Giovanna Deiana, l’Ausiliaria non vedente che scelse di lottare fino alla fine

Gen 17, 2024

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“Fa del tuo lavoro quotidiano, qualunque fatica ti costi, la tua aspirazione e la tua gioia. Sii attenta nel ricevere il comando, pronta e obbediente nell’eseguirlo, serenamente consapevole che l’opera tua grande o piccola che sia, è una pietra che tu porti all’edificio della Patria, che oggi rinasce per virtù di sacrificio e di fatica comuni”.

E ancora:

“Il dovere, essenza e ragione profonda della vita, sia innanzi ad ogni cosa nella tua coscienza: consacrati ad assolverlo totalmente, in pienezza di fede”.

Il saluto all'Ausiliaria Giovanna Deiana del Cuib Femminile di Raido - AZIONE TRADIZIONALE

Lavoro, sacrificio, fatica, dovere.
Sono questi i valori trasmessi nei punti 7-8 del decalogo delle Ausiliarie, che presero vita nella condotta di Giovanna Deiana, la volontaria rimasta cieca in seguito ad un’incursione aerea nemica, dove fu colpita al viso da una scheggia di bomba. Una cecità frutto di un gesto eroico, visto che la giovane – preoccupata della sorte dei suoi fratellini – li allontanò con gesto violento dal pericolo, sacrificando la vista e mettendo a repentaglio la propria incolumità.

“Desidero che il Duce sappia che io non piangerò e che tutto soffrirà per il suo amore e per quello della Patria”.

AUSILIARIE DELLA REPUBBLICA SOCIALE ITALIANA

Nonostante il dolore provocato dalla ferita, la donna si dichiarava lieta che la sorte avesse scelto lei per la dura prova, risparmiando un soldato o un obiettivo militare. Il suo spirito patriottico e la sua lealtà, del resto, si possono riscontrare in ciò che scrisse. Nella pagine di Riaffermazione, del 1996, possiamo leggere:

“Era il mattino del 30 settembre 1944. Il Federale di Verona, maggiore Sioli, mi aveva gentilmente concesso la possibilità di usufruire di una Topolino e di un autista per potermi recare al Quartier Generale del Duce a Gargnano, dove era la sede del Governo fascista. Nessuno conosceva il motivo di questo mio desiderio di recarmi dal Duce, per poter parlare personalmente con Lui: un desiderio che aveva tormentato il mio spirito dal maggio precedente e che finalmente quel mattino di settembre cominciava a delinearsi realizzabile. Già dal febbraio 1944 avevo appreso da una trasmissione radiofonica, che si chiamava “La Voce del Partito”, la possibilità di fare domanda di arruolamento in un Servizio Ausiliario Femminile. Niente di meglio per soddisfare l’ansia che sentivo in me, soprattutto dopo l’8 settembre 1943, di fare qualcosa di più per la Patria. E per questo scrissi. Tutto questo per il mio stato fisico di invalida di guerra. Era troppo poco per la mia volontà di fare attivamente e concretamente; non ignoravo, ad esempio, che altri invalidi ciechi erano disponibili e attivi agli aerofoni per la segnalazione di arrivi di aerei nemici. Ero perciò disposta, quel mattino di settembre 1944, a superare tutti gli ostacoli per arrivare alla presenza del Duce ed esprimere a Lui il mio fermo proposito di agire e di diventare Ausiliaria. Circostanze favorevoli, come l’incontro con la Medaglia d’Oro Carlo Borsani, presidente dell’Associazione Nazionale Mutilati, che avevo conosciuto qualche mese prima, fecero sì che il giorno dopo ero già iscritta nella lista delle persone che il Duce avrebbe ricevuto nella mattinata del giorno successivo, il 10 ottobre 1944. Ero accompagnata dalla signorina Lenotti, anziana iscritta al Partito. Benito Mussolini mi ricevette alle 14 di quel giorno. Era appena suonato l’allarme aereo, ma questo non aveva per nulla turbato il ritmo delle udienze. Quando dalla grande sala di attesa prendemmo il lungo corridoio che portava fino alla stanza del Duce, l’ultima a sinistra, il mio cuore accelerò i palpiti. Ero stata avvertita dal segretario del partito Alessandro Pavolini, che in anticamera c’erano anche delle signore ad attendere. Difatti quando il Duce ci vide apparire nel vano della porta, venendoci incontro, si scusò di averci fatto attendere. Questa sua gentilezza e comprensione calmò il mio cuore e mi mise tranquilla. Per poco, tuttavia; perché il Duce guardandomi mi riconobbe, mi abbracciò teneramente e mi disse: “addio, Deiana, ricordo il coraggio dimostrato da te nel tragico frangente del tuo sacrificio”. (…) Poi all’improvviso disse: “Dimmi, Deiana: cosa posso fare per te?”. Come sempre lungimirante, anche nelle piccole cose, seppe facilitarmi la vita. E risposi che volevo essere anch’io una Ausiliaria, come tante altre donne lo erano. La Sua risposta fu laconica, quanto commossa: “Bene. Domani parlerò al generale Nacchiarelli”. (…) Due giorni dopo iniziò un corso provinciale a Verona e qualche tempo dopo la Comandante della S.A.F. di Verona, Elena Ranzi, mi comunicò che dovevo partire per Como, dove avrei frequentato dal 6 gennaio 1945, il V Corso Nazionale Fiamma. Conclusi con il mio giuramento individuale di fronte alla Comandante Maria Teresa Feliciani il giorno 9 febbraio. Le motivazioni del mio arruolamento? Credo di averle sufficientemente spiegate: in quei momenti di altissima tensione spirituale i blablabla passavano in ultima linea, anzi erano addirittura inesistenti. Bisognava lavorare, come sempre, come credo ancora lavoro, sentendomi sempre parte attiva di questo connettivo sociale”.

Un attivismo invidiabile, che lasciò senza parole tutti quanti. La donna, malgrado le ferite e l’invalidità, non mancò di dare il proprio contributo, mettendosi a disposizione. Alla cecità, si aggiunse anche la morte del fratello, che lei definiva “i miei occhi”. Il giovane, non ancora quindicenne e già mascotte della Brigata Nera, venne ucciso e gettato nell’Adige tre mesi dopo la fine del conflitto. Ma, nonostante una vita vissuta tra sacrifici e dolori, la donna dichiarò con orgoglio:

 “La vita mi ha dato tanto amore. Più dei professorini saccenti e ignobili, di libri taglia e cuci, dell’arroganza di intellettuali stitici e onanisti di idee”.

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