di Francesco Marrara, collaboratore dell’Istituto Stato e Partecipazione
Il dibattito sull’immigrazione, nelle ultime settimane, è tornato ad infiammare lo scenario politico e mediatico. Da un lato, abbiamo l’attuale governo a trazione centrodestra che cerca di barcamenarsi, sia nel contesto delle consorterie europee sia attraverso qualche accordo con i paesi africani, con il fine di far cessare gli sbarchi di immigrati sulle coste italiane. Dall’altro, le opposizioni sottolineano l’incapacità dell’attuale maggioranza di governo di dar seguito alle promesse lanciate in campagna elettorale, pontificando di accoglienza e integrazione a tutti i costi.
L’immigrazione è un argomento troppo serio per essere ridotto a dei semplici slogan di bandiera. Ormai da diversi anni, purtroppo, siamo in balia di una retorica contrapposizione fra partigianerie ideologiche completamente incapaci di mettere in piedi un ragionamento fondato su osservazioni obiettive che potrebbero costituire un toccasana per la risoluzione di questo annoso problema.
Una piccola parentesi storica
La storia dei popoli e delle civiltà è la prima ad insegnarci che le migrazioni rappresentano il frutto di fenomeni ciclici e strutturali che si verificano ineluttabilmente nel corso dei secoli. Pensiamo ad esempio al glorioso Impero Romano, che dovette fronteggiare le invasioni barbariche. Dopo numerosi tentativi diplomatici, di politiche di controllo e integrazione, le incursioni dei barbari sancirono – tra le molteplici cause – la caduta dell’impero. Il ragionamento rapportato ai giorni nostri vede uno spostamento sempre più massiccio dei popoli africani verso l’Europa. Questa, dipinta come la terra promessa, rischia seriamente di crollare su se stessa perché totalmente impotente di fronte a tale fenomeno epocale.
Non solo un problema identitario
Al fine di comprendere al meglio il tema occorre soffermarsi su due presupposti tra loro complementari: quello identitario e quello socio-economico. Sul primo aspetto, costituiscono un faro le parole di Papa Benedetto XVI, secondo cui nel contesto socio-politico attuale, prima ancora che il diritto a emigrare, va riaffermato il diritto a non emigrare. L’ideologia immigrazionista, tuttavia, impone una visione del mondo che spinge sempre più verso la cancellazione delle identità, dalla storia, della cultura, delle tradizioni. Un popolo senza radici, pertanto, non rappresenta altro che una massa di individui atomizzati destinati ad essere fagocitati da chi detiene realmente le redini del potere politico ed economico.
D’altro canto, soffermarsi esclusivamente sul solo aspetto legato alla salvaguardia dell’identità dei popoli rischia di essere riduttivo. Ragion per cui, se da un lato l’immigrazione costituisce un sostanzioso onere per le casse dello Stato, dall’altro sostenerne il blocco avallando provvedimenti economici squisitamente neoliberisti rischia di essere oltremodo controproducente. L’importazione del cosiddetto “esercito industriale di riserva”, d’altronde, delinea non solo un semplice abbassamento del costo del lavoro (compressione dei diritti sociali e retribuzioni da fame), ma altresì la creazione di conflitti che generano inevitabilmente una guerra tra poveri (autoctoni contro immigrati) con gravi ripercussioni del punto di vista della tenuta sociale.
Quali soluzioni?
Il primo passo consiste nell’analizzare le ragioni profonde della storia del colonialismo europeo in Africa. In seconda battuta, l’Europa – con in testa l’Italia – dovrà ritornare guida nel Mediterraneo mediante tutta una serie politiche volte al dialogo con i popoli e le autorità degli Stati africani. Ciò potrebbe prevedere, nei casi limite, anche una forma di dissuasione di carattere militare. In questi termini, il blocco navale impedirebbe le partenze dalle coste libiche e al tempo stesso un arresto della tratta di esseri umani adoperata dai trafficanti.
Altro tassello fondamentale sarà la totale cancellazione del debito che rende gli Stati africani succubi del potere economico e finanziario. La piena e concreta emancipazione dei popoli africani passerà inevitabilmente dal definitivo sganciamento da tutti quegli Stati e quelle Istituzioni sovranazionali che signoreggiano sulla loro pelle (sovranità monetaria ed economica).
A queste considerazioni bisognerebbe affiancarne delle altre inerenti alle nuove ed attuali forme di depauperazione delle risorse dei territori africani (leggasi neocolonialismo cinese). Su quest’ultimo versante, l’uscita dalla Via della Seta si presenta come un serio ostacolo per l’attuazione dall’ambizioso Piano Mattei e del progetto dell’Italia – quindi dell’Europa – di tornare protagonista nel Mediterraneo.
Tali proposte, alcune difficilmente realizzabili nell’immediato, colgono in realtà una prospettiva coraggiosa, onesta e speranzosa. Ecco perché potrebbero essere raccolte trasversalmente da diverse sensibilità politiche. L’auspicio, in tal senso, sarà quello di intensificare l’attività culturale allo scopo di influenzare ed incidere nelle decisioni prese a livello politico.