Giuseppe Bottai: vita e pensiero di un intellettuale controcorrente

Apr 13, 2024

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Nel 1976 anno certo non facile per “revisionismi” storici legati al passato fascista, uscì – incredibile a dirsi, per Feltrinelli Editore – “Giuseppe Bottai, fascista critico”, primo libro di storia revisionista di Giordano Bruno Guerri. Quel libro nasceva originariamente da una tesi di laurea che il giovane studente Guerri – anticonformista come suo solito – si impuntò di presentare in tempi di contestazione sessantottesca. Per realizzare tesi e libro, Guerri non sapeva a chi rivolgersi in quanto, all’epoca, il materiale a disposizione era veramente scarso. Guerri decise allora di appellarsi proprio agli eredi dello scomparso Giuseppe.

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Anche di questo parla “Mussolini io ti fermo” di Angelo Polimeno Bottai, nipote di Giuseppe, edito Guerini e Associati, ma c’è ben oltre. Sia Guerri che Angelo Bottai, tentano – a mio avviso riuscendoci – di separare il fascismo dal mussolinismo e salvare il primo dal secondo. Un’operazione che non è facile, perché a Sinistra resta il pregiudizio che Bottai fu comunque fascista dalla prima ora, e a Destra che Giuseppe Bottai fu uno dei diciannove gerarchi che misero in minoranza Mussolini con l’ordine del giorno del 25 luglio 1943, che lo condusse alla destituzione e alla sostituzione con Pietro Badoglio.

Il libro di Angelo Polimeno Bottai, è molto interessante e importante; non solo perché ricostruisce la carriera politica e la vita personale di uno dei più discussi gerarchi fascisti, ma soprattutto perché ci aiuta a comprendere meglio veramente come sono andate le cose.

Giuseppe Bottai, fascista

Il giovane Bottai partì volontario nella Grande Guerra del 15-18 e la combatté coraggiosamente ed eroicamente tra gli arditi, e terminata la guerra, fu un “diaciannovista”, aderì immediatamente nel movimento mussoliniano, provando per il futuro Duce, un’immediata ammirazione. Tuttavia, Bottai – che pur inizialmente sostenne le violenze squadriste per reazione agli altrettanto violenti disordini del “biennio rosso” – superata la fase di “crisi”, stigmatizza gli eccessi delle violenze fasciste (spesso fuori controllo dallo stesso Mussolini che non aveva ancora il potere assoluto). Bottai fu il più intelligente e colto dei gerarchi fascisti, e uno dei più grandi intellettuali del fascismo, e si pose il problema di creare una “sponda dialettica” all’interno del fascismo stesso, fondando la rivista “Critica Fascista”, una delle sue più geniali creazioni, che pur essendo fermamente fascista, si poneva su una posizione “revisionista”; Bottai riteneva che il fascismo dovesse essere una “un moto rivoluzionario perpetuo”, dando spazio ai giovani, incentivare il ricambio generazionale, e porsi come area di discussione aperta anche a intellettuali non necessariamente fascisti. Mussolini appoggiò questa idea, ed era consapevole del genio di Bottai. Un’altra perla di Bottai fu la teorizzazione del sistema corporativo che si poneva come soluzione dialettica tra le classi sociali, che in uno spirito di collaborazione, avrebbe dovuto sostenere lo sviluppo e il dinamismo produttivo dell’Italia liberale, e, al tempo stesso, emancipare le classi lavoratrici superando l’idea della “lotta di classe” del social-comunismo. Ma l’impianto del corporativismo che Bottai aveva in mente, era “autonomo”, “indipendente” dallo Stato autoritario fascista. Mussolini, diffidò di qualcosa di “autonomo” (forse influenzato dall’idea gentiliana, che per il fascismo, tutto doveva essere subalterno allo Stato, e forse perché certi poteri forti che ancora Mussolini non controllava, erano contrari), alla fine, prevalse un corporativismo mussoliniano, che deluse profondamente l’ex ardito.

Il libro, essendo scritto dal nipote di Bottai, pecca per essere assolutorio di Bottai e poco conciliante con la controversa figura del Duce; il libro di Angelo Bottai non specifica, che Mussolini fu quasi certamente costretto a prendere quella strada, e che comunque, seppur in forma diversa, il corporativismo fu realizzato, apportando delle formidabili riforme sociali ancora molto avanzate e di cui avremmo bisogno nella società euroglobale di oggi. Le politiche sociali fasciste, stupirono tutto il mondo che cercò di imitare. Certamente è possibile immaginare che se fosse passato il modello di Bottai, avremmo avuto un’efficienza migliore e questo va riconosciuto.

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Allontanato dal Ministero delle Corporazioni, Bottai parte volontario per la guerra di colonizzazione dell’Etiopia, guerra che Bottai appoggia incondizionatamente, come guerra nazionalista, colonizzatrice e civilizzatrice. In quell’impresa vinta dall’Italia fascista, Bottai viene nominato governatore. Torna in Italia, siamo nel 1936, e Bottai è convinto che il fascismo, giunto al massimo del suo consenso e del suo potere, possa permettersi delle “riforme liberali”, che debba, in altre parole moderarsi tornando ad una situazione di normalità costituzionale. Mussolini è dell’idea opposta e spinge per inasprire la rigidità dell’autoritarismo fascista, con delusione di Bottai, e comincia il suo disincanto dal Duce. Una cosa soprattutto non digerisce Bottai, l’impressione che Mussolini voglia allontanarsi dalle democrazie occidentali e avvicinarsi alla Germania nazionalsocialista, che Bottai non stima affatto.

Anche qui, è necessario sottolineare che sebbene la storiografia ufficiale abbia dato ragione a Bottai, il libro di Angelo P. Bottai, omette di spiegarne le ragioni che spinsero Mussolini tra le braccia di Hitler, ovvero, la stretta delle sanzioni a danno dell’Italia, che le democrazie occidentali imposero per la sua impresa coloniale, stretta vigliacca, poiché le altre nazioni occidentali, avevano già imperi coloniali immensi, e semplicemente non tolleravano che all’Italia spettasse lo stesso diritto; per tacere della questione della “vittoria mutilata” che ancora scottava e che è stata uno dei principali detonatori del fiumanesimo di d’Annunzio e dei legionari, ma anche della Marcia su Roma e del crescente consenso popolare della Rivoluzione Fascista. Durante le sanzioni, la Germania ci fu solidale, magari solo per opportunismo.

Bottai ad ogni modo non sopportava il razzismo e l’antisemitismo. Riteneva che il nazionalsocialismo fosse una brutta copia del fascismo, e che Mussolini tendesse a farsi abbacinare da Hitler, tendendo a sua volta ad imitare l’hitlerismo. Bottai però non uscì di scena e passò al ministero dell’educazione nazionale, ruolo perfetto per un uomo intelligente e colto come Giuseppe, un intellettuale che promosse il Premio Bergamo che ebbe il merito di dare spazio a esposizioni di opere d’arte sia allineate con il fascismo, che non fasciste, contrapposta al Premio Cremona ideato Roberto Farinacci. Per Bottai, l’arte doveva essere libera da dogmi, forme di censura e irreggimenti politici, senza per questo escludere chi volesse spontaneamente esprimere valori fascisti. In sintesi, Bottai, era uno spirito libero, e questo suo modo di essere “fascista eretico”, seppur ammirato da Mussolini, cominciò a diventare scomodo.

Se la figura di Giuseppe Bottai fa ancora discutere - Barbadillo

È a Bottai che dobbiamo l’idea del Eu42, l’Esposizione Universale di Roma, che si sviluppò in una delle migliori realizzazioni architettoniche e urbane del fascismo, divenuto dopo la guerra l’EUR, uno dei capolavori, dei gioielli della cultura fascista.

Fu contrario all’alleanza con la Germania e alla loro idea di “arte degenerata”, e – una delle sue opere più meritorie – si adopererò (con successo) a salvaguardare le opere d’arte italiane dalle insistenti richieste d’acquisto dai nazisti prima, dai possibili danni dai bombardamenti e dalle operazioni predatorie naziste, dopo la rottura dell’Asse. Cercò di applicare nel modo più blando possibile le leggi razziali, aiutando di nascosto in tutti i modi gli ebrei. Convinto sin dall’inizio che l’entrata in guerra fosse un errore, sarà tra i 19 gerarchi che misero in minoranza Mussolini e lo fecero destituire. Non lo fece per opportunismo, bensì, per salvare il salvabile della Patria e del fascismo. Dopo quell’evento, Bottai diventò ricercato, sia dai repubblichini in quanto considerato “traditore”, sia dal Governo Badoglio, perché ex gerarca fascista (e tra i più laboriosi). Dandosi alla fuga, Bottai si arruolò – sotto falso nome – nella Legione Straniera, ma mai volle battersi contro gli italiani, dimostrando il suo amor patrio. Quando seppe della tragica morte del Duce e della sua oscena esibizione del cadavere, Bottai inorridì; non era certo questo che l’ex ardito voleva per il suo ex camerata. Finita la guerra, riconosciuti i suoi meriti nella Legione, poté tornare in Italia senza andare incontro a conseguenze penali. Tornò ad una vita borghese (considerando anche i suoi acciacchi dovuti all’età e alle tante disavventure vissute). Non si avvicinò mai alle Sinistre, inizialmente diffidente del MSI, successivamente riconobbe che: “La posizione della destra è necessaria nella dialettica di ogni politica. In un Paese, come l’Inghilterra, di matura coscienza nazionale e di acuta e generalizzata consapevolezza degli interessi dello Stato, la destra può avere il coraggio di chiamarsi partito conservatore, da noi non potrà avere lo stesso coraggio, ma la sua funzione di difesa dell’unità e dignità dello Stato, dei permanenti interessi nazionali, delle libertà e della democrazia moderna è molto più necessaria che altrove”. Questo scrive su “ABC” il periodico che Bottai fondò e curò nel Dopoguerra. Quando Francesco Rutelli, sindaco di Roma, nel 1995 propose di dedicare una strada a Bottai, ci fu un fuoco incrociato tra Sinistra che lo considerava comunque un fascista mai pentito, e a Destra un traditore che fece cadere Mussolini.

A proposito del riferimento al conservatorismo citato da Bottai in “ABC”, chissà come avrebbe accolto l’idea di un partito come Fratelli d’Italia, che pur non chiamandosi nel nome “partito conservatore”, così si definisce e milita in Europa nel Gruppo dei Conservatori e dei Riformisti Europei. Ma è bene dire che il conservatorismo della Destra italiana odierno, non è, non deve e non dovrà mai essere un conservatorismo “statico”, ma contenere un’anima movimentista, polemista, eretica, che proprio dalla grande esperienza di “Critica Fascista” la grande, incompiuta operazione di revisionismo ideologico potrebbe attingere e trovare ancora la sua stella polare. E se ripartissimo da qui? Dal far emergere che il fascismo non fu quella macchietta che ci ha sempre propinato la propaganda antifascista? Gli Starace, i Farinacci, i Pavolini? E se – azzardo – liberassimo il fascismo dal mussolinismo, e analizzassimo il fascismo come fenomeno rivoluzionario-conservatore tutto ancora da scoprire, dal punto di vista storico, culturale e metapolitico? Se immaginassimo un’eredità democratizzata di un fascismo critico? Se ripartissimo da qua?