Il sentimento dell’odio, quintessenza del progressismo woke

Apr 17, 2024

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Ciò di cui si parla di più spesso è quello che si vuole esorcizzare, perché turba e spaventa, qualcosa di alieno e potente che attrae inconsciamente. L’odio, nella società dell’inclusione forzata e della tolleranza obbligata, è rimosso e vietato a chi non partecipa al banchetto del potere. Non si deve odiare nessuna delle minoranze protette, ma è permesso e incoraggiato l’odio più bieco contro chi si oppone alla narrazione dominante. Le strette regole del Pensiero Unico, della cultura woke e del buonismo non ammettono trasgressioni al divieto di odiare, come se si potesse reprimere un sentimento che scaturisce dal profondo. Sentimento nobile e forte, opposto polare dell’amore con il quale condivide la passione, il desiderio di possesso o distruzione dell’oggetto amato o odiato.

Figlio di Thanatos, la pulsione di morte, spinge al proprio annientamento e a quello altrui, così come Eros è la pulsione di vita, della libido e della conservazione di sé. Lo psicoanalista tedesco Erich Fromm ha identificato l’Odio Reattivo, nato da una ferita profonda che produce impotenza, diagnosi perfetta per i traditori del socialismo. Passare dalla difesa dei popoli a quella dei suoi persecutori ha determinato un trauma psichico, provocando l’esaurimento di ogni spinta rivoluzionaria. Il senso di colpa che divora chi ha tradito scatena l’odio, espressione della rabbia verso chi li ha sostituiti nelle lotte sociali e si batte contro la dittatura della democrazia autoritaria.

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L’ipocrisia regnante nella società, sfidando logica e senso della realtà, impone un assurdo divieto che dovrebbe annullare l’ostilità e l’avversione presenti nell’animo umano. Come tutte le regole che si rispettano anche questa ha la sua buona eccezione, l’odio verso tutto ciò che esula dalla coercitiva visione dei buoni è ammesso senza riserve. L’odio che le forze della globalizzazione riversano sul nemico è dato da un meccanismo di proiezione di contenuti rimossi e nascosti nell’Ombra, serbatoio psichico dell’impresentabile. Invidia per la coerenza ed il coraggio, rabbia e frustrazione di chi ha ha tradito ogni ideale per svendersi al miglior offerente, insofferenza per chi non sostituisce la realtà con la fantasia.

La paura dell’avversario politico scatena l’aggressività che sfocia in violenza fisica, in persecuzioni, assalti a sedi di partito, calunnie e diffamazione. Agitatori antifascisti in assenza di fascisti organizzano spedizioni punitive all’estero per aggredire militanti identitari che manifestano pacificamente, dimostrando una pulsione violenta patologica. Nessuna persona equilibrata sfonderebbe a martellate il cranio a degli sconosciuti se non soffre di disagio mentale. Questi eroi che attaccano a sprangate in dieci contro uno un avversario disarmato, come nei famigerati “anni di piombo”, sono  paranoici in preda al delirio di onnipotenza. Si sentono in potere di punire a loro piacimento chi pensa diversamente da loro e pretendono arrogantemente di non essere puniti per la loro assurda violenza. Colpiscono a sangue freddo senza coscienza del danno che possono infliggere, soggetti privi di ogni regola morale, del senso di umanità.

La violenza immotivata è tutto ciò che rimane agli orfani di brigatisti rossi, ai terroristi che alle dinamiche del confronto ideologico preferiscono la sopraffazione fisica. In mancanza di idee trainanti, di visioni alternative al consumismo, di programmi condivisi, l’unico collante che tiene unite forze tra loro diverse e distanti come partiti centristi conservatori e gruppi rivoluzionari con il permesso del Sistema, è l’antifascismo. A più di cento anni dalla fondazione dei Fasci di Combattimento negli anni ’20 del Novecento e della scomparsa del Regime alla fine della Seconda Guerra Mondiale, gli antifascisti si accaniscono ancora contro un fantasma tenuto in vita artificialmente per avere un nemico.

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La “costruzione del nemico”, dinamica studiata in psicologia sociale, è la forma attuale ed aggiornata del capro espiatorio, che nell’antichità permetteva di convogliare malcontento e rabbia verso una vittima indifesa. Da un punto di vista storico è impossibile rivitalizzare ciò che deve essere consegnato alla Storia, che si fa con documenti e monumenti con i quali si scrive la storiografia. “La Storia si ripete sempre due volte: la prima come tragedia, la seconda come farsa”, l’aforisma attribuito a Marx fotografa spietatamente la situazione attuale. La farsa è solo ridicola, la tragedia ha luci e ombre nella la sua grandezza, mentre la falsificazione è patetica e l’Antifascismo fuori tempo massimo è palesemente una farsa. Sarebbe interessante chiedere agli antifà del terzo millennio dove si annidano le camice e nere con fez e stivali, dove vedono corporazioni del lavoro, bonifiche di zone paludose e la lira a quota novanta. Se mai hanno sentito parlare di queste opere politiche e civili, le hanno certamente dimenticate.

Le caratteristiche antropologiche e culturali del ventennio demonizzato non si ritrovano nei partiti liberalconservatori e nei Governi che esprimono, che di sociale e nazionale non hanno nulla. Tutti i Partiti si definiscono democratici e mercatisti, cloni di quelli statunitensi che con le Rivoluzioni Nazionali del ‘900 non hanno nulla da spartire. L’odio sociale serve a consolidare il gruppo, a dare una motivazione politica a chi non si riconosce più in nulla, se non in una sterile lotta a qualcosa che non c’è. Questa dinamica politica rientra nella tecnica di manipolazione utilizzata per imporre il controllo e fare accettare le peggiori falsificazioni della realtà. Il monopolio dell’odio è l’ennesima prevaricazione delle forze conservatrici, una pericolosa mistificazione per coprire malefatte e bugie. Meglio essere odiati che provocare indifferenza come la Sinistra immaginaria che deve inventare uno spauracchio inesistente per avere una ragione di essere.