Il “manicomio dei bambini”: una storia italiana di orrore e brutalità

Ott 10, 2023

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Il 10 ottobre è la “Giornata mondiale della salute mentale”. Anche se può sembrare superfluo ribadirlo, l’oggetto di questa giornata riguarda una piaga umana e sociale in costante crescita, della quale si parla ancora troppo poco. Una situazione che è degenerata, negli ultimi tre anni, a causa della pandemia, dei lockdown imposti e delle tante restrizioni che hanno stravolto la quotidianità di tutti, soprattutto dei più giovani.

A tal proposito, basti pensare all’allarme lanciato dal Bambini Gesù: si parla di 387 casi di tentato suicidio e ideazione suicidaria, tra i giovani e i giovanissimi, nel corso dell’ultimo anno. L’età media di chi commette questi gesti estremi è di 15 anni e il 90% riguarda le ragazze. Per quanto concerne i ricoveri nel reparto protetto di Neuropsichiatria, dove vengono affrontati i casi più complessi, nel 2022 sono stati 544 (+10%). Il 70% di queste ospedalizzazioni, appunto, ha riguardato casi di ideazione suicidaria o di tentato suicidio.

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Questi dati, inevitabilmente, riportano alla mente l’esperienza allucinante di Villa Azzurra di Grugliasco. Dal 1964 al 1979, quella struttura è stata la sede dell’ospedale psichiatrico cittadino, dove per anni sono stati ricoverati 1500 pazienti, tra cui 150 bambini. Uno scenario da film horror, dove i bambini era legati ai letti o ai termosifoni. A testimoniarlo, oggi, sono proprio le vittime di quella barbarie. Tra queste Angelo, un bambino che all’epoca aveva solo tre anni, ritrovatosi in quell’inferno per la sola “pecca” di essere povero, senza padre e con una giovane madre che lavorava come operaia in una maglieria.

[…] Finii nel manicomio per i più piccoli. Giusto per avere un letto e un piatto di minestra. Cominciai a essere legato al letto, o al termosifone, che avevo quattro anni.

Angelo parla anche dell’arrivo di Giorgio Coda, lo “psichiatra elettricista”:

Mi ha dato la scossa cinquantadue volte. Non mi ricordavo quant’erano state. Diceva alla suora: «Si è fatto la pipì addosso? Sì? Insegniamogli a non farla più». Oppure bastava che lo avessi guardato storto. E mi faceva schiattare dalla paura, prima, ma cercavo di non darlo a vedere. Una volta partita come avere le convulsioni. come per quei bambini, fra di noi, che avevano le convulsioni. Partivi come un frullatore. Solo che eri tu, una persona. Non una macchina. Sono stato più di nove anni a Villa Azzurra, che a chiamarla così, adesso che ci ripenso, era proprio uno scherzo a noi bambini.

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Un vero e proprio campo di concentramento per bambini, andato avanti per anni tra sevizie e torture. Il punto di non ritorno si manifesta nel 1964, col nuovo direttore della struttura Giorgio Coda, il quale infatti introdurrà nuove tecniche di trattamento terapeutico. Psichiatra, laureato con tesi in antropologia criminale, i suoi metodi terapeutici si riveleranno disumani e perversi, procurandogli il soprannome di “l’elettricista”.

Le prime denunce contro questi orrori saranno mosse da Maria Repaci, assistente sociale del Centro tutela minorile di Torino, la quale invierà, quattro anni dopo l’arrivo di Coda, un rapporto di cinque pagine al presidente del Tribunale dei minori. Dalle indagini emergono dettagli sconcertanti: un sistema fatto di vere e proprie torture sui ricoverati, sia a Grugliasco che a Collegno. Alcuni ex degenti – infatti – risultano non avere più denti per via delle sedute di elettroshock.

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Il procedimento contro Coda, però, inizierà solo nel 1974. Sarà un fotoreporter ad essere decisivo per l’intervento della magistratura: si tratta di Mauro Vallinotto, de l’Espresso, già famoso per le sue denunce sociali. Dichiarerà in un’intervista:

Io ero entrato dalla porta principale della palazzina B, ero salito al primo piano senza che nessuno mi intercettasse e avevo scattato una cinquantina di fotografie. Erano bambini poveri, abbandonati, difficili. Ricordo di un bambino cerebroleso e cieco, la sua diagnosi fu: cattivo e aggressivo. Impensabile tutto questo. Erano solo dei bambini cresciuti in ambienti difficili, abbandonati a se stessi. Erano semplicemente vivaci, lasciati e buttati lì, fino ai loro 14 anni.

Tra gli scatti, uno colpirà particolarmente l’attenzione: una bambina nuda e legata ad un letto; una foto che verrà pubblicata da l’Espresso nel 1970, in un articolo di Gabriele Invernizzi. Dopo due ore dall’uscita del giornale, già c’erano i Carabinieri e la magistratura a Villa Azzurra. Il processo, nonostante le evidenze, inizierà solo quattro anni dopo. Nel frattempo, Villa Azzurra, andrà avanti per altri nove…

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La pena finale della Cassazione riguarda solo l’operato di Coda a Collegno. Villa Azzurra – nonostante foto, denunce e testimonianze dirette – non avrà colpevoli. Così recita la sentenza:

I casi di atroce contenzione che hanno data certa sono successivi al periodo in cui il Coda fu a Villa Azzurra. Sugli altri casi ristagna una incertezza cronologica che le risultanze processuali non consentono di superare. I giudici determinano l’insufficienza di prove.

Durante il processo, Giorgio Coda dichiara che il trattamento tramite elettricità avrebbe dovuto curare il paziente. La fantomatica cura era chiamata da Coda “Elettroshock o elettro-massaggio”, a seconda che venisse praticato alla testa o ai genitali. Le scariche di elettroshock erano rilasciate senza anestesia e, quasi sempre, senza pomata e gomma in bocca. In questo modo, al paziente, saltavano i denti. Un modus operandi di cui il “dottore” andava fiero, dichiarando tranquillamente – al processo – di aver praticato circa 5000 elettro-massaggi.

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Eppure, durante il trattamento dell’elettricista, ci furono morti sospette, nonché alcuni suicidi verificatisi nei suoi istituti forse provocati dalla paura o dalla sofferenza. Ad oggi, Villa Azzurra versa in uno stato d’abbandono. L’ultimo progetto, dal valore di 24 milioni di euro, è stato presentato il 26 maggio 2022: si tratta di un villaggio residenziale universitario da 250 posti, che dovrà essere completato per il 31 dicembre 2025. Nel frattempo, resta il dovere di tener viva la memoria di queste nefandezze, affinché restino solo una pagina buia del nostro passato.

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