L’impero Netflix e il controllo del divertimento

Set 7, 2023

Tempo di lettura: 4 min.

Che cos'è Netflix?

Uscito in primavera per i tipi di Passaggio al Bosco Edizioni, “L’impero Netflix” è il primo libro che affronta criticamente il mastodontico mondo delle piattaforme di video on demand. Agile e profondo, questo contributo di Édouard Chanot – tradotto dal catalogo de La Nouvelle Librairie – prende in esame uno dei più efficaci strumenti del nostro tempo.

In due decenni, del resto, Netflix si è affermato in tutto il mondo: oltre 220 milioni di abbonati – ai quali vanno sommati gli utenti che usufruiscono degli accessi multipli da più dispositivi – fanno di questo servizio digitale un colosso dell’intrattenimento di massa. Vi è di più: Netflix – con tutte le sue contraddizioni – ha creato un vero e proprio modello, andando a riconfigurare la fruizione dei contenuti, il ritmo della narrazione, la veicolazione dei messaggi. L’analisi del testo segue tre filoni principali: il management aziendale, l’impatto sul cinema e – non ultimo per importanza – l’impianto ideologico di fondo.

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Nato nella Silicon Valley, Netflix ha assorbito e rielaborato buona parte della “filosofia” che ha animato la rivoluzione digitale californiana degli scorsi decenni: la “densità del talento” che deriva dalla creazione di un ambiente stimolante e dotato di alta qualità, anche a costo di tagliare le teste troppo “lente” e “pigre” per mezzo di una politica interna “terrorizzante”; gli obiettivi aziendali quali missioni para-religiose, da accompagnarsi ad un gergo quasi messianico, di derivazione puritana, perfettamente in linea con quella mentalità tra l’hippie e il new age che ha sempre contraddistinto i guru del web; il continuo stimolo ad una corsa perenne verso nuovi traguardi, un po’ per la vocazione intrinseca di un capitalismo sempre più aggressivo e un po’ per la necessità di affrontare l’enorme debito accumulato negli anni. Con la sua capacità di imporre una nuova modalità di approccio al cinema, Netflix ha indubbiamente avuto un impatto importante sulla settima arte. Che questo impatto sia tutt’altro che positivo, del resto, lo confermano decine di registi, di sceneggiatori e di critici: chiusura delle sale e nuove abitudini “smart”, tra gli altri, sono gli effetti più eclatanti di un mondo – quello del cinema – che sta attraversando una fase complessa, le cui cause sono molteplici.

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Tra le principali caratteristiche di Netflix, senza dubbio, vi è la centralità della fase algoritmica: una tecnologia che ha avuto la capacità di ordinare e proporre un altissimo numero di contenuti, riducendo il tempo di scelta dell’utente, ma anche imponendo una propria narrazione e una propria veicolazione dei prodotti. Al netto delle congetture sulla privacy, quella di Netflix è un’azione attentamente studiata, che unisce gli effetti delle neuroscienze a quelli delle più moderne tecniche digitali: il modello delle serie televisive, per fare un esempio, è fondato sulla costante necessità di catturare l’attenzione attraverso continui colpi di scena, con l’obiettivo di provocare una secrezione di dopamina che rende dipendenti i consumatori finali. Questi stimoli continui, ai quali il cervello reagisce per mezzo delle emozioni, rappresentano una sorta di trappola: tra ricompense e ormoni del piacere, il bisogno inconscio di fiction sembra trascinare lo spettatore in un intrattenimento controllato, pensato e realizzato come un ansiolitico.

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Nel martellamento, però, trovano spazio anche una vasta serie di contenuti che rientrano – a pieno titolo – nell’ordine del cosiddetto “pensiero unico dominante”: la promozione del modello multiculturale, che passa dalla riscrittura (o dalla cancellazione coatta) della storia europea per mezzo dell’inserimento di protagonisti dai tratti “afro” e dalla veicolazione dei messaggi “Black lives matter”; lo sdoganamento della fluidità di genere, con migliaia di personaggi afferenti alla sfera LGBT; la promozione di una “metafisica dell’illimitato” che passa dal cosmopolitismo apolide al superamento di ogni limite, sia esso geografico o etico; l’esaltazione di un individuo sradicato, apatico, omologato, vile, rinunciatario, buonista, mellifluo e privo di ogni slancio virile. Insomma: siamo nel solco del pensiero woke, frutto avvelenato del puritanesimo wasp della sinistra liberal di matrice progressista, con la sua tirannia dei diritti e la sua perpetua caccia alle streghe.

Non è una novita, del resto: che il “politicamente corretto” goda di un’egemonia dei grandi mezzi, fino a prova contraria, è cosa nota a tutti. Il pregio di questo libro, semmai, è quello di analizzare dei dettagli e fornire degli spunti di analisi: non per rifiutare preventivamente ciò che si è già affermato, come farebbe qualunque retroguardia ipocrita, ma elaborare una stregia di immunizzazione e di contrattacco che passi dalla corretta interpretazione di questi fenomeni e – al tempo stesso – dall’elaborazione operativa di un’alternativa concreta al loro monopolio.

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