Europa, la terra dei Figli

Nov 19, 2023

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La guerra in Ucraina, la crisi della globalizzazione, l’immigrazione incontrollata, gli strascichi della pandemia e più in generale il ritorno della storia, hanno riportato la questione dell’Europa al centro del dibattito nell’area politica e culturale della “destra”. Dopo le fascinazioni vissute da quest’area nel XX secolo (sia prima che dopo la Seconda Guerra Mondiale), questo tema dell’Europa andò scemando con la fine della Guerra Fredda. Questo dietrofront ha permesso che tale tematica diventasse uno dei cavalli di battaglia della c.d. sinistra progressista e delle élite economico finanziarie.

In una situazione del tutto inedita, nella quale – a seguito della crisi economica del 2008 e per tutti gli anni ‘10 – la destra, un tempo ambasciatrice di numerose istanze di integrazione europea, è scivolata lentamente verso la trappola di un “piccolo” sovranismo qualunquista ed inconcludente. La situazione è però parzialmente cambiata a partire dal turbolento biennio del 2020-21, in cui sempre più persone vicine alla nostra area politica presero coscienza della necessità di affrontare le grandi sfide della nostra epoca in un’ottica non più nazionale ma continentale. Ma come siamo arrivati a ciò? Cosa ha messo in discussione l’idea d’Europa nel tardo ‘900? Quali fattori ci spingono invece verso l’imperativo di pensarci sempre più come civiltà e non come stato-nazione?

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A monte del problema vi è la questione dell’Occidente. Questo termine, per decenni se non per secoli, è stato pressoché universalmente riconosciuto come sinonimo di Europa in termini di civiltà. Tale situazione è diventata però sempre più problematica a partire dalla fine del secondo conflitto mondiale, quando prese il via una (forse volutamente) nebbiosa trasfigurazione del significato di questa parola, che divenne sempre meno legata alla storia, alla cultura, alle radici ed alle tradizioni della Civiltà europea e sempre più sinonimo di afferenza al modello politico-economico americano. Un modello -basato sul trittico diritti umani, capitalismo e liberal-democrazia che – sebbene di origine europea – sicuramente non ne simboleggia un’adeguata rappresentazione. Una situazione che ha reso per tempo il termine “Europa” – ormai associato a quello distorto di Occidente – poco digeribile a chi si ritiene erede di una tradizione affine a quella nazional-rivoluzionaria del Novecento, con il rischio concreto però di buttare via il bambino con l’acqua sporca. A complicare ulteriormente la situazione vi è inoltre la spinosa questione dell’Unione Europea. Se da un lato è vero che essa rappresenta senza ombra di dubbio il più durevole esperimento di un sistema stabile di cooperazione continentale, è altrettanto vero che la stessa al giorno rappresenti un insieme di istituzioni dove il globalismo e l’ideologia woke dominano in maniera pressoché incontrastata.

A questo progetto europeo – però – sono quasi totalmente mancati elementi fondamentali come una dimensione simbolica e una costruzione culturale capace di consolidare un senso di appartenenza europeo. Ciò è avvenuto in quanto le attuali élite europee non hanno mai pensato all’Unione come ad uno strumento atto alla formazione di un superstato che organizzasse politicamente la nostra civiltà, ma come all’avanguardia di un mondo a-storico e globalizzato dove imporre una weltanschauung globalista e post-identitaria. Questa situazione ha però confuso molti patrioti ed identitari, che hanno colpevolmente scambiato le istituzioni dell’Unione Europea con l’Europa intesa nella sua accezione di Civiltà millenaria. Provocando un’autocastrazione della dimensione mitica e simbolica intrinseca ad una visione identitaria filo-europea ed andando – con un evidente bias cognitivo – a pensare all’Europa non a come vorrebbero loro forgiarla, ma secondo i dettami delle cricche apolidi che governano i nostri stati.

La situazione di oggi – però – si fa sempre più calda e preoccupante: di fronte agli immensi pericoli (ed alle grandi sfide) che la Storia pone alla nostra patria europea, occorre dare vita ad una nietzschiana “Grande Politica” che permetta una rigenerazione della nostra civiltà, e la ri-proietti nella Storia. Nell’epoca dei grandi spazi, e degli stati-civiltà, non sarà certamente un ritorno ad un piccolo nazionalismo ottocentesco a permettere agli europei di tornare protagonisti dell’avvenire.

Come scritto nel mio saggio “Le Sfide dell’Europa”:

“Come potrebbe l’Italia – da sola – immaginare di allentare la stretta americana che da decenni condiziona la nostra politica? Come potrebbe la Francia – da sola pensare di difendere i propri interessi nel continente africano contro il gigante cinese? Come potrebbe la Germania – da sola – provare a costruire un blocco in grado di competere con l’ascesa dell’India e degli altri Stati emergenti del Sud-Est asiatico? Come potrebbe una singola Nazione come la Spagna cercare di resistere all’avanzata delle masse caotiche del Sud del mondo, risvegliatesi con la crescita economica e scosse da terrorismo, desertificazione e tensioni sociali? Come potrebbe pensare la Grecia – da sola – di resistere alla crescita geopolitica della Turchia, se questa dovesse porsi alla guida di un mondo islamico che conta masse sterminate di fedeli? Questo momento storico non permette fughe in avanti: per sopravvivere, occorre fare quadrato. Se la “guerra civile europea” dello scorso secolo ci ha privati della nostra centralità – sotto i colpi del materialismo marxista e del capitalismo industriale –  che cosa potrebbe accadere nel tempo delle tempeste globali e del cyberspace?

Nuove sfide ci attendono, tra vecchie e nuove linee di faglia. La necessità, ora, è quella di creare nuove sinergie tra i patrioti di tutte le Nazioni europee: per riaffermare un’immagine del mondo che sia il frutto del nostro sguardo e dei nostri orizzonti. Contaminare il dibattito pubblico, combattere il pensiero unico, penetrare le istituzioni, educare i giovani, essere Comunità: i sovranisti del Vecchio Continente, da nord a sud, devono ritrovare un denominatore comune e una battaglia condivisa, compattandosi attorno a quell’Idea che per millenni ha dominato il mondo. Risvegliare gli europei dal letargo, mettendoli in contatto con il vasto patrimonio culturale che caratterizza la nostra storia: lavorare dal basso per rompere l’egemonia politica globalista, ripartendo dai territori, dalle tradizioni, dai costumi, dalle fiabe, dalle piccole e grandi eccellenze.

Edificare una nuova classe dirigente: versatile, preparata, concreta, determinata, caparbia e innamorata della propria identità. Anzitutto, però, occorre riscoprire – noi per primi – che cosa rappresenti davvero la nostra Europa. Per noi, l’Europa è la realizzazione della nostra Civiltà plurimillenaria, non il primo passo per un grigio governo mondiale. L’Europa, per noi, non è un’istituzione egualitaria e multiculturale per la creazione di un grande melting pot multirazziale, ma la fonte ancestrale della nostra identità: uno spazio politico, storico e culturale da riscoprire e valorizzare per il nostro futuro.

L’Europa, per noi, non è l’abolizione dei confini e la cancellazione del roaming dati, ma una Fortezza da difendere con le unghie e con i denti, nella libera affermazione di una precisa Idea di Impero. L’Europa, per noi, non è la costruzione a-storica nata a Yalta, ma un’eredità plurimillenaria costruita dal Genio e dal sangue dei nostri Padri. L’Europa, per noi, è la terra degli europei, non di chiunque cerchi di appropriarsi del nostro welfare e del nostro stato di diritto. L’Europa, per noi, è la mitologia greca, l’eredità di Roma, l’immaginario germanico, il Medioevo della cultura cavalleresca ed il cristianesimo delle Crociate, non la decadenza della società dei consumi e della globalizzazione. La nostra Europa non è la società dello spettacolo e il laboratorio del capitalismo della sorveglianza, ma la Patria della libertà: non nella sua accezione anarchica, ma nell’esempio delle polis greche, della Roma repubblicana, dei liberi comuni e del risveglio dei popoli del Novecento. L’Europa, per noi, è la Terra dei nostri Padri: una terra da proteggere e ricostruire, per far sì che essa – un giorno – possa essere la terra dei nostri figli e dei nostri nipoti, che a loro volta la difenderanno per far sì che la lunga memoria degli europei possa perpetuarsi ai nostri discendenti nei secoli a venire.

Dominique Venner: “Per esistere e per trasmettere” | CulturaIdentità

Ovviamente, per costruire le fondamenta mitiche di un progetto di così grande portata, non saranno sufficienti le fragili teorie ideologiche che animano oggi la maggior parte delle dottrine politiche dei vari partiti europei. L’unica via percorribile per permettere una nuova rinascita dell’Europa sarà quella di accettare la nostra storia e l’eredità, riallacciando quel filo della lunga memoria che ci unisce come europei fin dai tempi dell’Ellade. Come ci ricorda Dominique Venner nel suo testamento spirituale: “abbiamo in condivisione, fin da Omero, una nostra propria memoria, deposito di tutti i valori sui quali rifondare la nostra futura rinascita in rottura con la metafisica dell’illimitato, sorgente nefasta di tutte le derive moderne”. Riscoprire il nostro passato e la nostra identità, per forgiare ancora una volta il nostro futuro.

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