Una scarica di fucileria, un tonfo sordo e un corpo a terra. Una variazione sul tema moderata, rispetto alle ben più sanguinose e truculente esecuzioni che la politica in Africa adopera per il passaggio di consegna dei poteri.
Elizabethville, ora Lubumbashi, Congo, 1961. In quel giorno di gennaio viene ucciso Patrice Lumumba, abile oratore e politico congolese che aveva guidato l’immenso paese centroafricano verso l’indipendenza, vincendo le prime libere elezioni. Il Congo era stato un esempio, all’apparenza virtuoso, di come il processo di decolonizzazione poteva essere gestito senza spargimenti di sangue. Mentre Francia e Inghilterra, imperi ormai stanchi e provati dall’immenso sforzo della Seconda guerra mondiale, erano impegnati in sanguinosi conflitti in varie parti del globo; il Belgio aveva scelto, più per opportunismo politico che per bontà umanitaria, di concedere rapidamente l’indipendenza al Congo. D’altronde, la compattezza con cui i leader indipendentisti congolesi si erano presentati alla prima conferenza di Bruxelles aveva stupito un po’ tutti, forse anche i congolesi stessi. I leader africani, però, disertarono l’altrettanto importante seconda conferenza di Bruxelles, quella in cui si decisero gli aspetti sostanziali dell’indipendenza appena ottenuta. Ad esempio, fu decisa la possibilità per le società congolesi di avvalersi del diritto dell’ex madrepatria e non di quello del nuovo stato e fu fondata una società a guida belga che raccogliesse le azioni delle società di estrazione mineraria che prima era statalizzata, in questo modo il Congo perse il controllo di quella che era la sua più importante risorsa economica, cioè l’industria mineraria.
Le premesse della successiva implosione del nuovo stato africano erano insite nella struttura stessa che si era voluto dare. Un eccessivo centralismo in un paese estremamente eterogeneo, sia dal punto di vista etnico sia dal punto di vista linguistico, comportò fin dall’inizio l’insoddisfazione di numerose tribù che dichiararono a loro volta l’indipendenza dallo stato centrale.
La più potente tra le province ribelli era il Katanga, dove si trovavano le industrie estrattive e nelle cui città abitavano la maggior parte dei coloni europei, per nulla contenti della nuova indipendenza ottenuta. La provincia separatista, guidata dal carismatico leader Tshombe, si risolse fin da subito a difendere i propri interessi ingaggiando dei mercenari europei e sudafricani, riorganizzando la propria forza di polizia in un esercito. Con sostanziosi aiuti belgi e francesi (che facevano a gara per accaparrarsi il favore di Tshombe) il piccolo esercito katanghese guidato dai mercenari europei si dimostrò estremamente efficace nel respingere il tentativo dell’ANC (l’esercito nazionale congolese) di riconquistare con la forza la provincia ribelle. La Gendarmeria katanghese fu riorganizzata proprio dal personale militare belga con l’ausilio di mercenari bianchi. In Katanga giunse il colonnello Roger Trinquer, abilissimo ufficiale francese che si era formato prima durante la Seconda guerra mondiale nella resistenza francese, poi nelle guerre non convenzionali di Indocina e Algeria, dove aveva potuto perfezionare la sua dottrina della counterinsurgency che è tutt’ora alla base della dottrina NATO per le guerre asimmetriche. Tuttavia, la permanenza di Trinquer al servizio di Tshombe durò poco, a seguito di uno scandalo scoppiato a Parigi, l’affaire Trinquer, il governo francese fu costretto a farlo tornare in patria. La fuga di notizie fu forse una mossa dei servizi belgi per evitare che la Francia li soppiantasse nella gestione militare del Katanga. In ogni caso, gli altri ufficiali francesi al seguito del colonnello rimasero nella regione separatista. In particolare emergono due nomi piuttosto celebri: Bob Denard e Roger Faulques. Il primo è senza dubbio il mercenario più famoso del XX secolo, il corsaro della Republique, l’uomo dei colpi di stato in giro per il mondo; mentre il secondo è stato uno dei migliori comandanti francesi, soprannominato l’uomo dalle mille vite per essere sopravvissuto a ferite così gravi che i Vietminh in Indocina non si preoccuparono di catturarlo, considerandolo ormai spacciato.
Finché i mercenari e la Gendarmeria katanghese tennero testa al disorganizzato esercito nazionale congolese, nessuno si stupì più di tanto. Ma quando questa piccola forza riuscì a sostenere l’urto di tutto l’apparato militare delle Nazioni Unite le cose assunsero le caratteristiche di un’epica che vale la pena raccontare. L’intervento dell’ONU fu richiesto espressamente dal governo centrale congolese, con l’importante appoggio statunitense, che finanziò gran parte delle successive missioni in Katanga.
La fiera resistenza delle truppe katanghesi e dei mercenari bianchi fu piegata al termine di tre operazioni militari che si susseguirono nei due anni di ribellione armata. Il più importante rovescio delle truppe internazionali, l’assedio di Jadotville, si rivelò il culmine di una serie di errori di sottovalutazione da parte dei comandi militari dell’ONU e della grande abilità di manovra sul campo delle truppe katanghesi. Il costo di queste operazioni fu talmente elevato da inficiare per anni la politica internazionale delle Nazioni Unite che per almeno un decennio non si avventureranno più in operazioni sul terreno di tale portata. Negli scontri in Katanga troverà la morte anche il Segretario Generale dell’ONU, Hammarskjold, il cui aereo fu abbattuto in circostanze mai chiarite sui cieli africani.
Il conflitto in Congo ebbe un’ampia risonanza sui media occidentali soprattutto perché per la prima volta nel XX secolo tornarono all’onore delle cronache le truppe mercenarie. I mercenari si prestavano bene ad essere i protagonisti delle storie più feroci e avventurose. Come scrive lo storico Mockler
«La stampa popolare da parte sua scoprì che erano [i mercenari] irresistibilmente fotogenici: più le fotografie erano grandi e piene di colori e più emozionante diveniva il testo che le accompagnava. Ci fu un periodo in cui era quasi impossibile aprire una rivista occidentale senza trovarci fotografie in technicolor su questo argomento».
Non fu solamente una fascinazione letteraria e giornalistica: l’importanza tattica di questi soldati di ventura rese necessario alle Nazioni Unite di deliberare ufficialmente la loro espulsione dal Congo, e tutt’ora la definizione di mercenario dell’ONU ricalca essenzialmente i tratti del soldato di ventura che operò in Congo all’inizio degli anni Sessanta. Per tutti i decenni successivi, quasi ogni conflitto africano vedrà la comparsa sul terreno di queste truppe prezzolate, spesso un misto tra veterani e avventurieri. Fino alla fine del secolo, quando la nascita delle Compagnie Militari Private sudafricane aprirà una nuova evoluzione del concetto di mercenario.