Ricostruiamo dai “Frammenti postumi” del 1884 tutta l’ostilità offerta dalla dinamite prussiana nei confronti della filosofia inglese a lui contemporanea – l’utilitarismo – che intende come “buono” solo ciò da cui si può trarre vantaggio, materialmente inteso ça va sans dire, secondo il più abietto sentimento del mercante; “quanta bestiale volgarità nell’inglese che sente la necessità di predicare con tutte le sue forze come punto di vista supremo l’utile” – ecco il j’accuse di Nietzsche a un popolo che giudica, oggi come ieri, il benessere come fine dell’individuo e di quella società – giammai comunità – percepita meramente come addizione di singoli.
Sono queste le convinzioni che un paio d’anni dopo (1886) lo porteranno a definire nel testo coevo gli inglesi come una “razza non filosofica” tanto che la loro “balordaggine” e mancanza di “visione spirituale” pone seri dubbi su un utilizzo forse improprio della parola “filosofia” legato all’isola e ai sui abitanti: il nostro autore azzarda teorie di geofilosofia legando così taluni spazi geografico-politici a certe forme di pensiero e di vita.
Siamo proprio sicuri che l’edonismo camuffato nella filosofia dell’utile, questa spasmodica ricerca della “felicità” – “solo l’inglese vi anela”, scrive ancora in al di là del bene e del male – sia da intendere come un valore e non per nichilismo? Nietzsche ricorda come l’infelicità nella storia abbia prodotto un tempo caratterizzato da un genio superiore e non ha remore nel definire timore e odio per la sofferenza molto poco aristocratici, sentimenti tipici “plebei”.
Un quadro siffatto rende “il piccolo spirito inglese il grande pericolo odierno sulla terra” poiché seguire le sue tracce “comfortistiche” significa rinunciare ad ogni prospettiva di grandezza per l’uomo. E se tale “visione” oggi si è imposta, va da sé che occorrerà invertire la rotta, tornando a navigare su orizzonti europei, creando una nuova gerarchia di valori. Ma chi può fare tutto questo? Solo il Superuomo. Ne riparleremo.
