A Crépol, piccolo villaggio francese non molto distante da Grenoble, una festa di paese si è trasformata in massacro: dieci criminali incappucciati – che la stampa si limita a definire “ragazzi provenienti dai quartieri difficili” – hanno assaltato la festa con coltelli e mannaie, ferendo venti persone ed uccidendo un ragazzo di sedici anni, colpito alla gola e al torace.
Non si tratta di un banale fatto di cronaca o di una serata finita male, ma di un raid organizzato e premeditato, portato a termine con metodi feroci e collaudati: i testimoni parlano di una “caccia al bianco” messa in atto da chi – pur essendo nato o cresciuto sul suolo francese – si sente in guerra con i nativi di quella Nazione. Inutile girarci intorno: si tratta dell’ennesima manifestazione di quella “società aperta” che solo qualche mese fa – sempre Oltralpe – si era mostrata in tutta la sua follia nel caos vandalico delle banlieue.
Scontri, agguati, tensioni e violenze: è questo il leitmotiv di un modello sociale che, destrutturando le identità, ha moltiplicato i conflitti. A differenza di quanto accaduto per Nahel, il giovane di origini algerine ucciso durante un fermo di polizia lo scorso giugno, nessuna ondata di indignazione ha travolto la Francia: il silenzio dei media – sempre solerti nel denunciare il “razzismo”, la “discriminazione” e il “patriarcato” – è a dir poco imbarazzante. Anche questa, del resto, è la perversa macchina del “politicamente corretto”: inveire a senso unico, nascondere i fatti scomodi, attuare una narrazione unilaterale che alimenti la “colpevolizzazione degli europei”.
A Thomas – e a tutte le vittime di questa violenza brutale e tollerata – va il nostro pensiero. L’Europa non sarà mai il vostro mattatoio!