Pino Rauti ricorda Adriano Romualdi: “nel suo nome, la battaglia continua”

Ago 29, 2023

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(Civiltà, anno I numero 2, settembre-ottobre 1973)

La redazione di identitario.org ripropone, con piacere, un bellissimo pezzo pubblicato sul numero 2 di Civiltà nel lontano 1973, a pochi giorni dalla morte di Adriano Romualdi. Il ricordo di Pino Rauti, che di Adriano fu sodale e amico, sarà inserito in un volume collettaneo che Passaggio al Bosco sta ultimando e che – tra vecchi e nuovi interventi – contribuirà a celebrare la figura dell’intellettuale militante forlivese, i cui meriti sono straordinari e il cui pensiero, nonostante tutto, resta di paurosa attualità. 

Parlare di un amico morto è difficile, perché c’è sempre il rischio sottile, e paralizzante, che altri credano che quanto si dice, si scrive, sia dettato solo dall’occasione luttuosa. Parlare, scrivere, di un giovane camerata scomparso, è ancora più difficile perché in questo caso, in un momento in cui sentiamo di aver bisogno di tutte le nostre forze nella difficile battaglia, può avvenire davvero che ad essere privilegiata sia l’emozione, e basta. Ma dire di Adriano Romualdi, per me, per noi tutti di questa Rivista, è ancora e indicibilmente più duro perché non solo Adriano era un amico fedele, era giovane, era un camerata, ma la sua scomparsa è una perdita irreparabile in termini di rigore ideologico, di impegno dottrinario, di ampie potenzialità culturali che già al loro primo manifestarsi – in questi anni – si potevano senz’altro sottolineare come estremamente valide e ancor più promettenti.

Adriano era cresciuto nelle «nostre» file, nei nostri ambienti giovanili, tra i dibattiti fervidi che in un periodo politicamente e psicologicamente difficile, non avevano mai smesso di seminare idee e tesi, preparando, con solida base, tempi migliori. Ma, a differenza di tanti altri, al di là di quello che si usa definire correntemente impegno politico – e anche, quando occorreva, attivistico, nelle scuole e sulle piazze – Adriano si era subito imposto per la sua superba capacità culturale e, ancora di più, per il pregio – davvero raro – di saper studiare, di approfondire i nessi tra fatti e princìpi, di tenersi coerentemente e lucidamente connesso alle fonti della nostra dottrina e di saperla intendere, al tempo stesso, come un corpus ideologico organicamente e armoniosamente articolato e come una concezione della vita e del mondo, qualcosa che si fa stile di vita, coerenza di pensiero e azione, indispensabile faro orientatore per ogni giudizio, d’uomini, di tesi e di valori. Perfetto conoscitore del tedesco, e anzi autentico «innamorato» del mondo della cultura «nordica», Adriano si era specializzato subito in questa non facile direzione e, pur sfuggendo alle insidie del settorialismo accademico, vi cominciava ad emergere con connotati propri.

Altri, su altre pagine, hanno detto del suo valore specifico di studioso, che noi da anni avevamo intuito e quasi presagito, pubblicando i suoi primi scritti e, quando fu il tempo, di recente, la sua opera sul pensiero nietzschiano. E d’altronde, se non avesse avuto autentica taglia di studioso, di storico preparato, di giornalista che sapeva anche essere estremamente spigliato e polemico, uno che la pensa come la pensava Adriano – e non fa mistero delle sue idee – non sarebbe arrivato, a soli trentatré anni, in questa Italia di mafie culturali imperversanti soprattutto nell’insegnamento, non sarebbe arrivato, si diceva, a diventare assistente di ruolo per la Storia contemporanea all’università di Palermo e assistente in quella di Roma. Nè ad avere un così nutrito «elenco» di scritti, saggi, opuscoli, libri, ai quali vanno aggiunti i testi delle decine e diecine di conferenze da lui tenute (ne ricordiamo personalmente alcune, bellissime e ricche di «contenuti» ideali e dottrinari, svolte nella sede del nostro Centro Librario, in occasione soprattutto di corsi di cultura politica, alla cui formulazione Adriano forniva indicazioni e spunti insostituibili).

Ai lavori di «specializzazione», che gli erano così congeniali – e che trovarono espressione prima con la tesi di laurea (massimo dei voti, lode e pubblicazione; relatore, il prof. Renzo De Felice) su «I movimenti di destra in Germania nel periodo 1919-1933»; poi con la vasta, documentata, addirittura dotta introduzione all’opera di H.F.K. Gunther su «La religiosità indoeuropea», da lui tradotta in italiano e che tra breve si sarebbe espressa in quella «Storia delle dottrine del nazionalismo tedesco», alla quale si stava dedicando in questi ultimi mesi, Adriano affiancava – e non in posizione subalterna ma intensamente vissuta in termini di coerenti contenuti dottrinari – una serie di prestazioni più propriamente politiche. È ad esse che gran parte dei nostri giovani va debitrice della sempre più diffusa conoscenza di alcuni autori e pensatori che rientrano nell’ormai indispensabile «armamentario» di una lotta politica che voglia essere autenticamente e creativamente nostra: da Drieu La Rochelle a Brasillach a Spengler e soprattutto a Julius Evola. Di questo autentico Maestro nel senso classico e tradizionale della parola, di questo «capostipite» di tutta la contestazione spirituale della destra rivoluzionaria, Adriano ci ha lasciato – nell’indovinatissima, anche tipograficamente ed editorialmente, «Collezione Europa», da lui fondata e diretta – l’unico profilo completo mai uscito sinora, e non solo in Italia.

Che più ricordare? Gli articoli e i saggi su «l’Italiano», naturalmente; e non solo quelli più culturalmente dotati, ma anche gli scritti sulle battaglie «disperate» dell’ultima fase della guerra sul fronte orientale, dallo scontro gigantesco di Kursk all’Oder alle rovine fiammeggianti di Berlino. Era una «epopea», quest’ultima fase del gigantesco conflitto, che aveva sempre affascinato Adriano. Egli, sin da ragazzo, sin da quando frequentava le nostre prime conversazioni e «rievocazioni», vi vedeva, vi coglieva appieno alcuni caratteri distintivi del tutto emblematici: quell’emergere dilagante dell’Asia, che traspariva dall’immensa marea dell’Armata Rossa che niente e nessuno riuscivano più a fermare, e – di contro, altrettanto netto, altrettanto simbolico – quel ritrovarsi «europeo» (al di là degli stretti schemi nazionalistici e quasi «sciovinistici» che avevano contrassegnato tutta la prima fase della «guerra dell’Asse») e che si era espresso alla fine ne «I leoni morti», secondo il titolo di uno stupendo romanzo «vero» di Saint-Paulien, negli ultimi difensori della Cancelleria, che non tedeschi erano stati ma francesi, danesi, norvegesi, belgi. Più volte avevamo insistito con lui sulla necessità che egli si «dedicasse» – con quel rigore da studioso di buona tempra che era una sua così solida caratteristica – proprio all’analisi approfonditta di quanto vi era di storicamente interessante in quel periodo, per darci un’opera riassuntiva che ancora manca – e che adesso, forse, mancherà per sempre – alla nostra cultura. E poi gli articoli, i saggi, gli scritti sulle nostre Riviste, su «Ordine Nuovo» prima e adesso su «Civiltà». I nostri lettori già li conoscono, hanno avuto come noi occasione di valutarli e di apprezzarli, ma è bene che sappiano che la sua non era soltanto una qualunque «collaborazione»; era molto, molto di più; era un marciare insieme su tante linee di vetta culturali e dottrinarie, era un consigliarsi mutuo e costante su tanti e tanti argomenti, storiografici e ideologici, che non sempre trovavano il modo di esprimersi su queste nostre pubblicazioni «povere» che escono quando possono e tirano avanti sul filo delle cambiali ai tipografi amici, quando se ne trovano.

Che più dire? Di altre cose che potremmo adesso, qui, ricordare, pochi capirebbero l’essenza, lo scopo, il significato interiore. Delle discussioni fervide e dei dibattiti, degli excursus intellettuali di tutti questi anni, delle polemiche sulla «cultura di destra», sui temi del classicismo e del romanticismo, su quelli postici dal corporativismo e da tutta la sua imponente problematica; si parlava di tutto, si spaziava su tutto, dall’attualità sociologica ai simboli antichi, dal costume moderno al «Kaly-yuga», ai tempi oscuri vaticinati dai Testi tradizionali; dal Medio Oriente alle origini indo-europee. Di tutto e su tutto, ma mai genericamente; Adriano, quando polemizzava, non era un interlocutore «facile»; dietro il suo aspetto giovanile spuntavano subito gli artigli e gli aculei del ferratissimo docente universitario, e con lui dovevi pesare le virgole e le date e batterti, se era il caso, ad altissimo livello. Ma, per fortuna, quasi sempre eravamo d’accordo…

Parlando tra noi quando la notizia della morte ci ha raggiunto – ci ha folgorati, ed eravamo lontani, ormai irreparabilmente in ritardo per salutarlo sulla bara – qualcuno ha osservato che era davvero una tragica beffa del destino che proprio uno come Adriano fosse morto fra lo stridere modernistico delle lamiere di una macchina, mentre a pochi metri di distanza passava, insensibile, lo strombettante flusso della motorizzazione d’agosto. Ci sono venuti alla mente quei versi, bellissimi e sarcastici, di una canzone di Leo Valeriano sul «morire in autostrada». La vita ha di queste contraddizioni, intendiamo la vita di tutti noi che siamo un po’ gli esuli, i profughi, i proscritti di «questo» mondo e di questo sistema, e tuttavia dobbiamo vivere in esso, ed essere uomini anche del nostro tempo, per mutarlo, rinnovarlo.

Ma bisogna andare sempre oltre le prime apparenze. Negli abiti di Adriano, hanno ritrovato un biglietto d’ingresso per Ostia Antica. Chi va negli scavi – abbandonati, non curati, negletti – di Ostia Antica, in pieno agosto? Adriano ci andava, tra quelle vecchie pietre trasudanti simboli e insegnamenti, anche se era agosto pieno; così come andava, in Germania, per castelli e chiese antiche, medievali, gotiche, a ricercarvi le fonti comuni di quella «europeità» alla quale sempre si richiamava, e ci richiamava.

È una dura perdita, sì; una irreparabile perdita. Il padre e la madre di Adriano, i parenti tutti così atrocemente colpiti, sappiano che il loro dolore è stato il nostro. Ma sappiano, anche, che il nostro non è il banale ricordo al quale il trascorrere del tempo toglie inevitabilmente gli spigoli e le forme; noi consideriamo Adriano come un camerata caduto sulla nostra trincea ideale. Anche nel suo nome, attraverso tutti noi, la battaglia continua.

Per approfondire:
DESTRA RIVOLUZIONARIA E NAZIONALISMO EUROPEO
e DRIEU LA ROCHELLE: IL MITO DELL’EUROPA

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