Franca Barbier, l’Ausiliaria che gelò i fucilatori partigiani e conquistò l’eternità

Gen 28, 2024

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“Nei rapporti della tua vita quotidiana sii semplice, diritta, sincera. Non indulgere a transazioni di coscienza, sfuggi le avide lotte che mirano a soddisfare la vanità e l’arrivismo. Considerati il buon soldato che fa della parola “onore” il suo indefettibile motto”.

franca barbier rsi

Orgoglio: è questo il valore trasmesso dal punto 6 del decalogo delle Ausiliarie, che Franca Barbier rese “il suo indefettibile motto”.
Nata a Saluzzo il 3 giugno 1923, in una famiglia fascista, la ragazza diede già grande prova di coraggio dopo la firma dell’armistizio dell’8 settembre 1943, lasciando la casa paterna per seguire il fratello Mirko. Quest’ultimo – infatti – era scappato dal collegio di Vercelli per arruolarsi nelle forze armate della Repubblica Sociale Italiana.

UOMINI LIBERI - Press: FRANCA BARBIER, UNA DONNA STRAORDINARIA

Franca, invece, una volta entrata nel Servizio Ausiliario Femminile, fu mandata ad un reparto speciale informativo di stanza in Valle d’Aosta. Le fu affidato uno dei compiti più delicati nonché pericolosi, soprattutto per una donna: infiltrarsi come spia in una formazione di partigiani, al comando di Cesare Olietti, nome di battaglia “Mèzard”.

La giovane, tuttavia, cadde a sua volta in una trappola tesa da quest’ultimo. Il comandante – malgrado tutto – si era invaghito della sua determinazione, accompagnata da tanta bellezza. Anche per questo motivo, dunque, tentò di convincerla a rinnegare il fascismo ed unirsi a loro. Ma la giovane Ausiliaria, a rischio della vita, rimase fedele al proprio giuramento fino alla fine. Una fermezza che si può constatare dalle sue lettere, ma anche dalla cronaca degli istanti che precedono la sua fucilazione.

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Una lettera scritta al Capo della provincia di Aosta, al quale chiese di esaudire il suo ultimo desiderio, ci trasmette la profondità della sua scelta:

“Perdonatemi se mi rivolgo a Voi, ma vi devo chiedere di esaudire il mio ultimo desiderio.
Sarò passata per le armi domani 25 luglio [1944].
Vi raccomando la mia povera mamma, che rimane completamente sola. Siatele vicino: ve ne supplico! È tanto ammalata e non so come potrà superare questo dolore. Cercate Voi di ottenere che il mio corpo venga restituito a mia madre; almeno questo, affinché io possa riposare accanto a mio fratello ed ai miei parenti.
Cercherò di essere forte domani per essere degna della nostra Causa. Vi ringrazio per tutto quanto avete fatto per me e per quello che farete per la mia mamma.
Vi prego di comunicare, se è possibile, al Duce il mio orgoglio di cadere per Lui e per la nostra Idea.
Vi ricordo e, con Voi, Piero. Ricordatemi anche Voi qualche volta”.

Una lettera nella quale si alternano e si mescolano onore e umiltà, fermezza e dolcezza. L’onore e la fermezza nella “Causa” da lei abbracciata, ma anche l’umiltà e la dolcezza nel manifestare l’affetto verso la madre. La lettera inviata a quest’ultima, in tal senso, non lascia spazio alla fantasia:

“Mamma mia adorata, purtroppo è giunta la mia ultima ora.
Non mi è neppure concesso riabbracciarti ancora una volta. Questo è il mio unico, immenso dolore. Il mio pensiero sarà rivolto fino all’ultimo a te e a Mirko. Digli che compia sempre il suo dovere di soldato e che si ricordi sempre di me, io il mio dovere non ho potuto compierlo ed ho fatto solo delle sciocchezze, ma muoio per la nostra causa e questo mi consola.
Non chiedo di essere vendicata, non ne vale la pena, ma vorrei soltanto che la mia morte servisse di esempio a tutti quelli che si fanno chiamare fascisti e che per la nostra Causa non sanno che sacrificare parole.
Mamma, mia piccola Mucci adorata, non ti vedrò più, mai più e neppure ho il conforto di una tua ultima frase né della tua immagine.
Addio per sempre”.

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Parole semplici, ma di grande profondità: l’Ausiliaria lascia spazio alla figlia, ma senza rinnegare niente e sempre nella fedeltà ad un destino tragico, che pure si è scelto. La fragilità di una ventenne che si mescola alla fermezza di una Donna, fiera della propria idea e della propria appartenenza. Quello stesso coraggio, del resto, è mantenuto dinanzi al plotone di esecuzione. L’Ausiliaria, infatti, chiede ai suoi esecutori di poter ordinare il “fuoco”, così da poter gridare – prima della raffica mortale – il proprio “Viva l’Italia! Viva il Duce!”. Una richiesta che le fu concessa. Un onore e un coraggio che disarmarono chi era pronto a far fuoco. I “giustizieri” – infatti – spararono alto, al di sopra della testa. Fu il comandante, respinto dalla giovane, che pose fine alla vita di quest’ultima, freddandola con un colpo alla testa. Il corpo fu abbandonato e ritrovato solo due anni dopo, nell’ottobre del 1946.

La sintesi perfetta di chi era Franca Barbier, sulla base di quanto è stato raccontato, la si può riscontrare nella motivazione della medaglia d’oro conferitale dalla Repubblica Sociale Italiana su richiesta del capo delle Ausiliarie, il generale Piera Gotteschi Fondelli:

« (…) Rimasta ferma nella sua fede e portata davanti al plotone di esecuzione, ebbe la forza di gridare: Viva l’Italia! Viva il Duce! ordinando il fuoco. Fu uccisa dal capo con un colpo alla nuca. Fulgido esempio di volontaria, la sua morte è fonte di luce.»

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