Le scelte dell’Italia: capire chi e dove siamo, per non morire sudditi

Feb 28, 2024

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A occhio geopolitico, difficilmente può immaginarsi paese con via più nettamente tracciata dalla posizione geografica dell’Italia. Ma se ciò è evidente a fredda osservazione, non lo è altrettanto – anzi, per nulla – per essa, soggetto che in gergo dotto si configura come “Attore Mutevole” per eccellenza; del resto, come porlo in dubbio? È incline ad accodarsi a decisioni che altri prendono per lei, ad adattarsi a nicchia che le viene assegnata; zelante nell’obbedire più e prima di quanto le sia richiesto, nel perseguire interessi altrui ignorando quali siano i propri. Nella sua azione, strategia propria è assente, meglio, oggetto sconosciuto da un establishment incapace d’articolare pensiero autonomo perché aduso ad assumere quello altrui per sudditanza.

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A prescindere da tale strutturale incapacità, e dai giudizi di merito che sarebbero tanti, fatto è che i tradizionali punti di riferimento dell’Italia siano tutti in crisi e ciò che la circonda sia già mutato profondamente e stia mutando ancora con rapidità. Fredda valutazione dice che ciò implica rischio ma anche opportunità: per non essere preda di terzi – e questo è concreto rischio – l’Italia deve capire dov’è (ovvero il mondo che sta cambiando attorno a lei) e cosa può (in funzione delle sue risorse) per conseguire i suoi interessi nazionali – opportunità cui, finalmente, dovrebbe applicarsi.

Dove e come? Nel mare che la circonda e da cui rifugge come fosse minaccia, nel suo estero vicino (pensiamo all’Africa, che con ottusità percepisce solo come problema causa migranti, o ai Balcani), nel vasto mondo di cui un’economia manifatturiera ha bisogno per importare risorse ed esportare prodotti. Fatto è invece che malgrado l’Italia si consideri assai poco, disporrebbe – ad applicarvisi e volerla mettere a frutto – di potenziale Geocultura dirompente, proporzionalmente assai maggiore a sua stazza. Sommando un Identitarismo, che terzi sono assai disposti a riconoscerle, a Mercantilismo, potrebbe svolgere un Global Marketing di successo (assai diverso da quello americano, basato su liberismo e assimilazione) che, in termini geopolitici, sfocerebbe in “Patriottismo Economico”, speculare opposto di Globalizzazione. Ad avere capacità di pensiero e volontà che – ahimé – mancano del tutto.

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A pensar bene stride forte che, negli anni successivi alla fine della II Guerra Mondiale, e fino al collasso della Prima Repubblica, ci sono stati uomini e politiche che – pur assai criticabili sotto molti aspetti – tenevano in conto gli interessi dell’Italia e riuscivano a individuare e praticare vie alternative alla semplice omologazione all’impero USA. Basta citare Mattei (del cui nome recentemente è stato fatto spudorato uso), Gronchi, Fanfani, Dossetti (non a caso allora definiti “neoatlantici” o “diversamente atlantici”) e poi, in tempi successivi, Moro, Craxi e lo stesso Andreotti.

Realtà dice invece che l’Italia da oltre trent’anni, e più che mai negli ultimi, ha fatto sistematiche scelte di campo contrarie ai suoi interessi più elementari, legandosi alle sorti di un Egemone in manifesto affanno invece che ritagliarsi autonomia, con ciò vietandosi di cogliere le opportunità del momento e inimicandosi le realtà emergenti. In pratica, per abituale prassi servilista e incapacità d’autonomo pensiero, si sta addossando costi e conseguenze di conflitti su cui non ha alcuna voce in capitolo, e che gli arrecano sommo danno. Che dire? Se non ci vivessimo anche noi solo: “Auguri!”.