Perché Stalin creò Israele

Nov 24, 2023

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Siamo stati abituati a pensare che a sostenere lo Stato ebraico, fin dalle origini, siano state le potenze occidentali a guida angloamericana.

Il giornalista russo Leonid Mlecin, nel testo “Perché Stalin creò Israele” (Sandro Teti Editore, 2010), ricostruisce le varie fasi della nascita dello Stato israeliano sostenendo, dati alla mano, che senza Stalin Israele non avrebbe mai visto la luce in Palestina. All’indomani della dichiarazione Balfour (2 novembre 1917), gli sforzi reali da parte delle potenze occidentali per favorire la nascita di un «focolare nazionale per il popolo ebraico» in Palestina furono scarsi: per questo motivo, molti ebrei emigrati in Palestina iniziarono a guardare verso Mosca.

Diversi membri dell’Haganah (letteralmente “La Difesa”, paramilitari ebrei stanziati in Palestina, attivi dal 1920 al 1948, successivamente integrata nelle forze armate di Israele):

«si erano recati a Mosca e ne erano tornati comunisti convinti, ma l’organizzazione, nel suo insieme, non cadde sotto il controllo del Comintern, nonostante l’orientamento socialista di molti ebrei palestinesi. I membri dell’Haganah lavoravano nei sindacati di sinistra (Histadurt) [Federazione generale dei lavoratori ebrei in terra di Israele], oppure nei kibbutz, cooperative agricole simili ai kolchoz, o meglio colonie agricole basate sul principio comunista “da ciascuno secondo le sue capacità, a ciascuno secondo i suoi bisogni”. Esse furono fondate dalla gioventù ebraica proveniente dalla Russia, dalla Polonia e dalla Romania […]. Nel 1923 anche David Ben Gurion, futuro primo ministro di Israele, si recò a Mosca con una delegazione dell’Histadurt alla Mostra pansovietica dell’agricoltura e dell’artigianato».

David Ben Gurion, ammiratore di Lenin, univa socialismo e sionismo: 

«è necessario organizzare la classe operaia, ma non basta: bisogna anche educarla e aiutarla a integrarsi in Palestina». Nonostante il tentativo di legare la causa ebraica all’URSS, nelle tesi del Secondo Congresso del Comintern il sionismo venne criticato: «mentre fa mostra di aspirare alla costruzione di uno Stato ebraico in Palestina, sacrifica i lavoratori arabi allo sfruttamento inglese».

Mahmoud al Atrash, uno dei dirigenti del Partito comunista palestinese, che studiò tre anni all’Università comunista per i Lavoratori d’Oriente di Mosca, scrisse che i lavoratori arabi non potevano fidarsi degli ebrei, anche se questi ultimi:

«erano i migliori nella lotta per l’indipendenza nazionale; agli occhi delle masse arabe [gli ebrei] rappresentavano in primo luogo una minoranza etnica, alla quale l’imperialismo aveva concesso immensi privilegi a scapito dei popoli arabi». 

Ricordiamo che il territorio palestinese, dal 1920 al 1948, fu governato dal Regno Unito (Mandato britannico della Palestina).

Nel 1929, il Comintern appoggiò apertamente gli arabi invitandoli a liquidare i sionisti, disarmare gli ebrei e impedire l’arrivo di nuovi immigrati israelitici. La divisione tra ebrei e arabi si acuì quando i comunisti arabi palestinesi stabilirono contatti con Amin al Husseini, Gran Mufti di Gerusalemme, acerrimo nemico degli ebrei, che più tardi si sarebbe alleato con Hitler. Nello stesso anno iniziarono i primi scontri tra arabi ed ebrei, per via del diritto di accesso al Muro del Pianto. Negli anni successivi gli scontri si protrassero: i nazionalisti arabi si opposero all’immigrazione degli ebrei e alla vendita di terreni agli israeliti.

In quegli anni, gli ebrei palestinesi non avevano alleati. Da un lato l’URSS parteggiava per gli arabi, mentre gli Stati Uniti d’America temevano che la nascita di uno Stato ebraico avrebbe ostacolato le compagnie petrolifere americane nei loro affari con i paesi arabi. Non solo, negli anni di Truman, il Dipartimento di Stato raccomandò al Presidente di non favorire la nascita dello Stato ebraico perché «nell’arco di tre anni questo si sarebbe trasformato in una marionetta comunista». Perfino i servizi segreti inglesi erano divisi in fazioni tra favorevoli e contrari alla nascita dello Stato di Israele.

L’URSS cambia idea: i sionisti vanno aiutati

Con l’inizio dell’Operazione Barbarossa (giugno 1941), Stalin decise di utilizzare gli ebrei sovietici per lanciare un appello e unire tutti gli ebrei del mondo contro Hitler. Fu così che nacque il Comitato Ebraico Antifascista. Gli ebrei di tutto il mondo raccolsero e inviarono nell’Unione Sovietica 45.000.000 di dollari. Ivan Majskij, ambasciatore sovietico a Londra:

«confermò in Stalin l’idea che gli ebrei americani avrebbero potuto indurre il loro governo alla rapida apertura di un secondo fronte in Europa e che, a tal fine, gli ebrei sovietici potevano essere molto utili. Fu dunque questo lo scopo del viaggio negli USA di una delegazione del Comitato Ebraico Antifascista, guidata da Solomon Michoels, direttore del Teatro statale ebraico, e del famoso poeta di lingua yiddish, Isaak Fefer, intraprese nella primavera del 1943. […] Durante il viaggio Michoels e Fefer incontrarono anche Weizmann [fondatore e presidente dell’Agenzia Ebraica], il quale chiese loro di riferire al governo sovietico che, se fosse stato creato in Palestina uno Stato ebraico, questo non avrebbe mai consentito interventi ostili nei confronti dell’Unione Sovietica».

Negli stessi anni, Ben Gurion, futuro primo ministro d’Israele, riferiva a Majskij: «Noi teniamo molto alle nostre convinzioni socialiste e abbiamo già costituito in Palestina la base di una società di tipo socialista». Nel dopoguerra, Stalin volle attestarsi la “causa ebraica” in funzione antinglese. Infatti, a dispetto dello scenario odierno, gli inglesi in quel periodo erano ostili alla nascita di uno Stato Ebraico.

Daniil Solod, ambasciatore sovietico in Libano, il 19 febbraio 1947 scrisse:

«Gli inglesi si sono a tal punto appassionati al gioco della guerra con i terroristi ebrei che, oltre a organizzare le consuete retate dell’esercito a Tel Aviv e piccoli rastrellamenti nelle altre città di Palestina, hanno recintato con il filo spinato interi quartieri di Haifa e di Gerusalemme. E tutto ciò è talmente ridicolo che i palestinesi hanno ribattezzato questi rioni “Bevingrad”».

Gli inglesi avevano bisogno degli arabi: 

«In Inghilterra il rigido inverno si accompagnò con la crisi energetica più grave della storia del Paese. L’industria di fatto si fermò, gli inglesi morivano di freddo e, come non mai, il governo britannico desiderava buoni rapporti con i paesi arabi esportatori di petrolio». 

Gli ebrei di Palestina costrinsero il governo inglese a mettere nelle mani dell’Onu il loro destino, mettendo -de facto- la “causa ebraica” nelle mani delle due grandi potenze: USA e URSS. Gli esponenti dell’amministrazione Truman erano contrari alla edificazione dello Stato Ebraico per impedire all’URSS di creare una testa di ponte in Medioriente, mentre Stalin appoggiò la causa dei sionisti in funzione antinglese. Fu Golda Meir, primo ambasciatore a Mosca, successivamente ministro degli esteri e infine primo ministro di Israele, a scrivere: «Lo scopo dei sovietici era estromettere l’Inghilterra dal Medio Oriente».

Il 26 novembre del 1947 l’Assemblea generale dell’Onu affrontò la discussione sul problema palestinese. Andrej Gromyko, l’allora ministro degli esteri dell’Unione Sovietica, pronunciò un discorso in cui:

«formulò due possibili soluzioni per il problema: la creazione di un unico Stato arabo-ebraico, oppure, se questa variante fosse risultata impraticabile, la spartizione della Palestina in due Stati democratici indipendenti, uno arabo, l’altro ebraico. Ora poiché sia gli arabi che gli ebrei dichiaravano di non poter convivere, restava in piedi solo la seconda ipotesi, contestata soltanto dagli Stati arabi». 

È importante sottolineare che prima ancora della nascita dello Stato di Israele tutti erano consapevoli che la convivenza tra arabi ed ebrei era impossibile.
Tuttavia, il ministro degli esteri dell’URSS dichiarò, con non poca retorica, che:

«i rappresentanti dei paesi arabi sostengono che la spartizione della Palestina costituirebbe un’ingiustizia storica, ma questa opinione non è condivisibile, perché in realtà il popolo ebraico ha mantenuto il suo legame con la Palestina dai tempi più antichi. Inoltre, non possiamo non tener conto della situazione in cui esso si è venuto a trovare dopo l’ultima guerra scatenata dalla Germania hitleriana, che gli ha recato più sofferenze che a qualsiasi altro popolo». 

E quando le delegazioni arabe manifestarono il loro scontento per la posizione dell’URSS, Gromyko rispose:

«Siamo profondamente convinti che la spartizione della Palestina in due Stati indipendenti risponda agli interessi non solo degli ebrei, ma anche degli arabi».

Il governo inglese era disposto a lasciare la Palestina e a creare le condizioni per la costituzione di due stati, solo nel caso in cui le due parti – arabi ed ebrei – avessero trovato un accordo. Il ministro degli esteri sovietico si oppose, rispondendo che:

«La stessa discussione del problema in seno a questa assemblea dimostra che arabi ed ebrei non possono intendersi, pertanto, porre tale condizione equivale a seppellire la decisione dell’Assemblea prima ancora che sia presa». 

Mlecin scrive che:

Andrej Andreevič Gromyko

«In sostanza, Gromyko appoggiò la lotta armata delle formazioni ebraiche clandestine contro le autorità britanniche. […] Truman, visto che Stalin aveva deciso fermamente di dare uno Stato agli ebrei, decise che, da parte degli Stati Uniti, opporsi sarebbe stato stupido».

Non solo il presidente degli Stati Uniti decise di appoggiare la nascita di Israele, ma si adoperò per far sì che anche gli stati sudamericani votassero a favore dello Stato ebraico. Il 29 novembre 1947, all’ONU, si votò la risoluzione 181 (Piano di partizione della Palestina). Agli ebrei erano necessari i due terzi dei voti e grazie a Stalin –il quale controllava 5 voti (URSS, Bielorussia, Polonia, Cecoslovacchia, Ucraina)- la Risoluzione venne approvata. Senza i voti favorevoli di Stalin, Israele non sarebbe mai nata.

Subito dopo l’approvazione della Risoluzione, gli arabi – armati dagli inglesi – attaccarono gli ebrei palestinesi; questi ultimi, tuttavia, riuscirono a difendersi grazie alle armi sovietiche, che arrivavano dalla Cecoslovacchia. Con l’abbattimento di cinque caccia inglesi, scambiati per egiziani, Israele rischiò la guerra aperta con l’Inghilterra. Nel frattempo, gli statunitensi impedivano la vendita di armi alle due fazioni, ma ciò non impedì a Golda Meir – pedinata dall’Fbi – di recarsi negli USA per chiedere agli ebrei di sostenere la causa israeliana. Questua che diede ottimi risultati: dagli israeliti raccolse 50.000.000 di dollari.

Scaduto il mandato britannico della Palestina, il 14 maggio 1948, venne proclamata la nascita dello Stato di Israele. Sedici giorni dopo il Comitato Antifascista Ebraico comunicò che «per la prima volta nel corso della sua storia, ricca e sofferta, il popolo ebraico ha trovato un autentico difensore dei suoi diritti e dei suoi interessi: l’Unione Sovietica, amica e protettrice di tutti i popoli».

Peccato che poco dopo, il 20 novembre 1948, Stalin ordinò la chiusura del Comitato Antifascista Ebraico, in quanto quest’ultimo, per il dittatore sovietico, era un covo di spie americane. La paranoia di Stalin era sconfinata. Scrive Mlecin:

«ai responsabili politici dell’esercito fu detto chiaramente che la prossima guerra sarebbe stata combattuta contro gli Stati Uniti e che, poiché negli USA erano gli ebrei a indirizzare il corso politico, gli ebrei sovietici avrebbero potuto rivelarsi tutti traditori. Del resto, alcuni loro erano già implicati in attività sovversive o di spionaggio per conto degli americani».

Se l’URSS, per i primi anni, esternamente appoggiò Israele, all’interno diffondeva un antisemitismo che costò la carriera a diversi accademici ebrei sovietici. Il clima di ostilità nei confronti degli ebrei trapelò dalla stampa israeliana a partire dal 1949, suscitando le ire di Stalin, il quale non voleva in nessun modo apparire antisemita. I rapporti si deteriorarono in fretta: il 13 gennaio 1953 Stalin annunciò al mondo l’esistenza di un «complotto di medici [ebrei]» ai danni dell’URSS. I medici israeliti avrebbero ucciso tra il 1945 e il 1948 diversi uomini ai vertici dell’Unione Sovietica ed erano pronti a colpirne altri. Meno di un mese dopo, il 9 febbraio, una bomba venne lanciata contro l’ambasciata sovietica a Tel Aviv. Fu così che l’URSS decise di interrompere le relazioni diplomatiche con Israele. Il resto, come si usa dire, è storia.