Conoscenza di sé e autenticità

Gen 8, 2024

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Mai come oggi, si parla della “conoscenza di se stessi”, di vivere il “momento presente”, dell’essere liberi senza indossare maschere. In antitesi, si vive perlopiù nella completa inautenticità, circondati da esseri in-umani incapaci di un qualsiasi pensiero o atto che abbia il sentore della libertà, sempre costantemente prigionieri dello spazio/tempo e così totalmente alieni all’esperienza dell’infinito momento Presente.

IL BUDDHISMO TIBETANO – Associazione Culturale Tibetana

La mia storia personale passa attraverso una ricerca esperienziale ed esistenziale delle filosofie e delle pratiche orientali. Ovviamente, rivolgersi all’oriente non è di per sé necessario, in quanto la spinta all’ascesi esiste anche nella molto più vicina cultura greca (Aksesis), ma “l’innamoramento per l’Oriente fa parte della mia “storia” e non ho alcun rimpianto. Anzi, è un piacere – oggi – riscoprire la Grecia e la mistica della cultura del nord Europea, anche con il bagaglio esperienziale dell’oriente giovanile. Da giovinastro, infatti, sono rimasto incantato dalla meditazione Zen, dalle contaminazioni che con essa ha avuto la Beat Generation e dalla pratica dello Yoga, per poi subire più tardi il fascino dalla filosofia Taoista, che rimane per me tutt’ora un incredibile richiamo che mi spinge a considerare tutto dal un punto di vista della natura e dei suoi squilibri perfettamente in equilibrio.

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Mi sento, ogni tanto, desideroso di segnare la distanza tra me ed il mondo dello Yoga “new age” moderno. Ma sono quei rari momenti in cui – in fondo – mi perdo, recriminando in modo ignorante su come le cose dovrebbero essere ma non sono. Poi mi riprendo, osservo con un minimo di distanza per constatare che in fondo – nella storia – è sempre andata così: quando una qualsiasi cosa (movimento religioso, filosofico, spirituale) diventa di massa, perde totalmente la sua autenticità. Non è colpa di nessuno: è un processo naturale di nascita, crescita, declino e morte. Gli esseri ancora umani devono amare il proprio tempo, anche se fosse per il semplice motivo che è tutto ciò che abbiamo.

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Nel tempo in cui lo Yoga, ed il mondo della filosofia Orientale in senso più generico, non era di moda ed era frequentato da persone  alla ricerca di mezzi che dessero loro la possibilità di comprendersi – o anche semplicemente di essere consapevoli di altre dimensioni del sé – si percepiva una maggiore autenticità. Nel momento in cui la massificazione si è appropriata di tutto questo, facendolo divenire moda buona parte di ciò che è autentico è svanito, quella mistica si è smarrita. Coloro che vivono nell’inautenticità o nell’inconsapevolezza, non importa in quale tempo e spazio, non possono capire che per conoscersi bisogna essere disponibili ad andare oltre se stessi. Che non è il mezzo che viene utilizzato, ma come questo mezzo è utilizzato: perché tutto – in fondo – si riduce all’intenzione, all’attitudine e alla qualità del soggetto che utilizza il mezzo.

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Gli in-umani credono di potersi conoscere attraverso la chiacchiera “spirituale” superficiale, attraverso la psicoanalisi, stiracchiandosi i glutei attraverso qualche posizione yogica, sedendosi con gli occhi chiusi o, peggio ancora, camminando e parlando lentamente (quelli poi che si salutano augurandosi buona vita sono quelli messi peggio). Costoro scambiano ombre proiettate della loro mente con la realtà, esattamente come gli abitanti della caverna platonica. Per conoscere se stessi, allora, non importa quale mezzo utilizzi: è necessario che tu sia pronto ad andare oltre te stesso e a farlo sistematicamente, come prassi abituale. Per andare oltre te stesso, devi andare oltre le tue possibilità, sperimentando – esperienzialmente, sia chiaro – come i limiti, spesso e volentieri, siano illusori prodotti dalla paura indotta. Devi essere pronto, insomma, a sperimentare dolore e sofferenza. Devi essere pronto a perderti e toccare il fondo, per poi risalire e ritrovarti identico a prima, eppure totalmente nuovo.

Praticamente, significa cose come: correre oltre i limiti, nuotare verso l’orizzonte senza il pensiero di dover tornare, affrontare una camminata in montagna andando avanti fino a quando non si è certi di poter tornare indietro, ripetere centinaia di volte di seguito lo stesso kata o la stessa sequenza di yoga, migliaia di volte lo stesso mantra oppure sacrificare tutte le proprie energie per sconfiggere un avversario molto più forte. Si tratta, in sostanza, di fare un viaggio attraverso i veicoli del dolore e della sofferenza. Solo oltre i confini della propria mente, in quello spazio mentale sospeso, quando si è senza alcun appiglio, è possibile osservarsi e finalmente conoscere un pezzo di sé.

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