Lo sciacallaggio mediatico sul femminicidio e il patriarcato immaginario

Dic 16, 2023

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Il caso dell’omicidio di Giulia Cecchettin è emblematico di come – partendo da un crimine, per quanto odioso come l’omicidio – alcuni ambienti speculino per affermare le loro tesi, in larga parte non basate su dati reali. Andrebbe sempre ricordato, infatti, che i fenomeni sociali, e/o criminali, andrebbero analizzati in modo lucido e serio, possibilmente basandosi sui fatti e non sull’onda dell’emotività.

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Cominciamo allora dall’inquadrare il fenomeno dei femminicidi in base ai numeri. Secondo il Dipartimento della Pubblica Sicurezza si sono registrati, dall’inizio dell’anno al 12 Novembre, 285 omicidi e – in 102 casi – le vittime sono state donne. Possiamo dire, quindi, che i casi generali di femminicidio sono il 35,80% di tutti i casi di omicidio, a fronte di una lieve maggioranza di donne rispetto agli uomini nella popolazione nazionale (51,3% dei cittadini italiani sono donne (1)). Con un breve calcolo si deduce che in quasi 7 casi di omicidi su 10, dati alla mano, vengono uccisi uomini. In ambito familiare si sono registrati 125 omicidi, in cui 82 volte (sempre al 12 Novembre) le vittime sono donne. Anche qui andrebbe segnalato che quasi 1 omicidio familiare su 3 vede come vittima un uomo, cosa che non viene mai citata. Possiamo concludere con l’ultima statistica che ci indica che – su 82 volte in cui una donna viene uccisa in ambito familiare – i casi in cui il colpevole è stato il partner attuale o precedente della vittima sono 53: ergo, 1 caso su 3 circa non vede coinvolto il partner della vittima. (2) Siamo di fronte ad un effettivo aumento dei femminicidi, come si sente sempre dire? In realtà, come spesso accade, la verità è diversa e – anche stavolta – basta affidarsi all’analisi dei dati. Il numero di femminicidi in ambito domestico è ormai stabile; anzi, nel corso degli anni si è assistito ad un lieve calo di questi reati (manca un paragone tra il 2023 e il 2022 visto che purtroppo il numero di casi relativo a quest’anno aumenterà entro la fine dell’anno). (3)

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Stabilito che gli uomini – in realtà – uccidono nella stragrande maggioranza dei casi altri uomini – proviamo a capire se l’esposizione mediatica che ricevono i casi di femminicidio è pari ad altri «stragi» che avvengono nel nostro Paese e se le analisi sociologiche sono della stessa entità. Pensiamo alle vittime per incidenti stradali: nel 2022 si sono registrati 3.159 morti, con un lieve calo nel primo semestre del 2023 (4), a fronte delle 53 donne vittime di femminicidio da parte dell’attuale o precedente partner. Possiamo citare un altro esempio di strage di grandi dimensioni: le vittime sul lavoro. Nei primi sette mesi del 2023 sono decedute 559 persone sul lavoro (di cui 129 in itinere, cioè mentre si recavano sul posto di lavoro o da lì tornavano a casa) con un incremento del 4,4% rispetto allo stesso periodo del 2022. (5)

Da tutta questa massa di dati – di cui mi scuso, ma è necessaria – si evince che i casi di femminicidio non sono così tanti come ci dicono; peraltro, l’Italia è fortunatamente agli ultimi posti in Europa per numeri di questi reati, seppur decisamente troppi, e che se li paragoniamo ad altri casi sociali in cui italiani e italiane perdono la vita (incidenti stradali e sul lavoro, ad esempio) sono numericamente inferiori. Ma l’intento – nel nostro caso – non è quello di fare una «classifica delle morti»: piuttosto, è quello di proporre uno spunto sul perché i femminicidi «godano» di un’esposizione mediatica strabiliante (giornali, telegiornali, soubrette e influencers vari), mentre le altre stragi no. E, soprattutto, come mai mentre nel primo caso si cercano cause sociali, ciò non lo si fa nel caso delle vittime della strada (industria delle automobili, tagli alla manutenzione delle strade, ecc.) e – ancor peggio – non lo si fa per le morti sul lavoro? Perché se un uomo uccide una donna la colpa è del presunto patriarcato e non del singolo omicida e – se una persona muore sul lavoro – la colpa è della disattenzione del singolo lavoratore o della singola azienda e non del capitalismo? Come mai se un uomo uccide una donna, artisti, scrittorie giornalisti lanciano accuse all’intero genere maschile e alla società, la stessa attenzione mediatica (tolto qualche cantante il Primo Maggio) non avviene nei casi delle morti sul lavoro, accusando l’intera classe imprenditoriale e il sistema capitalista? Come mai si dice che bisogna educare gli uomini fin dall’infanzia al rispetto delle donne (vorrei conoscere qualche genitore che insegna al proprio figlio a picchiare le bambine a scuola…) ma non si dice che bisogna educare i bambini, fin dalla scuola, a comprendere che la logica del profitto provoca centinaia di morti all’anno?

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Questa strategia l’abbiamo vista all’opera già altre volte – ad esempio per far approvare la Legge Mancino venivano ossessivamente ripetuti e ingigantiti presunti casi di aggressioni antisemite; oppure, per far passare l’idea che l’Italia sia un Paese razzista, vengono riportati in continuazione episodi di presunte discriminazioni, oppure, sul fronte opposto, per far passare l’idea che tutti gli immigrati siano delinquenti, si cita spesso e volentieri la nazionalità extracomunitaria del colpevole, ma la si tace quando l’immigrato è la vittima. Ciò a cui assistiamo oggi è una vera e propria opera di sciacallaggio sulle spalle delle vittime di orrendi crimini, come ovviamente è il caso del femminicidio, ad opera di ambienti che cercano di cavalcare l’emotività della massa per spingere in avanti la propria visione del mondo: distruzione della famiglia, abolizione dei generi e delle rispettive differenze, società liquida, uomo irresponsabile e devirilizzato, economicizzazione dei rapporti umani, ecc.

Ciò è del tutto evidente nel tentativo di addossare le colpe dei femminicidi a una presunta società patriarcale in cui vivremmo, la quale avrebbe alla base quella che viene definita la «cultura dello stupro». La cosa incredibile di tali ragionamenti è che sono completamente fuori tempo e che la società in cui tale crimine si starebbe diffondendo è quella che quegli stessi ambienti socio-culturali hanno creato. L’accusa di vivere in un Paese patriarcale e/o maschilista è quanto meno fuori tempo dato che – alla guida del Governo, per la prima volta – c’è una donna, cosa che dimostra come la popolazione maschile accetti non solo che una donna possa svolgere le stesse mansioni di un uomo, ma che possa anche decidere le sorti proprie e della propria Nazione. Che poi la Meloni non attui politiche che piacciono agli ambienti cosiddetti progressisti è questione soggettiva e nulla – ovviamente – ha a che fare col fatto, invece oggettivo, che l’Italia è un Paese in cui una donna non solo non «deve stare un passo indietro all’uomo», ma di cui può deciderne le sorti economiche, sociali e politiche – segnalo che gli stessi ambienti accusano in palese contraddizione con se stessi, che la Presidente del Consiglio voglia «comandare» e non governare, segno che le riconoscono una volontà e un ruolo che primeggia rispetto ai suoi colleghi uomini. Non parliamo poi dei fenomeni di costume, come la musica dove starlette hanno ben capito come sfruttare il «patriarcato», esibendosi più nude che vestite per vendere qualche disco in più, o, ancor più, il mondo social dominato da «influencers» e dalle cosiddette «sex workers», che, spesso, ritengono superfluo studiare o imparare un lavoro, dato che sfruttando il proprio corpo guadagnano spesso più di un operaio. È del tutto evidente che in Paesi dove esiste realmente il patriarcato, ad esempio nei Paesi musulmani, tutto ciò è ovviamente inesistente, in quanto vietato dalla «società dello stupro» maschilista. Non è irrilevante che è proprio contro questi Paesi in cui la donna non può «mercificarsi» che gli ambienti autodefinitisi «femministi» si scagliano, si pensi alla campagna d’odio contro l’Iran ad esempio.

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È quindi evidente che la donna, oggi, non è una vittima sacrificale della società maschilista e patriarcale, ma, molto spesso e nei settori più moralmente degradati – che come detto sono quelli che maggiormente accusano l’intero genere maschile – va benissimo adattarsi alla mentalità dominante e alla sua oggettivizzazione delle donne, perché comportandosi come oggetto, esse acquisiscono un valore commerciale in sé, e possono «mettersi» sul mercato. Il problema vero è che rappresentandosi come oggetto, questo tipo di donna si rende partecipe della logica del «possesso» di essa stessa – non si può avere senso del possesso dell’Essere, ma solo dell’Ente, per usare il vocabolario di Heidegger – e di conseguenza, si genera l’idea di poter disporre dell’oggetto-donna come meglio si crede – lo stesso fenomeno lo abbiamo visto con la Natura, la quale una volta desacralizzata è diventata nient’altro che una materia prima da usare a piacimento dell’Uomo.

Farebbe poi ridere, se la situazione non fosse drammatica, che ad accusare la società siano gli stessi ambienti che questa società l’hanno creata, e non chi questa deriva, che è iniziata con il «68»,e di cui non si vede la fine, l’ha sempre contestata. Come si può chiedere oggi alla famiglia di educare i propri figli, quando da oltre 50 anni essa è al centro di una campagna sistematica di demolizione e ridotta a poco più di una società di interessi regolata da un contratto, e privata di ogni valore etico e morale? Che ruolo formativo si può richiedere a una scuola vittima da anni di tagli di spesa, a cui viene tolta la possibilità di dare voti (prima volta in cui una persona si trova ad affrontare un giudizio e magari una delusione), in cui è stata tolta l’educazione civica, ecc.? È forse con un corso di «educazione affettiva», col quale far passare le teorie gender e di società liquida, che si pensa di colmare questo disastro educativo? Come si può pretendere un rapporto sereno e maturo di coppia, se il modello che i mass-media propongono è quello della musica trap, di Uomini & Donne, Temptation Island, ecc? Cosa ci si aspetta da giovani, e meno giovani, de-virilizzati, privati di ogni senso dell’Onore, della tenuta di sé, della dignità, del Distacco e della capacità di affrontare le avversità?

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È compito di ciascuno, uomo o donna che sia, invertire questa rotta, eliminare la mentalità mercantilistica che ci fa considerare il prossimo (specialmente la donna) come un oggetto, cosa che perverte ogni rapporto umano e sociale; rimettere al centro della Comunità la famiglia, considerandola come la cellula prima della educazione degli individui; battersi per ridare peso e dignità alla scuola, campo in cui i movimenti studenteschi devono svolgere un ruolo di primissimo piano; puntare alla trasformazione dell’uomo in Vir, con tutte le Virtù che la nostra Tradizione millenaria prevede; ritornare a un rapporto di tra i sessi di vicendevole completamento, nel rispetto delle proprie peculiarità di genere e nell’ovvio reciproco rispetto (le famose metà perfette della mela di Platone) e non certo di sovrapposizione o, peggio ancora, di conflitto, come certi ambienti vorrebbero… insomma un revolvere verso la Tradizione, altroché stupide e vili speculazioni sulla pelle di tante ragazze vittime innocenti per spingere sull’acceleratore della devastazione sociale.

PER APPROFONDIRE:

NOTE: 
1) https://www.istat.it/it/files/2022/04/ItaliaInfografica-accessibile-Popolazione-famiglie-1.pdf
2) https://www.cortiledeigentili.com/un-25-novembre-per-dare-voce-alle-sorelle-senza-voce/#:~:text=I%20dati%20del%20Dipartimento%20della,cui%20le%20vittime%20erano%20donne.)
3)  L’incidenza degli omicidi di donne commessi in ambito domestico è rimasto sostanzialmente invariato, registrando soltanto un lieve, seppur oscillante, calo. Il picco si è registrato nel 2013, quando sono state uccise da un parente o un (ex) partner 0,42 donne ogni 100mila. Mentre nel 2020 la cifra è scesa a 0,32.  (https://www.openpolis.it/resta-alto-il-numero-di-femminicidi-in-italia-e-in-europa/)
4) https://tg24.sky.it/cronaca/2023/11/19/giornata-vittime-strada-incidenti-dati-italia-2023
5) https://finanza.lastampa.it/News/2023/08/31/morti-sul-lavoro-559-vittime-nei-primi-7-mesi-2023-media-di-80-vittime-al-mese/MTczXzIwMjMtMDgtMzFfVExC#:~:text=Nei%20primi%20sette%20mesi%20del,occasione%20di%20lavoro%20(74).