Evola e Jünger: un ’900 “inquieto” fra tempeste d’acciaio e rivolte contro il mondo moderno

Set 29, 2023

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La redazione di identitario.org ripropone, con piacere, un brano di grande valore, che conclude l’opera “Ernst Jünger: il combattente, l’Operaio, l’anarca”, pubblicata dal Passaggio al Bosco Edizioni e curata da RigenerAzione Evola. Il testo, corredato dalla prefazione di Maurizio Rossi, raccoglie gli articoli che Julius Evola dedicò al filosofo tedesco, analizzandone le fasi e il pensiero. 

RigenerAzione Evola

È cosa piuttosto sconosciuta al grande pubblico che quasi tutti i più interessanti ed innovativi intellettuali del Novecento, furono in realtà delle “intelligenze scomode”, ossia non allineate, ribelli e decisamente rivoluzionarie. Intelligenze non intellettualistiche, potremmo dire, perché fatte di pensiero e d’azione che spesso, molto spesso, non disdegnarono di impegnarsi sul fronte dei cosiddetti Fascismi europei, ovvero quel “Male assoluto” che oggi vorrebbero farci credere fu solo buio, assenza di pensiero, barbarie ed ignoranza. Non fu così. 

Una di queste intelligenze scomode del ’900 fu senz’altro Julius Evola (1). Spesso, sulla base della legge delle affinità elettive – quella per cui il simile riconosce il simile, attrae il simile e, infine, si ricongiunge al simile… – queste intelligenze marciarono insieme, si ritrovarono, condivisero lo stesso “Fronte dello Spirito”, pur provenendo da esperienze, sensibilità e nazioni diverse. Fu questo il caso dell’incontro fra Julius Evola ed Ernst Jünger. 

L'operaio nel pensiero di Ernst Jünger - Julius Evola - Libro - Edizioni Mediterranee - Opere di Julius Evola | IBSEvola, a quel che ne sappiamo, non si incontrò mai dal vivo con Jünger, soprattutto a causa di un sempre maggior ritiro del secondo verso i lidi di quella “emigrazione interna” che caratterizzò i pensatori della cosiddetta “Rivoluzione Conservatrice” tedesca, malvisti dal Nazionalsocialismo prima, e a causa del successivo ostracismo culturale-politico della Germania de-nazificata poi. Mancò, dunque, l’occasione per un rapporto de visu, tuttavia, quell’incontro avvenne su di un piano più sottile e se oggi il pubblico italiano ha a disposizione la gran parte della produzione jungheriana in lingua italiana, per quanto la cultura ufficiale non lo ammetterà mai, lo si deve anche e soprattutto a Evola. In Italia fu Evola infatti – nell’ambito della sua mastodontica opera di networking, si direbbe oggi, fra le intelligenze europee non allineate – uno dei primi ad accorgersi di Jünger e dei suoi libri. I libri erano quelli dell’esperienza del fronte che tanto spazio ebbero nella prima produzione jungheriana e fu sempre Evola il più attento osservatore italiano alla successiva evoluzione del pensiero del tedesco verso i lidi dapprima dell’operaio e poi del ribelle e dell’anarca, ossia prima e dopo la Seconda Guerra Mondiale. 

Quello che il progetto RigenerAzione Evola ha voluto, appunto, realizzare con questa opera, è stato sintetizzare le tre principali e più proficue fasi di Ernst Jünger – il combattente/milite ignoto, l’operaio, l’anarca/ribelle – nell’analisi e nell’interpretazione fatte da Julius Evola. Sono le “anime” di Jünger che, nell’arco di un trentennio, si condensano principalmente intorno alla pubblicazione di tre volumi fondamentali: Nelle Tempeste d’acciaio (1920), L’Operaio (1932) e Il Trattato del Ribelle (1951). Opere che Evola fece in taluni casi conoscere per primo in Italia, occupandosi della traduzione di alcuni dei volumi di Jünger per il pubblico italiano o attivandosi per dare eco a queste opere. 

engramma - la tradizione classica nella memoria occidentale n.204

Dunque, il senso di questa antologia non è solo quella di fornire un’agile e completa analisi del pensiero di Ernst Jünger riletto, filtrato e rettificato dalla lettura di Julius Evola, e cioè emendandolo da tutti quegli elementi spuri e non perfettamente in linea con l’idea di Tradizione o non più attuali. Non è nemmeno un’operazione arbitraria quella che RigenerAzione Evola si è prefissa curando questo volume antologico, bensì l’esecuzione della volontà evoliana stessa che, rispetto al pensiero di Jünger, ha sempre affermato che in esso «le parti valide appaiono commiste con altre che per un lettore non capace di discriminazione possono pregiu- 158 dicarle», ritenendo pertanto necessario «per mettere in evidenza l’essenziale e il durevole» (2). 

In qualche modo, proprio in ragione della influenza che Evola recepì nel leggere, scoprire e diffondere il pensiero jungheriano, questa antologia ci restituisce elementi importanti del pensiero evoliano stesso. Diverse infatti sono le espressioni e le idee-forza che Evola riprende indirettamente da Jünger (che a sua volta si abbeverò da molteplici fonti) e che diverranno, grazie alla riproposizione di questi nelle sue opere successive, patrimonio culturale di quell’ambiente umano e politico che in Italia si sarebbe richiamato all’esperienza storica e ideale del Fascismo dopo il 1945. Concetti quali il “realismo eroico”, vivere la pace con un clima (interiore) da guerra, il concetto di élites posto su di un piano esistenziale e non solo economico-intellettuale, la differenza fra libertà da/per qualcosa, la dicotomia Ordine-Partito o la spesso citata formula del veleno che si trasforma in farmaco: sono concetti antichi che Jünger riprende ed entrano così anche nella rielaborazione evoliana. Li ritroviamo riproposti, infatti, nelle opere di Jünger, che Evola rilegge e decanta, facendone emergere il senso metafisico e tradizionale. Orizzonti, questi, in qualche modo presentiti ma non perfettamente colti da Jünger, condizionato dall’eccessiva influenza di Nietzsche e dalla mancanza di una “illuminazione”, di cui invece Evola poté beneficiare grazie ai rapporti intrattenuti con René Guénon. Ciononostante, Evola comprende la potenza rivoluzionaria di queste idee e le valorizza inserendole in un più vasto orizzonte che non tradiscono il senso originario ma sembrano completarlo ed elevarlo. 

È proprio per la potenza di questi concetti – attualissimi oggi più di ieri grazie alle capacità di Ernst Jünger di anticipare le evoluzioni (o involuzioni, che dir si voglia…) del contesto socio-economico, politico ed antropologico – che riproporli oggi in questo libro è un atto di militia e un utile strumento di formazione per uomini e donne che non si riconoscono nel cosiddetto mondo moderno. Innanzitutto, come insegna Jünger, occorre recuperare la possibilità di (ri)conoscersi attraverso le esperienze consentite dalla vita attuale, anche e soprattutto nel loro carattere elementare e totale, per farne una «intensa catarsi interiore, […] un risveglio dell’anima dalle costrizioni del sonnambulismo borghese», come rilevato da Maurizio Rossi nelle pagine che accompagnano questo volume. Jünger comprese questa possibilità confrontandosi, giovanissimo, con l’esperienza bellica ove il totale annichilimento di ogni valore, la spersonalizzazione dell’uomo divenuto soldato, il manifestarsi di uno spirito di corpo che negava ogni distinzione di classe o di censo, diveniva la premessa per la nascita d’un uomo nuovo, al tempo solo presentito ma non ancora codificato dal giovane Ernst. 

La teorizzazione più formale e completa di questo tanto arcaico quanto modernissimo tipo d’uomo fu completata da Jünger ne L’Operaio dove, al di là d’ogni significato di classe, tale figura diviene l’alfiere di una modernità che fagocita e sublima se stessa, dove si completa quell’invito alla “mobilitazione totale” che nel primo Jünger aveva ancora, e solo, il soldato in uniforme come unico termine di paragone. Il clima di guerra, con tutte le sue promanazioni, diventa lo scenario per un nuovo tipo d’umanità che, partendo dal dominio della tecnica, supera ogni dialettica materialistica, rinnega il dogma del progressismo e si riappropria del dominio politico, fondando nuovi valori e nuovi paradigmi, che sono però antichissimi e aristocratici al tempo stesso. 

Andando per sommi capi – e non potendo qui trattare della fase dell’emigrazione interna di Jünger e di tanti come lui, che coincide in buona sostanza con l’altrettanto interessante stagione del suo Sulle scogliere di marmo (1939) – Ernst Jünger approderà dopo il secondo conflitto mondiale alla fase del ribelle o dell’anarca, ricongiungendosi sotto certi aspetti proprio alla fase dell’operaio e delle scogliere ma, con delle differenze dovute alla trasformazione del suo pensiero e del suo impegno personale. Mentre Evola infatti proprio dopo il 1945 intensifica il suo ruolo di guida e di esempio verso il mondo politico post-fascista, Jünger completa il suo ritiro, chiudendosi nel romanzo e nell’esistenzialismo. È la fase a cui fanno via via riferimento gli articoli di Evola degli anni Cinquanta e successivi, contenuti in questa antologia. Un giudizio sempre più severo che culmina nell’implicita critica evoliana verso il cedimento di Jünger alla Modernità: quel veleno un tempo trasformato in farmaco, nell’età adulta rimase veleno e come tale agì su Jünger evidentemente. Evola dunque resterà legato più di tutti alle prime due fasi della produzione jungheriana ma anche a Sulle scogliere di marmo e non mancando di apprezzare la fase del ribelle. Più di tutte, anche quando questa si era ampiamente conclusa in Jünger, Evola rimase affascinato dalla visione dell’operaio, impegnato com’era a cercare di comprendere se, e come, la tecnica potesse essere dominata e servire, paradossalmente, a supportare una visione spirituale, una volta azzerati tutti gli pseudo-valori dell’epoca borghese. 

La realtà dei fatti, tuttavia, è che il lavoratore jungheriano «non ha avuto attuazione storica ed è impensabile che possa divenire la premessa di una superiore civiltà in un prossimo futuro», perché per «prospettare qualcosa di simile, infatti, è necessario che la sostanza umana sia radicalmente diversa, ovvero dotata di uno stile rettificato e formato». Pertanto «fintanto che l’uomo non si svincolerà dall’individualismo e dall’utilitarismo […] le intuizioni di Jünger resteranno tali senza alcuna possibilità di applicazione pratica» (3). 

Passaggio_al_bosco_Senza orientamenti spirituali certi permane il rischio dello sconfinamento nell’irrazionalismo e nel culto di una vita intesa solo in senso naturalistico e vitalistico. Nonostante alcuni limiti, le suggestioni e le idee formulate da Jünger mantengono inalterato il loro valore ed è evidente come possano costituire degli utili strumenti di rettificazione e formazione del carattere, alla base di ogni serio progetto di ricostruzione interiore ed esteriore: personale e comunitario. Jünger dà alcuni orientamenti esistenziali per un’epoca di dissoluzione, come quella attuale, e starà a noi rispondere a quella chiamata del dovere, oppure no. Hic et nunc, qui ed ora. 

Invitiamo il lettore a visitare il sito e l’opera di RigenerAzione Evola al seguente indirizzo web: www.rigenerazioneevola.it

Note:
1. Pur non essendo questa la sede per trattare bio e bibliograficamente dell’opera e del pensiero di Julius Evola (1898-1974), ci si consenta solo di dire che, insieme a René Guénon e pochi altri, Evola rappresenta non un filosofo, un artista o un pensatore originale ma, uno dei massimi esponenti del pensiero tradizionale, cioè della Tradizione.
2. J. Evola, Il Cammino del Cinabro, Vanni Scheiwiller, Milano, 1972, p. 195.
3. Comunità Militante Raido, L’Uomo della Tradizione: Stile e Ascesi, Raido, Roma, p. 96.

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