Questo articolo, gentilmente concesso da Marco Maculotti, è stato pubblicato da Axis Mundi, che invitiamo i nostri lettori a seguire con attenzione.
Epifania primordiale della divinità datrice di vita e di morte, connesso archetipicamente alle forze oscure del mondo naturale, il celtico Cernunno non fu solo dio della caccia e della natura selvaggia, ma un vero e proprio “dio cosmico” governatore del ciclo di morte-e-rinascita, come dimostrano i simboli che l’iconografia tradizionale gli ha attribuito: il palco di corna cervine, il torques e il serpente cornuto.
Cernunno, che i Romani denominavano semplicemente “il Cornuto”, è una divinità antichissima, venerata fin dall’alba dei tempi: troviamo attestazioni del suo culto fin dal Mesolitico e dal Neolitico. Per i cacciatori preistorici, il Dio Cornuto costituiva l’epifania primordiale della divinità datrice di vita e morte, nonché l’incarnazione delle potenze pericolose ed implacabili che dispiegavano il proprio dominio sul mondo della natura selvaggia [1]; si trattava dunque in parte, come si comprende facilmente, di un “doppio” del Pan ellenico e del Faunus latino, o ancora di un equivalente del Wendigo, terrifico dio-demone cannibale degli Algonchini del sub-artico canadese, connesso archetipicamente alle forze oscure del mondo naturale e metereologico e rappresentato come un colossale scheletro di uomo-cervo [2].
Come il Pan degli Orfici — che vedevano in lui l’universo considerato come un tutto interconnesso, in spirito, anima e corpo — la divinità principale di queste antichissime popolazioni è considerato essere un “dio cosmico della vita e della morte”, il cui soffio aleggia e compenetra ogni cosa. In ciò Cernunno si può accostare anche a Dioniso, che analogamente incarna al tempo stesso le nere pulsioni di morte e quelle scarlatte di sesso e sangue, entrambi simbolicamente connessi al medesimo archetipo vitale della zoé, la “vita indistruttibile”. Nella rivelazione della falsa dicotomia in ultima analisi esistente, all’interno del “dramma cosmico” e lungo la “danza stagionale” delle ere del mondo, tra Vita e Morte, si inquadra la sapienza eraclitea: lo stesso dio sono Ade e Dioniso [3].
Come nel caso di Dioniso, il dominio di Cernunno non si limitava infatti al mondo naturale: sebbene venerato dalle tribù di cacciatori, il Dio Cornuto non aveva semplicemente signoria sulla selvaggina e sui boschi sui quali il suo spirito vegliava costantemente, bensì anche e soprattutto sull’Altro Mondo, il mondo dei morti e degli spiriti, cui lo sciamano poteva accedere in stato di trance dopo aver ingerito erbe o decotti psicotropi o aver utilizzato una delle molteplici “tecniche dell’estasi” [4], per usare la locuzione coniata da Mircea Eliade. In altre parole, fin dai tempi protostorici Cernunno fu considerato anche il “Grande Mago”, nonché la fonte primeva delle facoltà psichiche sovrannaturali o “magiche” [5].
Il dio — adornato similmente al Green Man britannico di palchi frondosi, a simboleggiare la ciclicità del tempo e la rinascita perpetua del cosmo e della natura — radunava le anime dei morti per scortarle nell’aldilà, talvolta accompagnato dalla sua paredra (in Irlanda, la dea della caccia Flidass, che, analogamente alla sua controparte mediterranea Diana/Artemide, guidava un carro trainato da cervi).
IL CERVO E LA RINASCITA
Secondo antichissime tradizioni eurasiatiche che trovano le proprie radici storiche nell’abisso dei tempi, il cervide veicolava il mistero della ciclicità del tempo e dei cicli naturali (e prima ancora cosmici), così come quello della morte e della rinascita, rappresentando già per le più arcaiche culture venatorie.
la personificazione del potere germogliante che, come le corna ramificate, cresce e declina riflettendosi per analogia sia nella vegetazione che nella luce solare durante il corso dell’anno. [6]
Se un lato della medaglia riguarda la vita e la fertilità, tuttavia, l’altro concerne la morte e la dissoluzione. In varie tradizioni, tra cui quella degli Sciti delle steppe eurasiatiche, il cervo era considerato come il guardiano della soglia e la guida delle anime all’Altro Mondo, in quanto si riteneva che il suo accompagnamento potesse accelerare il cammino degli spiriti dei morti verso l’Oltretomba.
Ciò trova un corrispettivo anche nelle Americhe: come rileva Peter T. Furst,
cervo svolse un ruolo di primaria importanza nelle credenze Maya a proposito della terra dei morti, l’Oltretomba; infatti il cervo veniva associato, presso i Maya e altri Indiani della Mesoamerica, con il rituale magico e metamorfico della morte e sia con l’Aldilà che con l’oltretomba, soprattutto con quest’ultimo. [7]
Nondimeno la visione del palco di corna cervine che ogni autunno sanguina per rinascere la primavera seguente ha reso possibile anche un suo inquadramento funzionale nel novero delle figure mitiche esprimenti il mistero del tempo, dei cicli cosmici e della morte-e-rinascita periodica di tutto ciò che esiste. Si potrebbe allora dire, tenendo conto di quanto abbiamo detto, che nelle tradizioni antiche il cervide esprimeva, prendendo in prestito la felice espressione coniata da Emanuela Chiavarelli, l’elemento connettivo all’interno dell’anno e del tempo [8].
Non a caso l’animale compare in diversi “miti di creazione”: il suo smembramento mitico, evento che simboleggia il principio del divenire, ripete la scissione stessa e, contemporaneamente, la risana. Così, in diverse tradizioni ritualistiche si ritiene che dal sacrificio di un cervo, immolato al dio del tempo, riprenderà vigore l’anno nuovo.
CAOS E COSMO
importanza del dio nella Gallia settentrionale è attestata, tra le altre cose, dall’altare rinvenuto sotto la cattedrale di Notre-Dame a Parigi: in altri termini, uno dei luoghi più importanti al mondo per la religione cristiana è stato edificato al di sopra del tempio dell’antico Dio Cornuto della religione celtica (e proto-celtica). In alcune aree abitate dalle popolazioni celtiche la venerazione del dio rimase in vigore anche in epoca cristiana, nascosto addirittura dietro l’immagine dello stesso Redentore: talvolta troviamo reperti archeologici che mostrano “l’immagine di un Cristo incoronato non con la classica corona di spine, ma con le corna dell’antico dio” [9].
Cernunno — che talvolta (per esempio in Borbogna) veniva rappresentato con tre teste similmente alla Trimurti indù, in quanto signore della fertilità, della morte/distruzione e della rinascita —
fa sì che ogni creatura possa procreare perpetuandosi nel tempo, donando così a ciascuna specie (umani compresi) un’immortalità simile alla sua. [10]
Da questo punto di vista Cernunno era considerato il dio della rinascita — della natura, del cosmo e dell’essere umano stesso, in accordo con la “danza delle stagioni” — ma, da un altro punto di vista, egli rappresentava anche il “potere demonico” dell’antico cosmo pre-civilizzato, «incarnando così la vendetta degli antichi dèi, se le leggi e i patti stipulati con la foresta ven[ivan]o in qualche modo violati» [11]:
il bosco e le antiche terre che lo circondano sono il suo regno privato, un regno in cui vigono leggi sacre ormai scomparse dalla memoria degli uomini e che il dio zoomorfo farà ricordare ai suoi fedeli con un prezzo di sangue. [12]
Le raffigurazioni di Cernunno, tra cui la più nota è quella che appare sul Calderone di Gundestrup (un manufatto celtico tradizionalmente datato al III secolo a.C.), sono estremamente coerenti in tutta l’area celtica. Il suo attributo più evidente è, come detto, costituito da un palco di corna di cervo ed è di solito raffigurato come un uomo maturo con barba e capelli lunghi (analogamente a Dioniso e all’Uomo Selvatico). La sua iconografia si confuse in epoca medievale, soprattutto in area britannica, con quella del Green Man.
Le corna cervine del dio sono «decorate con anelli che possono essere cerchi di vimini o anelli di bronzo usati come monete» [13]. Se del simbolismo del cervo abbiamo già detto, anche quello del cerchio è da interpretarsi come intimamente connesso al mistero del tempo e della ciclicità delle ere: Okeanos (antesignano di Kronos come divinità del tempo) era immaginato come un anello che circondava la terra e sovente rappresentato con il simbolo dell’Ouroboros, il serpente che si morde la coda. L’anello è anche astronomicamente collegato al pianeta Saturno, a dimostrazione della sua sovranità sull’elemento cronico (temporale): l’usanza di scambiarsi gli anelli tra novelli sposi ancora oggi equivale a “legarsi” in una promessa eterna sotto l’egida del dio del tempo, ovvero di Saturno/Kronos.
Ne consegue che Cernunno, oltre ad essere una divinità della natura selvaggia e del potere generativo, si possa anche inquadrare come un nume del tempo, o per meglio dire del tempo ciclico: nell’iconografia il dio reggeva in mano — e spesso portava anche al collo —, un torques, emblema della circolarità dell’anno, e pure un serpente cornuto, simbolo del tempo e della rinascita primaverile [14]. Anche i rettili, infatti, mutano pelle a primavera quando nuove corna crescono ai cervi in sostituzione di quelle cadute in autunno. Come rileva Paolo Battistel,
Cernunnos, proprio come Pan, si trova a capo delle forze oscure, primordiali e caotiche che hanno dato forma al mondo, ma che mantengono nella propria essenza una forza titanica per poterlo distruggere, tramutandolo nuovamente in un magma informe, per far ripartire un nuovo ciclo della creazione. [15]
Da ciò deriva che, oltre a governare le potenze del caos, nel ciclo infinito di morte-e-rinascita Cernunno abbia il potere perpetuo di integrare l’apparente disordine all’interno di un quadro più ampio in cui vige un ordine perennemente ricreato, similmente al Kronos degli Inni Orfici che tutto esaurisce e al contrario egli stesso accresce (e con il quale condivide l’etimologia fondata sul radicale indoeuropeo *KRN): per le popolazioni celtiche, Kernunnos
può incarnare la funzione del dio civilizzatore che insegna all’uomo le regole della vita in società, o dell’agricoltura, oppure, se qualcuno infrange le sue leggi sacre, appare ai mortali come un terribile giudice in grado di distruggere anche un’intera comunità. Egli è civilizzatore e distruttore, “integrando l’ordine con il disordine, consentendo nei limiti definiti di ciò che è lecito l’illecito”, poiché nella sua essenza vive una doppia natura: caos e ordine. [16]
NOTE:
[1] N. Jackson, Masks of Misrule, Capall Bann Publishing, Taunton 1996, p. 18
[2] Sul Wendigo, cfr. E. Monaco, Manitu e Windigo. Visione di antropofagia tra gli algonchini, Bulzoni, 1990; nonché il terrificante racconto horror di Algernon Blackwood Il Wendigo [in G. Pilo (a cura di), La saga di Cthulhu, Fanucci, Roma 1986]. Cfr. anche, sulle nostre pagine, M. Maculotti, La psicosi nella visione sciamanica degli Algonchini: Il Windigo e G.M. Mollar, Jack Fiddler, l’ultimo cacciatore di Wendigo.
[3] Eraclito, fr. 15 D.-K.
[4] Cfr. M. Eliade, Lo sciamanismo e le tecniche dell’estasi, Mediterranee, Roma 2005
[5] Cfr. Jackson, op. cit., p. 18
[6] E. Chiavarelli, Diana, Arlecchino e gli spiriti volanti, Bulzoni, Roma 2007, p. 103
[7] P.T. Furst, Allucinogeni e cultura, Cesco Capanna editore, Roma 1981, p. 232
[8] Chiavarelli, op. cit., p. 103
[9] P. Battistel, Lu Barban, il diavolo e le streghe, L’Età dell’Acquario, Torino 2016, p. 40
[10] Ibidem
[11] Ivi, p. 42
[12] Ivi, p. 44
[13] M. Murray, Il dio delle streghe, Astrolabio/Ubaldini, Roma 1972, p. 78
[14] Chiavarelli, op. cit., p. 46
[15] Battistel, op. cit., p. 39
[16] Ivi, p. 38