L’unica autentica rivoluzione reale è quella interiore. Essa non è un traguardo da raggiungere, ma un mito verso il quale camminare. La rivoluzione interiore è in devenire, è un togliere pezzo per pezzo i veli illusori (maya in Sanscrito) che celano la realtà. La rivoluzione interiore si espande poi all’esterno come il profumo di un fiore e avvolge gli ambienti e le persone che ne vanno in contatto spingendo, senza la volontà di volerlo fare, tutti verso lo stesso cammino.
Il non-morto contemporaneo è sempre e solo rivolto all’esterno. Si aspetta che qualcuno risolva i suoi problemi, che qualcuno o qualcosa si faccia carico del suo dolore esistenziale e vi ponga rimedio. Come un tossico-dipendente necessità dello sguardo degli altri e della loro approvazione illudendosi che gli altri non morti che lo seguano abbiano verso di lui un qualche reale interesse. Le relazioni sono basate così sulla totale finzione. Costoro sono come gli idioti che hanno perso un qualcosa “in casa” ma lo cercano fuori, perché c’è più luce, senza comprendere che l’unica reale soluzione è fare luce in “casa” e non utilizzare una falsa luce esterne. Perché, è importante ricordare, le luci esterne sono lì per “vendere” e non per supportare.
La comprensione, che si potrebbe definire risveglio, porta con sé la consapevolezza che noi tutti siamo in realtà gli artefici del nostro mondo ovvero che il mondo, per dirla con Schopenhauer, non è un qualcosa di oggettivo ma di soggettivo. L’oltre-uomo di Nietzsche, rappresenta il risvegliato di cui sto parlando e l’Amor Fati che lo accompagna è in fondo l’Amore del creatore verso la sua stessa opera. Lo Zombie, non morto, ad ascoltare tali affermazioni crede che allora nulla si debba fare all’esterno. Interpreta tutto questo come la “sirena” dell’irresponsabilità perché non è in grado di andare oltre l’intelletto. La sua mente afferra ma il suo cuore morto è incapace di sentire. Tutto questo però, non elimina la responsabilità etica che abbiamo rispetto al tempo/spazio in cui viviamo. Non toglie il valore dell’azione esterna e delle sue conseguenze.
L’essere consapevole però, compie tale azione come se fosse parte di “ciò che è” esattamente, per ritornare alla metafora iniziale, come un fiore rilascia il suo profumo senza volontà ma semplicemente perché “rilasciare profumo” è parte della sua natura. Chi agisce come emanazione del “suo mondo” è come il Samurai del Giappone medioevale ovvero lo fa senza odio, senza nemici, senza aspettative di vittoria ne paura della sconfitta. La sua in sostanza, non è una reazione ma una azione pura. Agisce senza in realtà agire, con leggerezza e bellezza e nel modo e nel momento in cui l’azione sgorga spontanea come l’arciere Zen rilascia il suo arco. Questo avviene come se il Tutto agisse attraverso lui. Anche questo va compreso con attenzione. Chi agisce nella consapevolezza non diventa mezzo del Tutto, ma è il Tutto che si esprime attraverso una sua parte. L’ignorante che non comprende può dire che in questo modo tutti sono parte del tutto, anche gli inconsapevoli e gli ignoranti. Questo è superficialmente vero, ma la differenza è spiegabile solo attraverso il paradosso che sfugge alla linearità del pensiero razionale afferrando così nel Satori ciò che non può essere afferrato sia pure solo per un istante senza tempo: tutto è perfetto, ma facendo giardinaggio si lasciano i fori e si strappano le erbacce.