Sul numero di dicembre 2022 del mensile “il Borghese”, in una lettera aperta rivolta al nuovo Ministro della Cultura, Gennaro Sangiuliano, veniva lanciato un appello da Gianfranco De Turris, firma nota nell’ambiente culturale della Destra; l’intellettuale scrisse tra le altre cose, parlando dei tempi della Prima Repubblica: “La Dc si accaparrò i ministeri economici con appalti e quant’altro, mentre il PCI si intestò il dominio sulla cultura nei suoi vari aspetti: editoria, giornali, premi letterari, cinema, teatro, radio, televisione, fino ai fumetti. La Destra di tutto questo, stando sia all’opposizione sia al governo grazie, è ovvio dirlo, a Berlusconi, pochissimo si è occupata. Ed è un eufemismo”. E ha aggiunto: “Sarebbe inoltre tempo che la Destra si interessasse e preoccupasse non solo della cultura «alta» e di ‘élite’, ma anche di quella «bassa» e «media», destinata ad ambiti popolari (…) la musica, i fumetti, la grafica, e persino i videogiochi”.
Tutto condivisibile, ma nell’appello di De Turris c’è una implicita, indiretta rivelazione che dovrebbe farci riflettere. Perché il PCI riuscì a controllare la cultura del nostro Paese, pur stando per un cinquantennio all’opposizione? In parte la risposta è nelle parole di De Turris: la Dc si è disinteressata alla cultura, e lo stesso ha fatto il Centro-destra berlusconiano, tuttavia, è la dimostrazione che si può “penetrare” e “controllare” la cultura anche dall’opposizione, senza cioè ottenere i ministeri chiave, della cultura, dell’istruzione e dell’informazione. Certo occupando questi posti, è teoricamente più agevole, ma non garantisce un “rovesciamento” della situazione. La Sinistra ha usato ben altra strategia, la conquista gramsciana del potere, attraverso le «case matte», cosa che la Destra non è riuscita a fare, tranne piccoli spazi di nicchia. In parte si spiega con il diverso peso politico-elettorale del social-comunismo rispetto al blocco missino, monarchico e liberale; in parte per una maggior aggressività della formazione progressista avvantaggiata dalla situazione favorevole di esser uscita vincitrice dalla Seconda Guerra mondiale, rispetto ai vinti, “neri” o “blu” qualsivoglia; e in parte perché il mondo democristiano e clericale della Chiesa – soprattutto dopo il Concilio Vaticano II – ha preferito “aprire” a Sinistra, piuttosto che a Destra. Forse però, qualche me-culpa, dovremmo farla anche “noi” di Destra, in tutte le sue derivazioni, cattolica, laica, liberale, monarchica, missina. Non è un discorso “nuovo”; artisti e intellettuali di “Destra” li abbiamo avuti e li abbiamo tuttora, ma se nella prima metà del XX secolo sono stati “egemoni”, a partire agli anni Sessanta, la situazione si è rovesciata a nostro sfavore, anche per disinteresse della politica di Destra. Un errore molto grave, perché anche se vinci le elezioni e conquisti il governo del Paese, difficilmente puoi “riformarlo” se prima non “riformi” la “mentalità”, il “costume”, sul versante culturale. La lotta culturale è – secondo noi – prioritaria, ha la funzione di “spianare la strada” ai cambiamenti politici. Ma questo “cambiamento di parametri”, teoricamente sarebbe possibile anche stando all’opposizione, con una pianificazione “gramsciana di destra”, tanto teorizzata da intellettuali quali Marco Tarchi, per fare un nome non a caso.
Detto questo, il fatto che ci sia un governo di Centro-destra (anzi, Destra-centro a traino Fratelli d’Italia), e che questo partito sia attualmente primo come consenso elettorale (e tutt’ora nei sondaggi) e il fatto che FdI abbia preteso e ottenuto la poltrona dei Beni Culturali, significa essere partiti col piede giusto, almeno su questo versante (qualche riserva sull’avvio del governo su altre questioni, le ho, ma ne parleremo magari in altra occasione), e il proliferare di iniziative culturali editoriali e online (compresa quella che ospita questo mio articolo), sono lodevoli e mostrano una vivacità culturale a Destra – a mio parere – più incalzante rispetto che a Sinistra. L’egemonia culturale progressista, sembra in affanno, l’ideologia radical-chic, il politically correct, la cancel culture, stanno palesemente stancando, (vedi anche l’incredibile successo del libro del Generale Vannacci, “Il mondo al contrario”), e appare sempre più un “Reazionarismo progressista” arrancante, al quale occorre rispondere con un Rivoluzionarismo conservatore. E qui veniamo al punto focale della questione. Fratelli d’Italia fa parte del Gruppo dei Conservatori e dei Riformisti Europei.
Niente da eccepire, anzi, è l’occasione per sottolineare che conservatorismo e riformismo non sono incompatibili come il fronte progressista spesso vuol far credere. Ma un’azione “riformatrice” non può agire se non c’è una spinta “rivoluzionaria” che la incalza. Oggi però viviamo in tempi nei quali le rivoluzioni sembrano irrealizzabili, anche perché storicamente hanno prodotto risultati in chiaro e scuro. Ecco che l’unica rivoluzione possibile, a mio parere, e che auspico oggi, e quella della cultura: la “Cultura di Destra” deve essere Rivoluzionaria e incalzare l’azione del governo, con posizioni anche critiche se è necessario. “Rovesciare il’68” era il titolo di uno splendido saggio di Marcello Veneziani di anni addietro. Giusto. Ma il Sessantotto fu una Rivoluzione culturale progressista e in quanto tale, può essere rovesciata solo da un’altra rivoluzione, culturale di segno opposto, conservatore. Poi bisogna mettersi d’accordo su cosa s’intende per “conservatorismo”, e soprattutto, bisogna tener presente che l’obiettivo non è sostituire l’egemonia culturale rossa con quella “blu”, ma riequilibrare la situazione, per garantire una vera libertà di pensiero e di parola, insomma una società e dei costumi più bilanciati. In tal senso, c’è molto ancora da fare, lo dimostra l’ultimo inverecondo Festival di Sanremo dove si è assistito all’apice della decadenza morale e culturale, il che significa che la Sinistra ha ancora le chiavi di casa. Andiamo a prendercele.