IL CARNEVALE COME ESTASI COLLETTIVA. TRA RITO E TRADIZIONE POPOLARE

Feb 13, 2024

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Tutte, si può dire, le religioni antiche e primitive conoscono queste grandi feste annuali di rinnovamento, e altre minori connesse con l’inizio dei cicli stagionali. Da noi, la più grande di tali feste è il Carnevale, anche se ora questo suo significato sfugge alla coscienza dei più. Grazie ai vari spostamenti della data d’inizio anno, Saturnali e libertà di dicembre, tripudi per le calende di gennaio, riti agrari di purificazione e propiziazione per la fine dell’inverno sono venuti a confluire e ad amalgamarsi nel Carnevale. […] Centro propulsore del tripudio […] è il principio magico  secondo il quale l’intensa manifestazione della gioia da parte di tutta la comunità, provoca e assicura il prospero svolgersi degli avvenimenti, l’abbondanza dei prodotti, il maggiore benessere per il nuovo anno che sorge.
– Paolo Toschi

Prima del periodo di penitenza quaresimale, assistiamo ogni anno a momenti settimanali dal sapore carnascialesco. Pressoché presente in ogni angolo del globo, il carnevale s’appresta a vivere annualmente secondo le specificità d’impronta cittadina e paesana. Grazie al lavoro di operai, artisti e semplici volontari cementati da una passione strabiliante, questa ricorrenza la ritroviamo ovunque. Considerata oggigiorno festa dal sapore banalmente laico, essa, coi suoi elementi apparentemente insignificanti, ha tuttavia un retaggio antico. Al pari di altre celebrazioni festive, anche le ricorrenze carnevalesche, in alcuni casi, sono mosse dalle leggi del capitalismo dirompente. Per questo, lo studio e la conoscenza più profonda d’una metafisica delle origini – oltre a un risveglio primordiale e ancestrale dei popoli – può aiutarci a concepire e a vivere coscientemente le feste che alla maniera di un Uroboro sacro, ci accompagnano nel nostro cammino nel divenire d’ogni anno. Inoltre, se concepite con uno spirito autenticamente atavico, le feste locali e popolari, possono ancora oggi rafforzare uno spirito comunitario anelato da una massiccia appartenenza identitaria. Ancora oggi, possiamo cogliere in loro un freno al mondo spietato e moralista del globalismo liquido e della tecnofinanza.

Il lasso temporale e i Saturnalia

Scrive Alain De Benoist, che «in senso proprio, il carnevale è il periodo di divertimenti che va dall’Epifania all’inizio della Quaresima, e i cui “tempi forti” sono i giorni di grasso, ossia la domenica, il lunedì e soprattutto il martedì (Martedì Grasso) che precede il mercoledì delle Ceneri (che segna l’inizio del digiuno che si prolungherà fino a Pasqua)1 A. De Benoist, Tradizioni d’Europa, Controcorrente, Napoli, 2006, p.61». Nato in opposizione alla quaresima, come si vedrà, il carnevale ne è stato considerato l’acerrimo “nemico”. Per Jean-Claude Schmitt, il carnevale «è, come la festa dei Pazzi, un’innovazione della città medievale»2 J. C. Schmitt, Medioevo «superstizioso», Laterza, 2018, p.144. Alfredo Cattabiani, invece, osserva che «il Carnevale è la reinterpretazione cristiana di una festa di passaggio da un anno all’altro, che si ritrova in varie tradizioni orientali e occidentali, dai Saturnalia romani alle bacchiche Antesterie greche sino alle feste che precedevano l’equinozio primaverile a Babilonia»3 A. Cattabiani, Lunario. Dodici mesi di miti, feste, leggende e tradizioni popolari d’Italia, Mondadori, Milano, 2019, p.57. Qual è l’origine ancestrale del moderno carnevale?
Questi momenti caotici prestabiliti dal ciclo calendariale, risalgono dunque sin dai Baccanali «in onore di Dioniso», oppure dai Saturnalia romani4 G. Gugliotta, L’eterno ricominciare. Feste contadine in terra di lavoro, Luigi Pacifico Editore, Caserta, 2020, p.39. Gerarchie sociali ribaltate, abolizione delle regole vigenti – e molto altro – sono alcuni elementi scottanti di questa festa dal sapore talvolta eccessivo e sfrenato. Sui  Baccanali, tuttavia, possono aiutarci alcune riflessioni di Raffaele Pettazzoni.

Bacco è un nome del dio greco Dioniso, passato a un antico dio romano, Liber. La festa di Liber (Liberalia) è registrata nel calendario, e si celebrava il 27 marzo. Assimilato a Liber, Bacco era entrato da tempo nella religione pubblica di Roma. […] I Baccanali erano sì una religione bacchica o dionisiaca, ma di natura speciale. Erano una religione orgiastica ed esoterica, una religione di mistero. I suoi riti non erano pubblici ma riservati ai membri della comunità; e nella comunità si entrava soltanto per iniziazione. Dopo dieci giorni di digiuni e astinenze, l’iniziando era sottoposto a certe pratiche; indi partecipava a un banchetto. C’era una formula sacra che un sacerdote recitava, e l’iniziando la ripeteva. Da principio, la comunità si componeva soltanto di donne.5 R. Pettazzoni, Italia religiosa, a cura di G. Casadio e C. Prandi, Mimesis, Milano-Udine, 2020, p.12

Con la riforma successiva di una sacerdotessa campana, Annia Paculla (III sec. a.C. – II sec. a.C), emersero alcune problematiche nei riguardi dello Stato romano, che all’epoca era intriso di tribolazioni interne ed esterne. La rottura principale avviene con l’iniziazione dei due figli della sacerdotessa. Un culto d’esclusiva componente femminile subiva un capovolgimento non indifferente. In ogni caso, questa non fu l’unica modifica che provocò una certa irritazione. Ancora Pettazzoni pone un quadro del nuovo rito:

A Roma le cerimonie avevano luogo in un boschetto situato in riva al Tevere, sotto le pendici dell’Aventino. Ivi, chi si fosse attardato di notte nelle vicinanze, avrebbe potuto ascoltare voci di cori salmodianti e musiche rumorose di timpani e cembali, interrotte a volte da sinistri ululanti. Ivi anche avrebbe potuto scorgere delle luci vaganti nella tenebra: erano le donne che brandendo fiaccole accese si slanciavano in corsa verso il fiume sino alla sponda, e immergevano le fiaccole nell’acqua, ritraendole poi non spente (per virtù dello zolfo ond’erano composte). La solitudine del luogo, l’oscurità, le libazioni copiose, la promiscuità dei sessi favorivano l’eccitazione dei sensi. Tutto si svolgeva in un’atmosfera di esaltazione e di fanatismo.6 R. Pettazzoni, Op. cit. p.13

I Saturnalia sono invece festeggiati dai Romani nel periodo precedente al Solstizio invernale; «dapprima il 17 dicembre, poi per sette giorni fino al 24 dicembre, cioè alla vigilia del Natalis Solis, del Natale del Sole»7 https://www.centrostudilaruna.it/saturnalia.html. Per costoro, in quel periodo, è festa grande. Comunemente costretti ad obblighi inderogabili dettati dal loro rango, gli schiavi in quel frangente sono liberi. Inoltre, si scambiano doni, come bambole in terracotta – chiamate sigillaria –, o candele di cera. S’elegge, persino in maniera simbolica anche una sorta di “re burlone”, detto Saturnalia Princeps. Questa ricorrenza festiva cementata dal ribaltamento dell’allora ordine vigente è stata, verso il IV secolo, spostata al Capodanno. D’altronde, assieme al clima baldanzoso coagulato d’elementi orgiastici e “di rovesciamento” totale, è presente l’elemento del rito di passaggio e dunque di rinnovamento del ciclo annuale. Saturno è il dio dell’ età aurea per i romani. Accolto da Giano nel Lazio – dio dai molteplici aspetti ma rammentato maggiormente come divinità del tempo annuale – egli scomparve in maniera improvvisa dopo aver dato vita, assieme al dio degli inizi, alla mai dimenticata Età dell’Oro.8 https://www.centrostudilaruna.it/saturnalia.html Jordi Garriga Clavé, in un suo fervido libello dal titolo La festa del Natale. Origini e tradizioni, ricorda che pei romani essa era «la festa più popolare e radicata». Saturno era onorato «in qualità di dio dell’agricoltura», e – tra le caratteristiche rituali della celebrazione – «si capovolgevano le norme sociali e si viveva in un ambiente simile al nostro carnevale»9 J. Garriga Clavé, La festa del Natale. Origini e tradizioni, Passaggio al Bosco, 2023, pp.22-23.

Un “sollievo dalla carne”

Anche sul nome nel tempo s’è creato un dibattito. Tra le diverse ipotesi, si pensa che il nome derivi da carni levamen, “sollievo della carne”, ovvero “libertà temporanea concessa agli istinti elementari”;  come carnes levare, “togliere le carni”. Ma anche da carni vale!, “carne addio”, riferito alle orge gastronomiche che portavano all’esaurimento delle ultime scorte di carni prima dell’avvento primaverile.10 A. Cattabiani. Calendario. Le feste, i miti, le leggende e i riti dell’anno, Mondadori, Milano, 2003, p. 141 Fase momentanea di rottura della prassi quotidiana, il Carnevale arriva fino ad esprimersi tramite particolari istinti di sregolatezza. Gerarchie rovesciate, orge rituali, disordini diffusi: elementi che in tempo ordinario non vengono tollerati. Il nome carnevalare, in Italia, lo si ritrova in maniera indecisa verso la metà del X secolo in un atto latino di Subiaco. Ma non siamo ancora in procinto di affermare la presenza i elementi amalgamati da elementi ludici, bensì di una scadenza fiscale chiesastica. Più avanti, nel XII secolo, si ritrova nel significato col quale lo intendiamo oggi: un ludus carnevalarii lo si nota a Roma nella stessa Sede Apostolica. Persino a Londra, in quel secolo, emergono i carnilevaria dei pueri. Tuttavia, lo si ritrova in maniera più precisa nel XIII secolo, negli statuti cittadini di Viterbo del 1251-1252. L’etimologia del nome, però, la si deve ricercare direttamente richiamando l’antichità pagana.11 G.Kezich, Carnevale. La festa del mondo, Laterza, 2021, Bari, p.121

Il tempo dell’Avvento, che termina con l’Epifania, contiene elementi intrisi di festa. Quest’ultima, per dirla con Franco Cardini prevede un «tempus terribile», speciale. Nel folklore italiano l’Epifania può somigliare alla notte del 31 ottobre: l’ordinaria quotidianità profana s’intreccia con l’elemento magico. I vivi e i morti si mescolano. Gli animali comunicano fra loro, hanno il dono della premonizione per quel che riguarda la fecondità. Matrimoni, raccolti – e molto altro – possono esser predetti da essi.12 F.Cardini, Il libro delle feste. Il cerchio sacro dell’anno, Il Cerchio, Rimini, 2011, p.117

Dopo l’Epifania s’entra in una fase di crepuscolo nella quale i resti dell’anno oramai andato vengono consumati. È un periodo nel quale ci si prepara alla primavera e alle sue fatiche. Tra il 17 gennaio e il 2 febbraio, si celebrano rispettivamente sant’Antonio abate e la Candelora; entrambi rituali di purificazione. Animali vengono purificati e l’inverno-buio-freddo-carestia-morte, la “Vecchia” sterile grifagna viene data alle fiamme. In un’atmosfera festosa vengono anche consumati maiali e fave. Maiali e legumi – zampone con lenticchie – sono anche elementi di buon augurio. Soldi e benessere generale sono, in genere, i desideri comuni. Malgrado l’apparente innocenza, si è anche in presenza di archetipi sacrificali: il sanguinolento sacrificio del maiale è accompagnato da un rituale di morte. Persino le fave – che hanno elementi iniziatici conosciuti già da Pitagora – appartengono a mondi oscuri e sotterranei.13 F. Cardini, I giorni del sacro. I riti e le feste del calendario dall’antichità ad oggi, UTET, Novara, 2016, p.264

L’atmosfera scanzonata e burlesca, permeata da abbuffate e spinta licenza sessuale, funge da esorcismo nei confronti del caos. L’anno che finisce, può portarsi dietro anche un perenne confusione. È necessario rifondare un certo ordine. Tuttavia, per arrivare a ciò, occorre muovere le forze del caos. Esse rappresentano un pericolo nella quotidianità, ma allo stesso tempo debbono essere scatenate per imbrigliarle nuovamente. Il kosmos, ha bisogno, in maniera ciclica, d’essere rifondato.14 Ibidem, p.265

Le prescrizioni rituali, fungono da contrappeso ad un clima glaciale. Il vecchio anno deve essere scacciato, l’età aurea, coi suoi pregi, deve riaffacciarsi nuovamente. Ai Saturnalia, infatti, si succedono i Lupercalia verso la metà di febbraio. Giovani totalmente nudi – i Luperci – sferzano con la februa – la pelle del capro sacrificato – le donne, per favorirne la fertilità. Essi sono degli iniziati che compiono questo rito di fecondazione. Come si può intuire dal nome, costoro hanno un legame con i lupi, protettori delle greggi e sono consacrati al dio Pan, il quale conferisce potere sessuale15 Ibidem, p.266. Concepito da Ermes e da una ninfa, il suo ruolo è quello di protettore delle greggi. Egli – metà uomo e metà capro – è, in generale, connesso al mondo agreste. I Luperci possono connettersi anche ai Gandharva indiani e ai Centauri greci, e più avanti, nel periodo medievale si ritrovano nel mondo norreno degli ulfhedhnar e dei berserker; anch’essi appartenenti a confraternite iniziatiche. Le cosiddette libertà di dicembre, si protraggono a loro volta nel medioevo. Deplorate dalla chiesa, esse vengono però riprese da un certo mondo di chierici maggiormente legati al mondo romano, i quali ne tramandano il significato.16 F. Cardini, I giorni del sacro. I riti e le feste del calendario dall’antichità ad oggi, UTET, Novara, 2016, p.266

Mascherate e varie usanze

Il termine masca porta il significato di larva, dèmone. I mascherati, durante i Lupercalia indossano maschere demoniche. Essi portano elementi caotici e fungono da assaltatori dell’ordine. Ma la vera maschera la si porta dentro, quella che si indossa non si esime da qualche futile apparenza. Perciò, per tutta la durata della mascherata rituale, essi sono di fatto dei posseduti.17 F.Cardini, Il libro delle feste. Il cerchio sacro dell’anno, Il Cerchio, Rimini, 2011, p.193

Renè Guénon (1886-1951), ad esempio, non è molto incline verso quei rituali che si mostrano nel periodo carnevalesco. Certe inversioni di gerarchie e sfrenatezze, le nota come ammassi demoniaci e satanici. Tuttavia, afferma che «tale disordine è d’altra parte tanto meno temibile in quanto viene quasi “regolarizzato”, poiché da un lato, questi giorni sono come avulsi dal corso normale delle cose, in modo da non esercitare su di esso alcuna influenza apprezzabile, e comunque, dall’altro lato, il fatto che non vi sia niente di imprevisto “normalizza” in qualche modo il disordine stesso e lo integra nell’ordine totale». Ad ogni modo, egli si esprime persino sul perno della tradizione carnevalesca, le maschere. Esse – prosegue – in genere sono ricondotte al mondo dell’orrido, una «“materializzazione” figurativa di quelle tendenze inferiori, o addirittura “infernali”, cui è permesso così di esteriorizzarsi». Le si sceglie in base alla propria tendenza, ragion per cui ognuno mette a nudo la propria personalità. La “contraffazione” in atto, per l’esoterista, riporta al mondo del satanico, poiché si mettono in luce le «possibilità inferiori dell’essere». In quel modo,  s’ esteriorizza una certa laidezza deprecabile dello spirito, che è l’esatto opposto della vera spiritualità.18 R. Guénon, Simboli della scienza sacra, Adelphi, Milano, 2019, pp.134-135

Il carnevale, nei secoli passati, lo si è visto anche come fenomeno d’impostura. Evento che poteva cogliere l’occasione per ribaltare l’ordine vigente, esso ha avuto di fronte una serie di divieti. Malgrado non si volessero limitare certe valvole di sfogo in quel periodo, esse debbono in un certo qual modo essere governate. Si pensa che quell’atmosfera esplosiva potesse portare a disordini diffusi. Si ha paura che dalle ceneri di tale festa, possa nascere un nuovo ordine. Nel 1560 si proibiscono le mascherate religiose a Roma; si vieta anche alle maschere di entrare in chiesa. Nel 1564 persino il porto d’armi nel perimetro urbano viene vietato. A Bologna, nel 1568 vi è la paura tremenda, che il carnevale dia luogo a pericolose “conventicole”.19 F. Cardini, Il libro delle feste. Il cerchio sacro dell’anno, Il Cerchio, Rimini, 2011, p.197

Un certo interesse può averlo anche la figura del folle. Egli s’appresta a presentarsi come in individuo totalmente fuori di senno. Gli manca qualche rotella,  è un pazzo, uno scalmanato. Viene messo al bando poiché non rappresenta caratteri ordinari. Marco Maculotti sottolinea come egli sia spesso connesso a rituali che hanno in loro l’elemento carnascialesco. Non solo, quindi, ai Saturnalia romani, bensì alle cosiddette feste dei folli di stampo medievale. Aventi la Francia come patria principale, anch’esse si possono connettere alle origini del carnevale moderno.  Si caratterizzano da  una processione, la quale irrompe direttamente nella chiesa. A presiederla è il Vescovo del Folle. A tal proposito Maculotti nota come

Eventi collettivi di tal guisa, incentrati ritualmente sull’inversione delle regole prestabilite (si deve ricordare di sfuggita come l’Altro Mondo o mondo sotterraneo dei morti e dei fairies venga sempre visto come un «mondo alla rovescia» rispetto al nostro) sono registrati già a partire dal XII secolo e continuano almeno fino al XV. Elemento centrale dell’azione e della raffigurazione cerimoniale era la cosiddetta Nave dei Folli, un’imbarcazione che veniva trascinata grottescamente attraverso le strade, asciutte, del paese. Il passaggio di una Nave dei Folli venne registrato già nelle Gesta Abbatum Trudonensium, una cronaca belga datata 1133. Questo tipo di rituale deambulatorio collettivo può forse essere messo in relazione con le scorribande rituali sul tipo dei Charivari di certe confraternite maschili come i Luperci nell’antica Roma, i Taltos in Ungheria, i Calusari in Romania, e coloro che si travestono da Krampus nell’area alpina, non a caso durante il periodo dell’anno di crisi solstiziale di Mezzo Inverno; egualmente, tra i Kwakiutl dell’area subartica, i membri della Loggia del Cannibale, durante i giorni adibiti alle pratiche rituali di Mezzo Inverno, passano rumorosamente in tutte le abitazioni del villaggio, per spaventarne gli abitanti e al tempo stesso per allontanarne i demoni […]. Nell’Inghilterra medievale il 6 gennaio, giorno in cui si conclude la «crisi solstiziale» di Mezzo Inverno dalla durata di 12 giorni, il Christmas Fool percorreva le strade del paese avvolto in una pelle di animale, danzando accompagnato dai Morris Men e dagli spadaccini. E Janet Bord, sempre parlando della tradizione britannica, sottolineò come « le descrizioni delle danze delle fate ricordano in qualche caso i balli popolari tutt’ora ampiamente diffusi in Gran Bretagna, e soprattutto il cosiddetto “Morris”, le cui origini restano circondate da un alone di mistero. Non è da escludere che la gente secoli fa copiasse le danze che vedeva eseguire alle fate e che, con il passare degli anni, le abbia adattate fino ad arrivare alle versioni attuali.20 https://axismundi.blog/2020/05/01/folli-sciamani-folletti-la-liminalita-lalterita-e-linversione-rituale/

Generalmente, le maschere – già tipiche delle “libertà di dicembre” nella Roma antica – erano anche un’«epifania della Morte» nella quale i deceduti – lo abbiamo già detto in precedenza – si mescolavano coi vivi. I folli e i buffoni avevano anche la funzione di prendersi gioco del vecchio cosmo-anno, con l’obiettivo di volerlo scacciare. In ogni autentico Carnevale vi è comunque questa presenza, sebbene molti non ne siano perfettamente consapevoli; trattasi della tragicità sottesa che si manifesta nell’apparente sfrenatezza.21 A. Cattabiani. Calendario. Le feste, i miti, le leggende e i riti dell’anno, Mondadori, Milano, 2003, p.147

La morte del Re Carnevale

Senza addentrarci troppo nello specifico nei meccanismi che caratterizzano il ciclo calendariale, è tuttavia centrale il ruolo che il tempo carnevalesco interseca con altri intervalli sacri, annessi a loro volta alle ricorrenze annuali. A tal proposito, le parole dell’antropologo Giovanni Kezich possono aiutarci – seppur in maniera sommaria – a comprendere questa sorta di incastro dal sapore arcaico

Il martedì grasso, infatti, risulta affacciato alla Quaresima in modo non diverso da come San Martino è affacciato sull’Avvento, la “piccola Quaresima”, che prepara al Natale, come la grande Quaresima prepara alla Pasqua, secondo lo schema seguente:

SAN MARTINO: AVVENTO = MARTEDÌ GRASSO : QUARESIMA

Così, a stretto seguito dei fuochi fatui di Halloween con i suoi teschi e le sue zucche, San Martino è tra i primi visitatori soprannaturali in grado di bucare il buio dell’inverno con un po’ di luce, e ben gli si addicono i focaroni con i quali lo si festeggia a Predazzo […] Da inizio dicembre, in rapida sequenza,  faranno poi seguito a San Martino, altri portatori di luce: Santa Barbara con il fuoco della mina, San Nicolò con le sue sfere dorate e di lì a qualche giorno Santa Lucia, che del canuto santo vescovo è la controparte italiana.22 G.Kezich, Carnevale re d’Europa. Viaggio antropologico nelle mascherate d’inverno, Priuli & Verlucca, Torino, 2015, pp.61-62

Sicché, nel giorno di martedì grasso il carnevale è messo a morte. Le figure maggiormente gettonate, sul piano simbolico, sono quelle del capro espiatorio, o del re. Presi di mira, costoro alla fine della “cerimonia” debbono esalare l’ultimo respiro. Famose paiono sul suolo italiano ed europeo le figure raffiguranti il carnevale che dopo una sorta di rituale vengono dati alle fiamme. Dal punto di vista rituale, inoltre, si può vedere financo il ciclo invernale che concede lo spazio alla nuova primavera. Nell’antichità, infatti, quel rito prendeva una piega particolare: si eseguiva un rito di “caccia” o di “lotta”. Vi era la “messa a morte” di una vittima che personificava l’inverno. Ci si immedesimava e si eseguiva una vera e propria “lotta”, nella quale si scontravano i rappresentanti delle due stagioni. Si combatteva con “armi” di legno, e alla fine l’inverno cadeva. Più avanti divenne un gioco. La fine dell’inverno era ingloriosa. Venendo bruciato o sotterrato, per l’esecuzione finale la persona fisica veniva sostituita con un manichino di legno o di paglia.23 A. de Benoist, Tradizioni d’Europa, Controcorrente, Napoli, 2006, pp.62-63  Anche nel Medioevo, il carnevale, veniva “citato in giudizio” davanti ad un’assise di giudici. E tutto questo si svolgeva in un’atmosfera grottesca e pomposa.24 Ibidem. p. 63

Tra gli attori si parla anche di esseri divini o soprannaturali. Se ci allacciamo ancora una volta a James Frazer, ci parla di usanze nelle quali a morire è un essere divino o soprannaturale, oppure il carnevale stesso. Carnevale, che, arrivato suo ultimo giorno – il martedì grasso – incontra la morte nel suo destino. Sebbene l’antropologo e lo storico delle religioni si avventuri in regioni e paesi più svariati a livello europeo, per quanto ci attiene ci limiteremo ai soli casi italiani, considerando che l’opera già menzionata dello scozzese rimane datata. Uno è il caso di Frosinone:

A Frosinone, nel Lazio (…), fino a pochi anni fa, veniva nell’ultimo giorno di Carnevale piacevolmente interrotta dalla vecchia festa conosciuta sotto il nome di Radica. Verso le quattro del pomeriggio la banda della città, suonando musiche da festa e seguita da una gran folla, si avviava alla piazza del Plebiscito dove erano la sottoprefettura e il rimanente delle sedi governative. Qui, nel mezzo della piazza, gli occhi della moltitudine in attesa erano allietati dalla vista di un immenso carro ornato di molti festoni colorati e tirato da quattro cavalli. Sul carro era eretto un alto seggio su cui sedeva in trono la maestosa figura del Carnevale, un uomo di stucco alto circa tre metri dall’aspetto sorridente e rubicondo. (…). La folla ondeggiando intorno al carro, tutta eccitata, dava sfogo ai suoi sentimenti con selvagge grida di gioia: ricchi e poveri mescolati insieme ballavano tutti furiosamente il saltarello. Un’usanza speciale della festa era che ognuno dovesse tenere in mano una cosiddetta radica, ossia una lunga foglia di aloe o meglio di agave. Chiunque si fosse avventurato nella folla(glia) senza tale foglia sarebbe stato spinto fuori a gomitate senza pietà, a meno che non portasse come sostituto un grande cavolo all’estremità di un lungo bastone o ciuffo d’erba curiosamente intrecciato.

Il carro – prosegue Frazer – nello scompiglio generale, viene accompagnato e  gli veniva reso omaggio persino dal sottoprefetto. Esso viene scortato anche davanti al cancello della sottoprefettura. Dopo l’inno del Carnevale, si fanno roteare in aria le aloe e i cavoli. Prosegue l’antropologo

Quando questi preliminari sono terminati a soddisfazione di tutti i partecipanti, il corteo di mette in moto. In coda segue una carretta carica di barili di vino e di guardie; queste ultime sono incaricate del simpatico compito di distribuire del vino a tutti quelli che lo chiedono, mentre la più animata battaglia, accompagnata da urli e copiose scariche di bastonate e bestemmie, prosegue tra la folla che si accalca in coda al carro, ansiosa di  non perdere la magnifica occasione di prendersi una sbornia a spese dell’erario. Finalmente, dopo che il corteo è passato così maestosamente in parata tra le vie principali, l’effigie del carnevale viene portata  nel centro di una piazza, spogliata dei suoi ornamenti, posta su una catasta di legna e bruciata fra le grida della moltitudine che, facendo echeggiare ancora una volta la canzone del carnevale, scaglia le cosiddette radiche sul rogo e si abbandona senza ritegno alla gioia della sua danza.25 J. G. Frazer, Il Ramo d’Oro. Studio sulla magia e sulla religione, Bollati Boringhieri, Torino, 2019, pp.362-363.

Altro esempio italiano da menzionare tramite lo scozzese è il seguente

Negli Abruzzi un carnevale di cartone viene portato da quattro becchini con le pipe in bocca e con delle bottiglie appese alla cintola. Davanti cammina la moglie del carnevale, vestita a lutto, e sciolta in lacrime. Di tanto in tanto la compagnia si ferma e mentre la moglie parla al pubblico che le dimostra segni di simpatia, i becchini si rinfrescano attaccandosi alla bottiglia. In una piazza aperta il cadavere della maschera viene messo su un rogo  a cui viene appiccato il fuoco al rullo dei tamburi, fra le grida acute delle donne e quelle più rudi degli uomini. Mentre la figura brucia, la folla si tira delle castagne. Qualche volta il carnevale viene rappresentato da un fantoccio di paglia in cima a un palo che al pomeriggio viene portato attraverso la città da una truppa di maschere. A sera, quattro maschere tengono tesa una coltre o un lenzuolo per i quattro angoli e ci fanno rimbalzare sopra l’immagine del carnevale. Il corteo viene poi ripreso e gli attori piangendo lacrime di coccodrillo esaltano l’asprezza del loro dolore con l’aiuto di casseruole e di campanelli.  Qualche volta, sempre negli Abruzzi, il morto carnevale è personificato da un uomo vivente che giace in una bara, assistito da un altro che funge da prete e dispensa l’acqua benedetta in gran profusione da una tinozza da bagno.26 J. G. Frazer, Op. cit. p.364

L’entusiasmo generale, in questi casi, si va a confondere con la personificazione del tragico, mischiandosi inestricabilmente. Poiché, in fondo, siamo di fronte all’essenza simbolica e rituale del contesto carnevalesco.

Vi è anche un altro aspetto degno di nota: la funzione simbolica dell’albero. Alfredo Cattabiani, infatti, con il suo interessante studio sulle origini delle feste dell’anno, ci mostra  l’esempio di Grauno, paesino del Trentino orientale. In quel piccolo paese di montagna, prima del martedì grasso, un pino gigantesco viene portato vicino al paesino. D’altronde, la montagna porta con sé l’emblema del mistero e della Tradizione. Pesante e maestoso, il pino viene portato nella piazza – prosegue lo studioso – nella quale viene recitata la Commedia. Anche in questo caso, si arriva ad un processo simbolico nei confronti di un colpevole, ultimo sposo dell’anno che andrà a battezzare il pino. Il pino è la personificazione del Carnevale e, come tale, trascinato attraverso il paese. Pertanto, l’albero viene accompagnato nei campi entro mezzogiorno. Come rende noto Cattabiani, viene posto su una piccola altura di nome doss del carneval. Le danze sono protagoniste anche in questo senso: lì si balla tutto il giorno, la frenesia è la regola. Lo studioso ci ricorda che – a malincuore – un tempo veniva addobbato dai coscritti con foglie di resina e quercia, oggi invece vengono utilizzati pneumatici infilati nel tronco e ricoperti di paglia. Albero sacro ai celti, la quercia è l’emblema – tra le altre cose – della forza, ed ha un ruolo di rilievo presso i popoli indoeuropei. Essa la ritroviamo, ad esempio, anche presso i Romani: si può intravedere nel caso della fondazione del santuario di Iupiter Feretrius da parte di Romolo.  Egli lo edifica sul colle capitolino da sempre consacrato a Giove, presso una quercia sacra annessa al dio. I pastori la veneravano.27 J. Champeaux, La religione dei romani, Il Mulino, Bologna, 2002, p.23

Tornando ad Alfredo Cattabiani, egli ci racconta che la sera, dopo l’Ave Maria, il corteo si ferma proprio al doss del carneval, luogo in cui l’albero si infiamma tramite l’ultimo sposo, insieme alla moglie. In tutto questo, è del futuro raccolto che ci si preoccupa, poiché da quell’enorme pira se ne possono trarre gli auspici. Se le scintille salgono verso l’alto, il segno è infausto; se si recano poco e cadono ad arco, l’anno sarebbe propizio.28 A. Cattabiani. Calendario. Le feste, i miti, le leggende e i riti dell’anno, Mondadori, Milano, 2003, pp.153-154

La figura verticale dell’albero può essere interpretata attraverso le declinazioni più diffuse. Esso, lo si può collegare al sole estivo, ad uno spirito della vegetazione connesso a rituali agrari, allo spirito dei morti, oppure ad una vera e propria divinità fallica.29 A. Cattabiani. Calendario. Le feste, i miti, le leggende e i riti dell’anno, Mondadori, Milano, 2003, p.154

La crisi della festa

Soprattutto se intrisa da un sapore religioso, possiamo percepire la crisi che affligge i momenti del ciclo annuale delle festività. Essa, tuttavia, non è figlia del XXI secolo. D’altronde, a differenza degli anni dell’ancien régime, come ha notato in maniera brillante Massimo Fini, «i ritmi del lavoro  di quegli uomini, legati com’erano a quelli della natura, erano più lenti, più ampi, meno affannosi, più armonici, più biologicamente giusti di quelli attuali». In quei secoli gli uomini, a detta di Fini, avevano un «bene essenziale»: il tempo.30 M. Fini, La Ragione aveva Torto?, Marsilio, Venezia, 2020, pp.50-51

Il sociologo Byung-Chul Han, con totale franchezza, afferma che

Le divinità si rallegrano quando gli uomini giocano, e gli uomini giocano per le divinità. Quando viviamo in un tempo senza festa, non siamo più in connessione con il divino. […] Feste e rituali dischiudono l’accesso al divino. Ovunque si lavora e si produce non siamo insieme alle divinità e non siamo noi stessi divini[…]. Forse dovremmo raggiungere di nuovo quella divinità, quella festività sacrale, invece di restare servi del lavoro e della prestazione. Dovremmo riconoscere che, oggi, avendo assolutizzato il lavoro, la prestazione e la produzione, abbiamo perso ogni momento di festa, ogni tempo solenne.31 B.C. Han, La società della stanchezza, Nottetempo, Milano, 2020, pp.104-105

Egli, dal canto suo, espone con lucidità alcuni processi festivi permeati da una modernità massificata e industriale. Inoltre, osserva:

Nel mondo odierno si è smarrita ogni divinità e ogni festività. La cosiddetta economia della condivisione (sharing economy) rende ciascuno un venditore in cerca di clienti. Riempiamo il mondo di cose della resistenza e della validità sempre più brevi. Il mondo soffoca di cose […]. Le cose invadono il cielo e la terra. Questo mondo di merci non è adatto all’abitare, esso ha perso ogni riferimento al divino, al sacro, all’infinito, al solenne, al sublime. […] Fuggire da questo grande magazzino (Werenhaus) non sarebbe necessario. Da esso dovemmo tornare a ricavare una casa (Haus), anzi una casa festiva (Festhaus) nella quale davvero valga la pena vivere.32 B.C. Han, Op. cit. p.118-119

Riflessioni affatto banali! Per dirla con Joseph de Maistre, «l’uomo, nonostante la sua degradazione, conserva segni evidenti della propria origine divina».33 J. De Maistre, Breviario della Tradizione, Il Cerchio, Rimini, 2000, p.62

Tuttavia questo processo dal sapore secolare ha radici profonde. La Rivoluzione Francese non ebbe un riguardo significativo per le manifestazioni carnevalesche. Col corso egli eventi rivoluzionari, prosegue la scia del razionalismo galoppante. Il legame tra le nuove istituzioni e il popolo, s’interseca tra nuove feste dal sapore rousseiano e giacobino. Queste ultime, ad esempio, amano riallacciarsi – a modo loro – nel ricordo di Sparta. Persino la Roma repubblicana è richiamata da costoro. Tra il 1740 e il 1794, le nuove élites al potere, dal canto loro, debbono trovare delle rapide soluzioni a ciò che percepiscono come un problema. Come spodestare il ciclo che da secoli s’è cementato sul rintocco delle campane del Cristo? In primis si separano i valori religiosi da quelli calendariali. Il legame religioso da quello lavorativo era maggiormente massiccio; tant’è che quel contesto – quello lavorativo – poggiava sul calendario liturgico cristiano «e quindi sulla data fissa, solstiziale del Natale e su quella mobile, equinoziale e primaverile comunque, della Pasqua». Il popolo contadino concepisce la scadenza dei contratti agrari il 29 settembre – per san Michele – e legano la svinatura pel giorno di san Martino, l’11 novembre. Per impiantare i nuovi valori patriottici e repubblicani è dunque necessario ribaltare alcuni pilastri. I nuovi profeti della rivoluzione detestano un’impostazione calendariale basata su legami prettamente religiosi. A farne le spese, quindi, sono anche le feste nelle quali emergono maggiormente elementi folklorici che non paiono annessi totalmente alla chiesa;  nemmeno al cristianesimo in genere.

Anche il carnevale, dunque, è considerata una ricorrenza da abrogare. Sicché, nel febbraio del 1790 su di esso viene posto un divieto. Malgrado fosse considerato un elemento disturbante esso, tuttavia, non è annientato completamente. Nel maggio del 1791, alcuni sanculotti parigini esaltati da un odio cieco, danno vita ad una manifestazione in salsa macabra che ha come bersaglio il Papa. Essi s’appropriano di usanze carnevalesche inscenando un processo farsa contro il pontefice, il quale – a detta loro – ebbe l’acerrima colpa di scomunicare il clero costituzionale. Egli, in maniera del tutto simbolica, viene dato alle fiamme. Con tutta evidenza, siamo di fronte all’ “uccisione” di una sorta di Re Carnevale. tra i vari eventi susseguitesi, per mano della Comune parigina s’esalta la campagna anticristiana: il 24 ottobre del 1793 si chiudono le chiese. La furia anticristiana emerge in maniera lampante con l’istituzione della Festa dell’Ente Supremo, l’8 giugno del 1794. Essa, col suo «bigottismo deista», «reca con sé integrale questa volontà di far smettere la gente di ridere». Vi è una sorta  di «volontà d’esproprio della dimensione del festivo, strappata alla comunità nella quale la festa si svolge ma alla quale s’impone il ruolo di spettatrice […], obbligandola ad assistere a una parata di simboli, di parole, di gesti, del tutto estranei alla tradizione».34 F. Cardini, Op. cit., pp.71-76

NOTE

  • 1
    A. De Benoist, Tradizioni d’Europa, Controcorrente, Napoli, 2006, p.61
  • 2
    J. C. Schmitt, Medioevo «superstizioso», Laterza, 2018, p.144
  • 3
    A. Cattabiani, Lunario. Dodici mesi di miti, feste, leggende e tradizioni popolari d’Italia, Mondadori, Milano, 2019, p.57
  • 4
    G. Gugliotta, L’eterno ricominciare. Feste contadine in terra di lavoro, Luigi Pacifico Editore, Caserta, 2020, p.39
  • 5
    R. Pettazzoni, Italia religiosa, a cura di G. Casadio e C. Prandi, Mimesis, Milano-Udine, 2020, p.12
  • 6
    R. Pettazzoni, Op. cit. p.13
  • 7
    https://www.centrostudilaruna.it/saturnalia.html
  • 8
    https://www.centrostudilaruna.it/saturnalia.html
  • 9
    J. Garriga Clavé, La festa del Natale. Origini e tradizioni, Passaggio al Bosco, 2023, pp.22-23
  • 10
    A. Cattabiani. Calendario. Le feste, i miti, le leggende e i riti dell’anno, Mondadori, Milano, 2003, p. 141
  • 11
    G.Kezich, Carnevale. La festa del mondo, Laterza, 2021, Bari, p.121
  • 12
    F.Cardini, Il libro delle feste. Il cerchio sacro dell’anno, Il Cerchio, Rimini, 2011, p.117
  • 13
    F. Cardini, I giorni del sacro. I riti e le feste del calendario dall’antichità ad oggi, UTET, Novara, 2016, p.264
  • 14
    Ibidem, p.265
  • 15
    Ibidem, p.266
  • 16
    F. Cardini, I giorni del sacro. I riti e le feste del calendario dall’antichità ad oggi, UTET, Novara, 2016, p.266
  • 17
    F.Cardini, Il libro delle feste. Il cerchio sacro dell’anno, Il Cerchio, Rimini, 2011, p.193
  • 18
    R. Guénon, Simboli della scienza sacra, Adelphi, Milano, 2019, pp.134-135
  • 19
    F. Cardini, Il libro delle feste. Il cerchio sacro dell’anno, Il Cerchio, Rimini, 2011, p.197
  • 20
    https://axismundi.blog/2020/05/01/folli-sciamani-folletti-la-liminalita-lalterita-e-linversione-rituale/
  • 21
    A. Cattabiani. Calendario. Le feste, i miti, le leggende e i riti dell’anno, Mondadori, Milano, 2003, p.147
  • 22
    G.Kezich, Carnevale re d’Europa. Viaggio antropologico nelle mascherate d’inverno, Priuli & Verlucca, Torino, 2015, pp.61-62
  • 23
    A. de Benoist, Tradizioni d’Europa, Controcorrente, Napoli, 2006, pp.62-63
  • 24
    Ibidem. p. 63
  • 25
    J. G. Frazer, Il Ramo d’Oro. Studio sulla magia e sulla religione, Bollati Boringhieri, Torino, 2019, pp.362-363.
  • 26
    J. G. Frazer, Op. cit. p.364
  • 27
    J. Champeaux, La religione dei romani, Il Mulino, Bologna, 2002, p.23
  • 28
    A. Cattabiani. Calendario. Le feste, i miti, le leggende e i riti dell’anno, Mondadori, Milano, 2003, pp.153-154
  • 29
    A. Cattabiani. Calendario. Le feste, i miti, le leggende e i riti dell’anno, Mondadori, Milano, 2003, p.154
  • 30
    M. Fini, La Ragione aveva Torto?, Marsilio, Venezia, 2020, pp.50-51
  • 31
    B.C. Han, La società della stanchezza, Nottetempo, Milano, 2020, pp.104-105
  • 32
    B.C. Han, Op. cit. p.118-119
  • 33
    J. De Maistre, Breviario della Tradizione, Il Cerchio, Rimini, 2000, p.62
  • 34
    F. Cardini, Op. cit., pp.71-76

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