Uguale, troppo uguale: intervista ad Alain de Benoist sull’ideologia del medesimo

Ott 2, 2023

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La redazione di identitario.org ripropone questa intervista di Marco Scatarzi ad Alain de Benoist, pubblicata sul N.9 di Fuoco. L’invito ai lettori, naturalmente, è quello di sostenere attivamente uno tra i pochissimi periodici liberi del panorama culturale italiano: www.leggifuoco.it

L’ideologia del medesimo – che dà il titolo ad un libro da poco uscito in Italia e molto apprezzato dal pubblico – è una definizione che Lei ha coniato e che sembra essere davvero calzante per descrivere lo spirito di questo tempo. Come la definirebbe? 

Ogni teoria o dottrina, religiosa o profana, che consideri le differenze (tra gli individui, i popoli, le culture, ecc.) come qualcosa di poco importante, se non addirittura come qualcosa di nocivo, rientra, a mio avviso, nell’ideologia del Medesimo. Per quanto riguarda gli uomini, l’ideologia del Medesimo per eccellenza è l’universalismo, che ritiene che gli individui siano fondamentalmente gli stessi ovunque, in modo da poter imporre loro le stesse istituzioni politiche, economiche e sociali. L’universalismo postula anche che gli individui appartengano all’umanità in modo immediato, mentre in realtà vi appartengono in maniera mediata, solo per il tramite d’una cultura. Il risultato dell’attuazione dell’ideologia del Medesimo è l’avvento dell’uomo intercambiabile e di un mondo unidimensionale. Preferisco usare questa espressione di ideologia del Medesimo piuttosto che il termine «egualitarismo», che è più ambiguo nella misura in cui può far pensare che la condanna dell’egualitarismo implichi quella di qualsiasi forma di uguaglianza.

La dittatura del “politicamente corretto”, che Lei ha denunciato in un altro Suo libro, contribuisce ad imporre questa tendenza omologante? In che modo e con quali strumenti? 

Essa vi contribuisce necessariamente poiché favorisce la diffusione del pensiero unico, cioè di un pensiero che dovrebbe portare tutti a pensare la stessa cosa. Il «politicamente corretto» in origine si presentava come un linguaggio attento ai risentimenti ed alle suscettibilità. L’oggettività del linguaggio doveva ricalcare la soggettività delle esigenze arbitrarie degli uni e degli altri. Ma ben presto, il «politicamente corretto» si è rivelato sinonimo della Neolingua (Newspeak) che George Orwell ci descrive in 1984, e il cui obiettivo è quello di restringere il campo del pensiero.

Crede che il processo di globalizzazione – da questo punto di vista – abbia fatto un salto di qualità negli ultimi decenni? Siamo forse passati da un mero meccanismo economico ad una tendenza che cerca di imporre anche un modo di concepire l’esistente? 

Certamente. Sarebbe un errore analizzare la mondializzazione (o globalizzazione) solo dal punto di vista dell’economia, del commercio e della diffusione mondiale delle tecnologie. Così come il capitalismo non è solo un sistema economico, ma un mezzo per porre tutti i rapporti sociali sotto l’orizzonte del feticismo della merce, la globalizzazione sconvolge sia gli stili di vita che i sistemi di valori. Porta con sé una concezione dell’uomo come un essere fondamentalmente egoista e narcisista, che dovrebbe cercare costantemente di massimizzare il proprio miglior interesse privato. In un tale clima, i legami sociali organici scompaiono e l’immaginario simbolico viene gradualmente colonizzato dai soli valori mercantili. Tuttavia, la globalizzazione non deve essere vista come un processo che tende ad omogeneizzare (omologare) le menti e i costumi unilateralmente. La globalizzazione va intesa anche come dialettica. Più si estende, più suscita resistenze, che possono essere sia moderate che frenetiche. È una regola generale: tutto ciò che si attualizza potenzia il suo contrario.

Alain de Benoist: "Come sopravvivere alla disinformazione" - Barbadillo

Oggi si parla continuamente di uguaglianza, ma la si declina in senso assoluto e in assenza di riferimenti, di contesti e di specificità. Nel libro, Lei parla di “gioie e dolori dell’uguaglianza”. Può descrivere che cosa intende? 

Nel mio breve scritto insisto sui diversi modi di concepire l’uguaglianza: uguaglianza matematica, uguaglianza proporzionale, ecc. Il punto focale del mio discorso è che critico l’uguaglianza solo quando è considerata sinonimo della Medesimezza. Ora, l’uguaglianza non implica di per sé la negazione delle differenze. Posso reputare che uomini e donne siano uguali, senza per questo negare la differenza tra maschile e femminile, come pretende di fare la «teoria del genere». Dire che uomini e donne saranno veramente uguali solo quando non ci sarà più modo di distinguerli è un’assurdità. Analogamente, dire che tutti i cittadini devono godere di pari libertà politiche, non significa affatto che questi cittadini abbiano competenze identiche: ciò significa soltanto che, nonostante la loro diversità intrinseca, sono tutti egualmente cittadini in ragione della loro comune appartenenza alla stessa entità politica.

Qual è il rapporto tra postmodernità e identità? 

La modernità e la postmodernità hanno consacrato la diffusione dell’individualismo liberale, che a sua volta è andato di pari passo con l’ascesa delle classi borghesi. Erede della filosofia dell’Illuminismo, l’ideologia dominante concepisce l’uomo come un individuo che si costruisce dal nulla, senza essere mai determinato da ciò che si trova a monte di se stesso, in questo caso le appartenenze che ha ereditato. L’ideologia del progresso, per parte sua, pone come principio che il futuro sarà sempre migliore, il che svaluta soprattutto ciò che ci ha preceduto: il passato non ha nulla da dirci e le tradizioni non sono che superstizioni superate. In queste condizioni, i riferimenti (familiari, sociali, istituzionali, ecc.) che permettevano di situarsi e di definirsi tendono a scomparire. La cancellazione dei riferimenti svolge un ruolo considerevole nella crisi delle identità. Nelle società tradizionali, la questione dell’identità non si pone nemmeno. È l’epoca moderna (e postmoderna) che la rende problematica.

Il libro si conclude con uno scritto sulle “insostituibili comunità”: che cosa resta, oggi, del tessuto comunitario e come è possibile preservarlo?

Sembra che resti poco, ma credo che i legami comunitari possano essere rianimati. L’individualismo non impedisce le grandi manifestazioni di solidarietà in occasione di certe catastrofi, come ad esempio i terremoti. Storicamente parlando, come ha dimostrato Ferdinand Tönnies, l’idealtipo della comunità ha preceduto l’idealtipo della società. Per far rinascere le comunità occorre rivolgersi alle piccole unità della vita sociale, al localismo, alle «filiere corte», alla democrazia partecipativa (e non solo rappresentativa) a tutti i livelli. La parola d’ordine la conosciamo bene: pensare globale, agire a livello locale!

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