“Il mondo è rimasto a guardare”: la rivolta di Budapest ’56 e la sua eredità

Ott 23, 2023

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“Sbarrata la strada alla controrivoluzione e alla minaccia di provocazioni internazionali. Le truppe sovietiche intervengono in Ungheria per porre fine all’anarchia e al terrore bianco. Kadar forma un governo per difendere le conquiste operaie e contadine.”
Giorgio Napolitano, L’Unità, lunedì 3 novembre 1956

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Queste le parole di un deputato comunista trentunenne all’inizio della sua lunga carriera politica, in relazione alla rivolta di Budapest repressa nel sangue. Si dirà che tale posizione fu in seguito ritrattata (in un libro scritto cinquant’anni dopo n.d.r.), ma permette di capire all’istante il sentimento diffuso tra i comunisti italiani nei confronti di questa ribellione contro la Grande Madre Russia.

Le prime notizie della rivolta scoppiata a Budapest arrivarono in Italia quasi immediatamente, grazie ad un giornalista dell’Avanti, Luigi Fossati, che si trovava proprio nella capitale magiara al momento dell’insurrezione. Era il 23 ottobre 1956: tutto nasceva da una manifestazione pacifica di migliaia di studenti, a cui si aggregarono decine di migliaia di cittadini, uniti nella protesta contro il governo di Ernő Gerő, Primo ministro e Segretario Generale del Partito Socialista Ungherese, asservito ai russi.

Non era la prima volta che dei popoli sottomessi all’Unione Sovietica scendevano in piazza per manifestare; pochi mesi prima che a Budapest, migliaia di persone si erano riunite a Poznam (Polonia) per protestare contro l’aumento dei beni di prima necessità, ma anche contro la sottomissione del regime polacco al comunismo sovietico. Anche qui la protesta si risolse con una forte repressione russa e con circa 100 morti e un numero imprecisato di arrestati. Quella ungherese però fu un’altra storia, a partire dalla portata nazionale dell’evento, poiché ad essa partecipò attivamente l’intera popolazione di Budapest e delle altre principali città ungheresi (si stima sull’ordine di alcuni milioni di persone in tutto).

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La situazione precipitò quando, nella sera del 23 ottobre, Gerő tenne via radio un discorso di dura condanna nei confronti dei manifestanti. La folla raccolta sotto l’edificio della radio attaccò i soldati e la polizia giungendo allo scontro armato. La risposta russa fu immediata, ma non sufficiente, in quanto nonostante l’intervento delle truppe sovietiche il giorno successivo (su richiesta del governo locale), i ribelli mantennero una posizione di forza in diverse zone della città.

Ungheria - nel '56 una manifestazione pacifica si trasformò in una rivolta contro la presenza sovietica [approfondimento]Il 24 ottobre, Gerő fu sostituito alla guida del Partito da János Kádár, ma questo non bastò a far cessare la rivolta, che anzi si estese ad altre città; a Budapest inoltre furono istituiti comitati rivoluzionari, consigli operai e ripristinati molti partiti.

Il 25 ottobre Imre Nagy divenne il nuovo premier (ruolo che aveva già ricoperto in passato) e riconobbe subito che l’insurrezione aveva il carattere di una rivoluzione nazionale: per questo motivo concesse gran parte di quanto richiesto dai manifestanti in un programma in sedici punti che prevedeva, tra le altre cose, l’amnistia per i dimostranti e la fine del sistema monopartitico. Nagy si impegnò inoltre per il ritiro delle truppe sovietiche, che avvenne tra il 30 e il 31 ottobre.

In quei giorni di fermento e di novità, Imre Nagy era diventato l’eroe della rivoluzione ungherese, e si era fatto portavoce delle istanze popolari, anche tramite sfide dirette all’autorità sovietica; il primo novembre, infatti, aveva dichiarato di voler uscire dal patto di Varsavia e voler rendere neutrale l’Ungheria, oltre ad aver fatto scarcerare il cardinale József Mindszenty, amato dal popolo e fiero anticomunista. Un simbolo di quei tanto agognati giorni di libertà, fu la bandiera ungherese con un foro al centro: infatti, sotto il regime filosovietico, al centro della bandiera ungherese venne inserita la stella rossa, effige, che i cittadini tagliarono con solerzia.

Budapest Rivolta, 1956

Tutto questo, agli occhi dei russi, non poteva rimanere impunito e non attesero molto per sedare violentemente la rivolta. Il 3 novembre, nel corso di una trattativa, il KGB arrestò a tradimento il neoministro della difesa Pál Maléter. Il giorno dopo, l’Armata Rossa arrivò alle porte di Budapest e sferrò l’attacco: le colonne di carri armati furono appoggiate da incursioni aeree, bombardamenti di artiglieria ed azioni combinate di carri e fanteria riuscendo a penetrare anche nelle aree urbane più difficili. Nagy fece trasmettere alla radio di Stato un messaggio in cui denunciava l’aggressione dell’Armata Rossa e si rifugiò nell’ambasciata jugoslava, mentre il cardinal Mindszenty trovò scampo nell’ambasciata americana, dove rimase fino al 1971. Nagy fu consegnato ai sovietici il 22 novembre e trasferito in Romania. Il 7 novembre fu restaurato un governo filosovietico guidato da Kádár.

La rivoluzione ungherese fu repressa in modo particolarmente duro: furono eseguite oltre 500 condanne a morte, decine di migliaia di persone vennero rinchiuse in campi di internamento o condannati al carcere duro, oltre 200mila lasciarono il Paese.

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Nessuno intervenne: malgrado le insinuazioni sovietiche, gli USA e il mondo occidentale erano determinati a conservare l’equilibrio del terrore e tentare un’azione sull’Ungheria avrebbe comunque avuto poco significato strategico.

La rivoluzione ungherese e la sua repressione ebbero ripercussioni profonde in tutta Europa e, in particolare, in Italia. A livello politico, si produsse una profonda spaccatura all’interno della sinistra: la maggioranza del PSI ruppe l’unità d’azione con il Partito Comunista, e numerosi intellettuali “democratici” ne presero le distanze. La Democrazia Cristiana, anticomunista ma egualmente antinazionale, ebbe buon gioco a dipingere Imre Nagy come un eroe della “libertà” occidentale e a sorvolare sui caratteri né liberali né comunisti del suo esperimento durato pochi giorni.

Per ovvie ragioni, fu l’ambiente della destra politica – specialmente quello giovanile – ad essere maggiormente coinvolto nelle speranze di libertà portate coraggiosamente avanti dagli studenti e dai lavoratori d’Ungheria. Queste tracce furono durature, e la memoria della rivoluzione magiara entrò a far parte del deposito orale trasmesso di generazione in generazione.

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Nel 1966, in occasione del decimo anniversario della rivoluzione, il cantautore Pier Francesco Pingitore e il musicista Dimitri Gribanovski composero “Avanti Ragazzi di Buda”. La canzone, interpretata inizialmente da Pino Caruso de Il Bagaglino, è un epico racconto delle speranze e dell’entusiasmo della gioventù ungherese. Più che cantare un’ipotetica ideologia propria dei rivoluzionari, ma è la causa ad essere giustificata dalla buona guerra, la canzone narra della fine gloriosa degli “studenti, braccianti, operai”, che affrontano armi in pugno l’onda rossa – esattamente come i loro camerati l’affrontarono a Berlino dieci e più anni prima.

Spicca nel testo della canzone il buio della notte, durato circa dieci anni: è una nostalgia non della democrazia occidentale, ma viene collegata a cosa c’era “prima”. E “prima”, c’eravamo noi.

A combattere sono “studenti”, sono “braccianti” e sono “operai”. In un momento in cui gli studenti universitari erano ancora espressione soprattutto della borghesia, chiamare a raccolta questi tre gruppi significava esprimere solidarietà verso una visione della comunità nazionale aliena dalle contrapposizioni e dagli odi di classe tipici della modernità materialista, ma anzi unita e compatta nella causa dell’indipendenza e della libertà.

La canzone divenne un momento irrinunciabile della tradizione comune della “destra” italiana, venendo riprodotta da quasi tutte le esperienze musicali “nazionali”, sia come fedele esecuzione, sia in numerosi e sempre nuovi arrangiamenti. Tanto nei momenti comunitari quanto nelle manifestazioni per la ricostruzione europea, le sue note si sono sempre ascoltate, e motivano una speranza non da vittima ma da uomo che prende in mano il proprio destino e, animato da una fede incrollabile, si fa incontro ad esso senza temere. Né “Avanti ragazzi di Buda” è rimasta confinata all’Italia. Dopo la fine del regime comunista, una volta tradotta, essa si è diffusa negli ambienti nazionalisti ungheresi, e da lì è diventata popolare nella nazione magiara. Tanto che il Capo del Governo Viktor Orban l’ha definita “la più bella canzone di sempre” tra quelle dedicate alla rivoluzione del 1956.

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Se “Avanti ragazzi di Buda” è senz’altro la più famosa delle canzoni dedicate alla rivoluzione ungherese del 1956, anche per il ritmo veloce e coinvolgente, essa è lungi dall’essere l’unica. Tra le più interessanti si può citare “Ungheria” dei Nuovo Canto Popolare (gruppo musicale romano afferente al Fronte Monarchico Giovanile) che, a differenza della maggioranza delle altre composizioni musicali, riesce a mantenere un ritmo veloce assieme a un tono amaro ma speranzoso.

La rivoluzione ungherese lasciò tracce profonde anche in altre canzoni, non direttamente o non solamente dedicate ad essa. Fa piacere ricordarne alcune, notevoli per il respiro autenticamente europeo dei testi: Sulla Strada (Compagnia dell’Anello, 1981), Vecchio Ribelle (Amici del Vento, 1986), To Ezra (Antica Tradizione, 1997).

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Ma, al di là della rassegna musicale, cosa ci consegna la Rivoluzione d’Ungheria?

Scoppiata, e stroncata, esattamente 14 anni dopo la pagina di aureo eroismo dei Leoni di El Alamein, essa fu un fulgido esempio di come le giovani forze d’Europa si dimostrarono risolutamente nemiche del comunismo, ma anche aliene dalle sirene del capitalismo. Desiderosi di perseguire la strada della libertà e dell’indipendenza nazionali, i giovani magiari ci consegnano un severo testamento e una dura chiamata ad essere portatori della speranza per il Vecchio Continente.

Perché, in fondo, il sole non sorga più ad Est.