Feltri e i “fascisti della parola”, che sarebbe meglio definire “comunisti”: recensione e riflessione

Mar 2, 2024

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Vittorio Feltri o lo ami o lo odi. Il fatto è che le stesse ragioni per le quali sei spinto a volte a disprezzarlo, sono le stesse che magari ti spingono a stimarlo. Non ha certo la raffinatezza nello stile e la profondità dei temi di un Marcello Veneziani o di un Francesco Borgonovo. Però, proprio quel suo modo “crudo”, è il modo migliore con cui Feltri arriva al cuore della gente. Forse Vannacci ha fatto scuola, ma Feltri non ha bisogno di scuole in tal senso, anche se possiamo ipotizzare che dopo il successo sbalorditivo del libro “Il mondo alla rovescia”, quella volpe di Feltri, abbia saputo cogliere l’occasione al balzo e piazzare un libro proprio come una certa “parte di italiani” si aspettano. Certamente Feltri parla alla pancia della gente, con un linguaggio crudo, a volte rozzo, privo di fronzoli, ma che raggiunge per questo motivo più facilmente l’obiettivo, anche se non aveva torto Indro Montanelli nel dire che Feltri, con i suoi giornali, tende a risvegliare le parti più turpi della media borghesia italiana. Non è questo il compito che dovrebbe avere un cultura conservatrice, tutt’altro, e Giuseppe Prezzolini insegna, ma è anche vero che di fronte all’imbecillità del “politicamente corretto” non ci sono forse cure migliori, che rispondere in modo greve.

Fascisti della parola - Vittorio Feltri - Libro - Rizzoli - Varia | IBS

È il caso, credo (e crediamo) di “Fascisti della parola” di Rizzoli (sebbene sarebbe più opportuno parlare di comunisti della parola, ma si sa, la parola ”fascisti” inorridisce, la parola “comunisti” lascia indifferenti). Il libro si legge facilmente e rapidamente (l’ho letto in un paio di giorni). Dopo un’introduzione, seguono i capitoli, i quali titoli parlano da sé: 1) Vietato dire “negro”, eppure fino a qualche anno fa era termine ammesso e non offensivo. 2) Vietato dire “frocio”. 3) Giorgia Meloni e l’obbligo di definirsi “presidenta”. 4) Chiamare “zingaro” lo zingaro è da razzisti. 5) Proibito il termine “terrone”. 6) Se chiami “clandestino” il clandestino sei perseguito. 7) La sinistra vuole risolvere la crisi demografica importando extracomunitari, ma guai a parlare di “sostituzione etnica”. 8) “Patria” è un valore, non una parolaccia. 9) Se proferisci la parola “razza” vieni assimilato a Hitler. 10) Difendere la “famiglia tradizionale” è un delitto. 11) “Mamma e “papa” sono diventati termini offensivi. 12) L’aggettivo scomodo: “vecchio”. 13) Il linguaggio genderista. Vogliamo una lingua senza genere e poi incriminiamo il maschile, che è pure neutro. 14) “Merito” è discriminatorio verso chi non è meritevole. 15) “Populista” è un improperio. 16) La “minaccia sovranista” si è rivelata infondata ma i “sovranisti” sono ancora considerati pericolosi. 17) I delitti di opinione andrebbero aboliti, confliggono con la libertà di pensiero.18) Sia lodato il turpiloquio. Termina con un capitolo dal titolo: Conclusioni.

Cancel Culture: How Could The Government Fight It? - Regardless

Quanto trascritto non è farina del mio sacco, sono parole di Feltri, condivisibili o meno (io dissento su alcune questioni e soprattutto sulla forma con le quali le esprime), ma diciamo la verità, solo a leggere questi titoli, viene l’acquolina in bocca, la voglia di leggerlo. Anche perché nonostante i titoli possano far andare fuori strada, far credere determinate cose, leggendo il libro si scopre che le cose stanno diversamente, ma il concetto che Feltri vuole veicolare, è che attraverso un “lavaggio del linguaggio”, si vuole subdolamente e pericolosamente instaurare un invisibile regime illiberale, dove mutando la forma, si muta la sostanza della democrazia. Quando si pretende di “ripulire” il dizionario, si prende di mira statue, opere che ritraggono personaggi storici non in linea con il regime “woke”, quando si minaccia di censurare “Via col vento” perché ritenuto “razzista”, o si imbrattano le statue di Montanelli o d’Annunzio, fino alle demenziali pretese di querelare la coppia Cochi e Renato perché con la canzone “La gallina” avrebbero offeso gli animali, allora siamo ad un passo da Orwell. Un Orwell tragicomico. Come diceva il genio liberale di Ennio Flaiano: “La situazione è grave ma non è seria”.