L’esercizio della memoria, oggi, è un fatto strumentale: lo si manipola a piacimento, adeguandolo alle esigenze di una narrazione “politicamente corretta” che non è mai imparziale. Spesso e volentieri – sui temi più disparati – si innesca un ricordo cerimoniale, dogmatico e indotto, che sembra aver smarrito la propria spontaneità, la propria empatia e il proprio senso di grandezza. Del resto, in un brodo culturale che pretende di cancellare la storia e disarticolare le identità manifeste, non è più lecito immaginare – nel Vecchio Continente – degli atti fondativi che ripercorrano le grandi imprese del passato. Tutto diventa artificiale, monotono, misurato: discorsetti d’ordinanza, politici annoiati, trafiletti “copia e incolla” in ultima pagina.
All’Europa, avvilita e colpevolizzata da un pensiero debole che la vorrebbe remissiva e perdente, sembra mancare la volontà di splendore: il grigiore apatico della burocrazia di Bruxelles, dimentica delle proprie radici e proiettata in una dimensione puramente orizzontale, non ha mai celebrato le proprie vittorie. Eppure, non è un problema della modernità: gli americani – malgrado le sbandierate “crisi interne” – continuano a produrre colossal hollywoodiani che esaltano le gesta dei propri soldati; la Cina mette in piedi una macchina cinematografica da miliardi di dollari che punta al rilancio dell’orgoglio nazionale; i turchi fanno sbarcare sulle piattaforme digitali delle fiction che rileggono la parabola ottomana sulla scorta di un rinato orgoglio nazionale. E gli europei? Salvo rare eccezioni, il silenzio è tombale. Vi immaginate, oggi, una celebrazione ufficiale della Riconquista spagnola o della battaglia di Lepanto? Ci volle Zack Snyder, nato a Green Bay e non ad Atene o a Berlino, per celebrare l’impresa degli spartani in “300”.
Il solo fatto di presupporre un “noi” che escludesse un “loro”, sarebbe motivo di imbarazzo. Ma le Civiltà, ce lo insegnano gli antichi, sopravvivono quando hanno delle storie da raccontare. Quando riescono ancora ad immedesimarsi in un tessuto condiviso, in un verbo collettivo, in un comune orizzonti di miti e di simboli. Non è un caso, infatti, che l’attacco dell’iconoclastia globalista sia stato portato al cuore dell’Europa, che i miti li ha generati e coltivati per millenni, tramandoli in forma orale e scritta, trasferendoli nel sacro, eternandoli nell’arte e nella letteratura, incarnandoli nella gesta eroiche dei propri guerrieri.
Proprio a questi ultimi – allora – è dedicata la novità editoriale di Passaggio al Bosco: un testo coinvolgente e diretto – scritto in forma romanzata – che ripercorre le tappe della storia europea attraverso le grandi battaglie che l’hanno attraversata. Dal passo delle Termopili alle falangi di Alessandro Magno; dalla gloria di Roma alle invasioni barbariche; da Poitiers alle crociate in Terra Santa, passando per le imprese dello Stupor Mundi, per la battaglia di Lepanto, per l’assedio di Vienna, per la Vandea controrivoluzionaria, per le trincee della Grande Guerra e per l’epopea della Repubblica Sociale Italiana: Francesco Cappellini – in questo tascabile di grande impatto – compie un viaggio straordinario nella nostra memoria, tra guerre fratricide e grandi slanci, difese ostinate e assalti mozzafiato, sacrifici personali e conquiste condivise. I secoli scorrono veloci, pagina dopo pagina, grazie ad una narrazione che fa immedesimare il lettore nelle gesta dei protagonisti: il modo migliore – forse l’unico – per trasmettere al pubblico gli esempi pragmatici dei nostri antenati.
Quello che più conta, però, è l’onestà intellettuale di ribadire ciò che oggi sembra innominabile: la nostra stirpe si è certamente sviluppata nel pensiero, nella religione e nella scienza, ma ha saputo indubbiamente forgiarsi nel sangue. Affermarlo non è una macabra forzatura, ma una naturale constatazione di fatto: la guerra – con tutti i suoi drammi, le sue tragedie e le sue vittime – è stata il motore della storia. Perché, a distanza di secoli, non si dovrebbe celebrarne anche l’elemento vitale? Perché la si dovrebbe necessariamente ridurre alla sola bestialità? Certo, quella è una parte essenziale del conflitto, le cui conseguenze sono state spesso devastanti. Ma ci sono anche il coraggio e il sacrificio, il generoso e impersonale dono di sé, il gesto volontario che oltrepassa l’interesse razionale e l’autoconservazione, il superamento dell’elemento umano e la privazione che diventa sacralità olimpica, il principio che si fa carne e plasma la storia. Di tutto questo – che non è poca cosa – abbiamo il dovere di riappropriarci. Le imprese dei “Guerrieri d’Europa”, forse, ci aiutano a farlo.