al netto di cosmesi, è sicuro che il cambiamento non può arrivare dalla politica mainstream che ha soprattutto la funzione di organizzare il consenso più che “rappresentare istanze, generare domanda politica”.
La conseguenza di questo collasso dell’offerta politica in uno spazio sempre più ristretto si ripercuote direttamente anche sul piano culturale e intellettuale. Il grado di conformismo degli intellettuali viventi, probabilmente timorosi dall’azzardarsi a esprimere un parere sbagliato e veder troncata la propria carriera è imbarazzante e sul piano culturale, nonostante il mondo democratico-liberal-capitalista possa teoricamente vantare un modello che suppostamente è il modello vincente nella Storia, non mi pare riesca a esprimere nulla di minimamente convincente o anche solo interessante. Per questa ragione praticamente tutto quel che è innovativo o interessante o anche solo onesto è in questo momento fuori dai radar e lo si trova solo tra gli esclusi, i dimenticati, i nascosti.
Sul piano esistenziale ritengo invece che in assoluto non vi sia mai alternativa al piano radicale, cioè all’interiorizzare le proprie categorie filosofiche, politiche ed esistenziali e a incarnarle fino al possibile perché in ogni aspetto dell’esistente che conta se non si è radicali non si è niente. Non esiste una alternativa all’essere radicali. Se si è religiosi lo si applicando costantemente alcuni dogmi alcune regole che sono costantemente un sacrificio, ma se non lo si fa non si è semplicemente religiosi. Come avere una informazione e non usarla è sostanzialmente equivalente a non averla, allo stesso modo afferire ad alcune visioni del mondo o alcuni valori e poi non interpretarli in modo “radicale” significa non averli. O si è radicali o non si è nulla.
Sei stato tra i primi a raccontare, nei tuoi testi, come il mondo identitario debba conoscere e studiare le nuove forme di comunicazione e sviluppare competenze di comunicazione per avere impatto. Hai scritto molto sullo strumento dei meme, per i quali il mondo identitario può vantare un certo successo a livello globale. Riflettendo sul meme .. (the left can’t meme), secondo te perché il mondo identitario è avanti e il mondo antifa invece è sempre così in difficoltà nel comunicare alle nuove generazioni?
Non esagererei nel dire che il mondo identitario è avanti e il mondo antifa o progressista è “sempre in difficoltà”. Direi piuttosto che il mondo identitario è tendenzialmente più aperto alla sperimentazione, alla ricerca perché deve fare di difficoltà una virtù. Non avendo le grandi coperture politiche, né oggi né ieri, di cui ha goduto il mondo della sinistra radicale ha dovuto costantemente lavorare per trovare soluzioni tecniche che permettessero di far politica. Progetto Razzia stesso rientra in queste “scappatoie tecniche”.
Sulla difficoltà del mondo antifa a mio avviso siamo di fronte ad un fatto nuovo, prettamente generazionale. Fino alla generazione scorsa il mondo antifa era ancora fortissimo, letteralmente in grado di stabilire cosa fosse “cool” tra i giovani. Ora credo stia scontando il fatto che è molto difficile spacciarsi per rivoluzionari e trasgressivi e non voler troncare i contatti con la sinistra istituzionale che nel frattempo ha invece brutalmente vinto sul piano politico diventando il terminale politico del Capitalismo più avanzato e spietato. Diventa difficile per la sinistra radicale contemporaneamente non rinunciare alla copertura e ai vantaggi della vicinanza con la sinistra da salotto e allo stesso tempo piacere ai giovani vendendosi come “ribbbelle”. A livello più complessivo poi l’Occidente sta attraverso un enorme riflesso da parte della politica che dopo una parentesi secolare, sta tornando ad essere appannaggio delle élites (come storicamente è sempre stato) e sta smettendo di interessarsi ed essere interessante per le masse. Questa spoliticizzazione della società sta colpendo tutte le realtà politiche che infatti vivono praticamente senza più la figura del militante e paradossalmente in questo il mondo identitario ha retto molto meglio il colpo di chiunque altro perché, a mio avviso, oltre ad una dimensione misurabile, pragmatica, politica, per la militanza nel mondo della “destra radicale” esiste una dimensione esistenziale, piuttosto sconosciuta al resto del mondo politico, che rende impermeabili da alcune forme di pressione.
Che opinione ti dei fatto della comunicazione di case editrici come Passaggio al Bosco e cosa si potrebbe fare in futuro per far crescere ulteriormente il progetto?
Mi pare che Passaggio al Bosco stia già facendo un lavoro eccezionale: sul piano editoriale la quantità e la qualità del materiale pubblicato è elevatissima. Credo in realtà di poter dire che, rispetto ad una società che praticamente ha smesso di usare il libro come strumento di formazione, l’intera Area continui a muoversi benissimo con una ragnatela di case editrici che innegabilmente continuano a tenere un ritmo che il resto dell’editoria politica si può tranquillamente sognare.
Credo che il futuro tuttavia, per ovviare al fatto che la società è cambiata e oggi i libri “non si vendono più da soli” sia un po’ simile a quella che avevo ventilato, per questioni più strettamente politiche, sul testo “Stregoneria Politica”. In un’epoca in cui i social sono diventati l’ecosistema che decide che informazioni devono circolare e addirittura in che formato, occorre creare strumenti di contro-socializzazione, dei nuovi ecosistemi che rendano impermeabile una comunità umana a questi strumenti per il lavaggio del cervello. Quindi benissimo ad esempio la creazione del blog, per dare una profondità diversa ai propri messaggi, benissimo i libri, ma anche le presentazioni di persona, benissimo i social sforzandosi sia di entrare nella logica di ogni singolo strumento (ad esempio: “perché le recensioni dei testi su Youtube non funzionano più? Cosa dobbiamo inventarci per farle funzionare?” su Progetto Razzia in qualche modo qualche soluzione l’abbiamo trovata), ma soprattutto cercando di vedere l’insieme di questi strumenti di comunicazione con una strategia unitaria e complessiva.
Non è facile, ma non vedo grandissime alternative.
Grazie Guido.. alla prossima razzia.
Grazie a voi per la gentile ospitalità, alla prossima.
@progettorazzia9260