I lupi mannari, il vecchio Thiess e le ritualità del ciclo sacro europeo

Nov 15, 2023

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Il Vecchio Continente è colmo di miti, leggende e storie legate a ritualità vivificate dal ciclo sacro delle stagioni. Benché possa apparire stravagante, quindi, persino la cosiddetta licantropìa possiamo affiancarla a culti ancestrali.

undefinedCome alcuni avranno intuito intuito, dunque, l’uomo e il lupo sono i protagonisti principali di questi racconti cementati dal mistero. Se volgiamo banalmente lo sguardo verso la definizione che la nota Enciclopedia Treccani rivolge a quel fenomeno, notiamo che emergono svariati ambiti alla rammentata licantropìa; come l’etnopsichiatria, folklore, superstizione popolare o «identificazione di un soggetto umano con il lupo o altro animale da preda». Inoltre la parola deriva dal greco λυκανϑρωπία [1].

Perciò, il licantropo  emerge talvolta come prototipo di impostore, legato a fenomeni spesso considerati come vergati dalla pazzia o dalla superstizione. Tuttavia, del suo simbolismo se n’è parlato largamente; come ci ricordano certe storie partorite da alcuni antichi. Dai racconti di Erodoto, sino a Ovidio…

Inoltre, vogliamo parlare del mondo mitologico germanico e norreno?

Nel XX secolo, ad esempio, certuni riferimenti letterari al lupo, li ritroviamo in alcuni testi avvincenti del poeta guerriero Hermann Löns e di Ernst Jünger. Quest’ultimo notava il branco di lupi come antidoto  simbolico allo strapotere dei tiranni.

Ad ogni modo, il lupo mannaro è tutt’oggi concepito maggiormente come protagonista di qualche romanzo gotico o di alcuni film horror. In tal caso, spesso, vi sono rappresentati alcuni sfortunati colpiti da maledizioni soprannaturali, e che si trasformano in lupi nelle notti di luna piena. Il loro destino è quello di seminare il terrore tra gli uomini. Visione semplicistica,  certamente. Ma non totalmente estranea ad alcune storie che citeremo.

Uomini che si fecero lupi. “Il Wehrwolf”, un libro maledetto - Pangea

Come abbiamo già detto, dunque, se legato al “mondo altro” della religione, del mito o del simbolismo, il lupo contiene numerose peculiarità. Nel mondo europeo lo troviamo sovente in contesti svariati. Tralasceremo quindi il ruolo – seppur significativo – del lupo inquadrato come animale totemico, o allineati ad alcuni riti. Per una visuale più generale, possiamo infatti sfogliare le pagine di Christophe Levalois [2] o di altri storici delle religioni.

Sicché, se varchiamo le soglie dell’arcano e del soprannaturale, vi sono alcune narrazioni di lupi mannari che possiamo riesumare dalla memoria europea, e che a loro volta emergono dal XVI sino al XVIII secolo. Simonluca Renda, infatti, in un suo intrigante libro [3], ha il merito di risaltare alcuni «casi celebri» di licantropia che possiamo cogliere negli angoli della storia: si parla di Jean Grenier, Pierre Burgot, Peter Stubbe e della cosiddetta bestia di Gévaudan. Siamo nell’area franco-germanica, nella quale queste storie paiono ben radicate.

Beneath the Skin: l'antica arte di trasformarsi in lupo – Spore

Certamente, l’epoca che provoca maggiore interesse per quell’essere metà lupo e metà uomo, è il Medioevo. In quei secoli lo spazio boschivo situato al di là di quello urbanizzato – oltre a provocare sentimenti d’oscurità e mistero – generava una prolificazione di animali selvaggi. Il lupo era tra questi. Tra le preoccupazioni sconcertate di un Isidoro di Siviglia – e di altri, all’epoca -, la fiera arrivò ad essere totalmente relegata al rango di bestia demoniaca. Carlo Magno, ad esempio, usa «la bestia (lupus diabolus) per indicare i suoi nemici politici nel Admonitio generalis […]». Scrive Renda che in quel frangente

«i lupi sono gli eretici. I lupi sono gli avari. Gli esempi sono innumerevoli e differenti tra loro. Il lupo è il simbolo del vizio, dell’eresia, della cattiveria e della violenza (intesa nell’aggettivo “rapace”). Basti pensare a Dante e all’uso che fa dell’animale all’ingresso del limbo».

Spiccano anche le testimonianze di Gervasio da Tilbury, che nel suo Otia imperialia richiama gli uomini dell’Anglia trasformatisi frequentemente in lupi per lunationes. In alcune nazioni del nord Europa – si pensi al contesto germanico e scandinavo – essa, all’epoca, è una credenza diffusa [4]. Perciò, nel XVI e XVII secolo, vi cono anche coloro che  considerano alcuni lupi posseduti da demoni. Si pensi ad alcuni scritti nel famoso famoso Malleus Maleficarum [5].

Licantropi e lupi mannari, leggende e mito nel medio evo

Un caso che può destare l’interesse dei curiosi, è riportato in una raccolta elaborata da Carlo Ginzburg e Bruce Lincoln. Tra i due studiosi si cementa un prolifico dibattito riguardo a un caso emerso nel freddo baltico del XVII secolo. Nella Livonia del 1691, nel bel mezzo d’un processo contro «un ladro di chiese di Jürgensburg», accadde un fatto che destò scalpore tra i presenti. Alcuni, infatti, in quel frangente scoppiarono a ridere, poiché tra coloro che avrebbero dovuto prestare giuramento e testimonianza della nefandezza, vi era un anziano conosciuto da tutti come il “vecchio Thiess”.

Il vecchio Thiess. Un lupo mannaro baltico tra caso e comparazione - Carlo Ginzburg, Bruce LincolnCostui, “bullizzato” da quella folla, fu preso di mira poiché negli anni precedenti fu anch’egli messo sotto processo – e  poi rilasciato – con l’accusa d’essere un lupo mannaro. Non rimarcheremo gli aspetti legati agli atti processuali. Tuttavia, nel clamore generale, egli rivendicò ciò la calunnia a lui additata; e per la quale fu infine condannato alla fustigazione pubblica.

Se cogliamo le parole di Ginzburg – che trova delle assonanze coi benandanti friulani – la peculiarità di questo caso diverge dalle storie  sui lupi mannari maggiormente diffuse nelle zone del Baltico e nel nord della Germania. Al di là degli aspetti comparativi che coglie lo studioso per la sua ricerca e nei quali non ci inoltreremo, è opportuno sottolineare che il vecchio Thiess non crede d’essere un servo del maligno. Tutt’altro. Egli, colla sua banda di lupi mannari, afferma d’agire per conto di Dio per contrastare gli stregoni in difesa del «bestiame, grano e altri frutti della terra».

Afferma il Ginzburg che costoro «tre volte all’anno, nelle notti di santa Lucia prima di Natale, di Pentecoste e di san Giovanni, i licantropi si recano a piedi, in forma di lupi, in un luogo situato “alla fine del mare”: l’inferno […]» [6]. Cosa voleva dimostrare, quindi, questo bizzarro vecchietto?

Per Otto Höfler, Thiess non è uno squilibrato in cerca di notorietà, bensì egli stesso si riallaccia alle «tradizioni del Volk». Se lasciamo ancora una volta le parole allo studioso austriaco, costui asserisce:

Che questi fenomeni spettrali avessero luogo soprattutto durante la notte di santa Lucia corrisponde a una tradizione largamente diffusa. In Norvegia, infatti, l’esercito selvaggio viene spesso chiamato Lussi-færden («quelli che vagano con santa Lucia), perché compare appunto in quella notte. […] Non di rado, le dodici notti prima del Natale sono in competizione, in quanto periodo connesso agli spettri, con le dodici notti dopo il 24 dicembre […]. Il furto della fertilità e il suo recupero dall’«inferno» è chiaramente un complesso molto antico e appartiene senza dubbio alla cerchia dei miti – e dei culti – che trattano la scomparsa nell’aldilà dei poteri della vegetazione e il buon esito del ritorno sulla terra [7].

Egli innesta questo processo in sintonia coi cicli di Attis, Baldr, Demetra-Persefone e Adone; evidenziando a sua volta alcune differenze dal caso livone. Si richiamano altresì, in quel ciclo cosmico carico di mistero, la caccia selvaggia e le confraternite dei Männerbünde.

Studentenverbindung – Wikipedia

Quei lupi mannari coi quali s’identifica il vecchio Thiess, insomma, affontano «a colpi di bastone» gli stregoni e le forze demoniache. Costoro s’identificano, in maniera alquanto paradossale, come i “segugi di Dio”. Se volgiamo attentamente lo sguardo a quel ciclo cosmico stagionale compreso tra il Natale e l’Epifania – ed esteso in dodici notti – , s’esercita un connubio rituale legato al «mondo sotterraneo». Dall’Europa del nord sino al sud Italia, emergono storie nelle quali i protagonisti sono «esseri infernali, streghe e anime dei morti». Gianni Gugliotta, in tal senso, scrive che:

Ancora oggi, ad esempio, pressoché dappertutto si da credito alla presenza dei lupi mannari (o vermenare), di esseri umani, cioè, che nelle notti di plenilunio, soprattutto nel periodo natalizio, in preda ad una particolare possessione si trasformano in lupi e ululando vanno in giro per le strade in cerca di sangue. Secondo la tradizione i lupi mannari (se sono donne vengono chiamate janare) per aver osato far coincidere la loro nascita con quella di Gesù sono stati condannati a possedere per tutta la vita il cosiddetto malore d’a luna (male della luna) [8].

A Solopaca tornano le Janare… a far dispetti e danni - Cronache del SannioIn Italia – come ricordato dallo stesso Renda – vi sono anche leggende maledette che rammentano la “sfortuna” di nascere il 25 dicembre. In quel caso, sarebbe alta la probabilità di trasformarsi in lupo nelle notti di luna piena. Al pari dei casi citati precedentemente, siamo comunque nell’alveo della religiosità popolare e con rimasugli pre-cristiani. Sono grandi i misteri oscuri che permeano questa figura permeata – al tempo stesso – di brutalità e fascino dell’ arcaico.

ALLA FIGURA DEL LICANTROPO,
ROBERTO GIACOMELLI HA DEDICATO UN BEL ROMANZO,
EDITO DA PASSAGGIO AL BOSCO EDIZIONI:

 

NOTE:
[1] https://www.treccani.it/vocabolario/licantropia/
[2] C. Levalois, Il simbolismo del lupo, Arktos, Carmagnola, 1988
[3] S. Renda, Storie del mal di luna. Il lupo mannaro in Occidente, Hermatena, 2019
[4] S. Renda, Ibidem, pp. 71-76
[5] S. Renda, Ibidem, pp. 84
[6] C. Ginzburg, B. Lincoln, Il vecchio Thiess. Un lupo mannaro baltico tra caso e comparazione, Officina Libraria, Roma, 2022, p. 65
[7] O. Höfler, Comparazione del vecchio Thiess con gruppi cultuali germanici, il folklore e i miti di Persefone in C. Ginzburg, B. Lincoln, Ibidem, p. 59
[8] G. Gugliotta, L’eterno ricominciare. Feste contadine in terra di lavoro, Luigi Pacifico Editore, Caserta, 2020, p. 13

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