Il Medioevo non cessa mai di stupirci. Possiamo imparare molto sulle sue magnifiche chiese e sulle sue architetture verticali, sul rigorismo morale; il senso religioso cattolico comune all’Europa intera, l’onore dei suoi cavalieri, santi ed eroi: tuttavia, l’amor cortese e l’unità cristiana-europea non devono apparirci come un nuovo paradiso terrestre, dove la condizione umana è incapace di emozioni e sregolatezze. Al contrario, l’intento di questo breve articolo è proprio quello di mettere in luce l’allegria sregolata e il cameratismo goliardico che ha espresso la grande epoca medievale.
Del resto, in un tempo segnato dalle comunità dei villaggi, i legami tra uomini e donne non potevano che manifestarsi in vere e proprie feste e danze attorno al fuoco. Le locande erano sempre ricolme di giovani e adulti pronti a far di ogni piccola gioia una festa. “Pane, vino e allegria” erano le parole d’ordine delle osterie, dove venivano cantate canzoni e canti popolari come il celebre “Oh Fortuna, velut Luna”, stranamente ed erroneamente confuso – nella contemporaneità – per un canto religioso, ma in verità coniato per essere una melodia da locanda.
Non era un caso, a dispetto di quanto si possa immaginare, che goliardia e religione si fondessero: la massima effervescenza di allegria si rintraccia in quelle corporazioni cittadine formate da studenti e insegnanti. Si tratta, evidentemente, delle Università. Massima espressione dello sviluppo urbano, in esse compariva la formazione sapienziale unita alla goliardia giovanile, che non raramente poteva essere scambiata con una forma di eterodossia.
Il Medioevo – occorre dirlo senza indugi – fu un’epoca giovane, allegra e goliardica, tutto il contrario di ciò che ci dicono i “professori” di questo secolo. Il senso e il bisogno quasi atavico di partire, magari giovanissimi, per terre lontane ed inesplorate, è assolutamente sorprendente: che fosse per un pellegrinaggio, una conquista (se cavalieri), un affare commerciale (si intraprendevano questi viaggi a partire dall’età di 14 anni) o una colonizzazione di terre – in tal senso – è indifferente. Nel Medioevo si partiva, senza stare a rimuginarci troppo: è incredibile – se ci pensiamo – che si viaggiasse così tanto. Eppure, lo si faceva: una dimostrazione ulteriore, se vogliamo, di un’apertura mentale e di una voglia di avventura che manifestano l’effervescenza di un periodo troppo spesso liquidato come “chiuso” e “timoroso” delle novità. I frequenti addii dei viaggi, nondimeno, hanno caratterizzato la letteratura dei cavalieri erranti, linfa vitale di una visione della vita dinamica, ricolma di eventi ed emozioni imperdibili, tanto che: “A colui che in gioventù si contenta dei paesaggi familiari e non prova il bisogno di scoprire altri orizzonti dichiara senza mezzi Philippe de Beaumanoir”.
Il Medioevo ci ha lasciato in eredità anche l’allegrezza delle partenze. Non è un’epoca di apparenze, ma di forti legami che oggi definiremmo camerateschi: Filippo Augusto si siede sotto un albero a mangiare pane inzuppato nel vino coi suoi cavalieri, prima di Bouvines; gli stessi crociati, uniti dall’onore e dalla Fede, si confederano per un terzo elemento, la conquista della Città Santa. La religione permea la vita e la vita la religione; i legami festosi dei villaggi, delle chiese e dei cavalieri in battaglia – non a caso – esprimono l’ottimismo, goliardico o escatologico, di questa epoca.
Ancora oggi si è conservata, soprattutto in ambito militare, l’usanza di dare un nome alle cose inanimate. Nel Medioevo questa pratica era rafforzata dai romanzi cavallereschi, ma rimase viva per tutta l’epoca: come scordare i nomi che venivano date alle spade dai cavalieri più valorosi? La Durlindana – che fu la spada di Orlando, paladino di Carlo Magno – fa da esempio a questa usanza. Le bombarde degli eserciti, i cannoni dei re e le campane dei villaggi avevano sempre un nome. Del resto, gli squadristi non sono stati da meno: la gioia del combattimento e il disprezzo della morte, uniti dal vincolo goliardico e cameratesco, hanno prodotto i battesimi delle armi e i soprannomi dei camerati: “(…) in coda l’ultima mitraglia che battezzammo amorosamente col nome di Gaetana”.
Dunque, il Medioevo non è un’epoca buia e triste dove la religione opprime il bisogno di allegrezza delle persone; al contrario, potremmo definire l’età medievale come l’espressione di un “diritto alla goliardia” strisciante, ma tutt’altro che nascosto. In ciò, ci viene ancora in aiuto Régine Pernaud, che nei suoi studi ha mostrato come il Medioevo fosse in realtà una Civiltà fortemente ottimista, allegra, forte e spensierata, che osiamo definire Civiltà Contra Tristitia. Un’epoca nella quale, insomma, si definisce la malinconia come l’ottavo peccato capitale, quasi come se i malinconici potessero sovvertire un ordine di Civiltà fondato anche sull’allegrezza degli uomini che la compongono.
Lo stesso Drieu la Rochelle, su questo argomento, riconosce i meriti di un cristianesimo che tanto ha contribuito a formare una Civiltà, un’Europa che nel millennio medievale ha avuto una delle sue più grandi e genuine espressioni di unità: “Non a dispetto del cristianesimo, ma per mezzo del cristianesimo si rivela pienamente ed apertamente la gioia di vivere, di avere un corpo, un’anima in questo corpo… insomma la gioia di essere”.
Interessante, inoltre, come questo “diritto alla goliardia” sia stato espresso e scaturito, in special maniera, dalla religione, dalla Chiesa Cattolica che ha permeato il millennio medievale in modo così profondo da modificarne anche gli aspetti più terreni, corporali e carnali:
“Alla base della concezione del mondo nel Medioevo si scopre semmai un solido ottimismo. A torto o a ragione si parte allora dal principio che il mondo è fatto bene, che se il peccato perde l’uomo, la Redenzione lo salva e che niente, prova o gioia, succede che non sia per il suo bene e da cui egli non possa trarre insegnamento e profitto (…) Davanti a simili testi, e senza nemmeno pensare alla gigantesca balordia di cui erano occasione le feste religiose, vien da pensare che se vi fu nella storia del mondo un’epoca di gioia, questa fu il Medioevo” .