Chi ha ucciso Achille Billi? Nuova luce sul primo martire missino

Ott 3, 2023

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La redazione di identitario.org diffonde con piacere questo articolo di Pietro Cappellari, che ringraziamo per la disponibilità, apparso su “L’Ultima Crociata”, a. LXXIII, n. 6, Settembre 2023 e dedicato ad Achille Billi, martire missino romano al quale Fabrizio Rinaldini ha dedicato un ottimo volume – edito da Passaggio al Bosco – dal titolo “Un suicidio (im)perfetto”, volto a fare luce su questo controverso fatto storico. 

Pochi conoscono la storia di Achille Billi, reduce della RSI durante la quale aveva difeso il confine orientale italiano nelle fila del I Battaglione Bersaglieri “Mussolini”, sopravvissuto ai campi di sterminio iugoslavi, attivista del MSI e della rinata Associazione Nazionale Arditi d’Italia, trovato agonizzante su una sponda del Tevere a Roma – altezza Via Costabella – nelle prime ore del 5 Aprile 1949. Morì poco dopo all’ospedale. Il colpo alla nuca gli era stato fatale. Subito scattarono le indagini per individuare il colpevole di questo evidente omicidio politico, ma in pochi giorni, il Questore neo-antifascista Saverio Polito liquidò il caso con la tesi di un “suicidio per megalomania congenita” e Billi scomparve dalle cronache, per sempre, nonostante le proteste dei famigliari e dei suoi camerati.

Il tempo ha poi portato via questa storia e nonostante che Achille fosse stato il primo Martire missino di Roma, di lui – e degli altri caduti di quegli anni – ci si dimenticò forse troppo presto. Del resto, i nuovi Martiri degli anni ’70, dopo un ventennio di relativa “calma”, accentrarono tutti i ricordi.

Achille Billi“Recuperammo” la memoria di Achille Billi durante una delle primissime manifestazioni promosse dal Comitato Pro Centenario 1918-1922. Nel Gennaio 2019, infatti, ricorrendo il Centenario di fondazione dell’Associazione fra gli Arditi d’Italia, una delegazione del Comitato si era recata al Cimitero Verano di Roma rendendo omaggio al fondatore del sodalizio Mario Carli e, per l’appunto, ad Achille Billi che, nel dopoguerra, fu un attivista della ricostituita Associazione (cfr. “L’Ultima Crociata”, a. LXIX, n. 2 Febbraio-Marzo 2019). Accompagnati da Ignazio Di Minica – decano del MSI, che fu presente ai funerali del 1949 e dopo settant’anni ritornava in quel luogo! – abbiamo sostato in raccolto silenzio davanti alla tomba di Billi, prima che il “Presente!” di rito squarciasse l’aria.

Il recupero di questa memoria perduta è diventata così un cavallo di battaglia del Comitato Pro Centenario 1918-1922. Fortunato è stato l’incontro con Fabrizio Rinaldini, autore, tra l’altro, di Vittorio Ferri, un “cuore nero a Pisa (Novantico, Pinerolo 2011), un pregevole saggio che ha avuto il merito di salvare il ricordo di un altro caduto dimenticato di quegli anni, Vittorio Ferri, linciato dai comunisti il 14 Luglio 1948. Rinaldini era da anni sulle “tracce” di Billi, ma aveva abbandonato la ricerca a causa delle enormi difficoltà nel recuperare documenti idonei a ricostruire la complicata vicenda. A questo punto abbiamo talmente pressato il povero Fabrizio che, dopo le nostre insistenze, ha deciso di riprendere il “viaggio”. Un “viaggio” che ha trovato la sua conclusione con la pubblicazione di Un suicidio (im)perfetto. La strana morte di Achille Billi (Passaggio al Bosco, Firenze 2023). Anche questo un libro straordinario che ha salvato la memoria – e, quindi, una vita – di un caduto dimenticato. Un saggio da leggere tutto di un fiato e che abbiamo letteralmente divorato in una giornata, tanta era la nostra contentezza, tanta era la nostra voglia di sapere.

Come abbiamo detto, Billi venne trovato agonizzante il 5 Aprile 1949 e, dopo alcuni giorni di indagini, il Questore Polito liquidò la faccenda costruendo un incredibile teorema secondo il quale il giovane fascista, psicologicamente tarato per via della guerra e della prigionia, avrebbe organizzato il suo suicido simulato un omicidio politico con il quale “passare alla storia” e divenire un “martire”. E lo avrebbe fatto sparandosi dietro la nuca (?) con una pistola, tenuta con la mano sinistra lui che mancino non era, nello stesso tempo imbavagliandosi la bocca con un fazzoletto tricolore. Ben pochi credettero a questa ricostruzione, ma tanto bastò che di Billi – che fino ad allora aveva attratto giornalisti di ogni provenienza – non si seppe più nulla, come se una mano invisibile fosse calata sulla vicenda della quale non si doveva più parlare.

Rinaldini, con rara abilità, ricostruisce questo scenario, anche se non può fare i nomi degli assassini, che rimangono sconosciuti. Tuttavia, degli indizi chiari emergono. E non dalle indagini della Polizia, dei Carabinieri o dei Sevizi segreti che con ogni probabilità si interessarono del caso, ma da un’inchiesta condotta da Enrico De Boccard e Franco Dragoni sulle colonne di “Attualità” nel 1954, all’indomani dell’archiviazione della faccenda da parte della Magistratura.

De Boccard e Dragoni – dei quali purtroppo è stato impossibile recuperare l’intera inchiesta – dipinsero un quadro agghiacciante all’interno del quale, probabilmente, era possibile inserire la morte di Achille Billi.

Tutto parte – e qui la storia si fa complicata – dal ritrovamento del famoso carteggio di Mussolini nelle mani di Enrico De Toma. Alcuni documenti, si presume quelli autentici del “pacchetto”, con alcune relazioni sulla morte di Mussolini, sembra fossero finiti nelle mani di Padre Placido Lugano dei Benedettini Olivetani, trovato morto a Roma il 4 Ottobre 1947: un gruppo di fascisti dell’Esercito Clandestino Anticomunista di Nino Buttazzoni che erano penetrati nell’abitazione del Sacerdote ne avevano provocato la morte per infarto, non avendo Padre Placido retto a quell’irruzione. I documenti prelevati sarebbero finiti nelle mani di un altro reduce della RSI, Ezio Toscano che li avrebbe trasferiti a Torino dove avrebbe dovuto incontrare tale “Dessi”, che richiama direttamente Giovanni Dessy, Agente del SIM e della rete di spionaggio statunitense attiva durante la RSI, la cosiddetta Rete Nemo, tra i protagonisti degli ultimi giorni della Repubblica in quel di Como. Non si sa poi cosa accadde: Toscano venne trovato morto – in circostanze misteriose – il 4 Gennaio 1949 nella sua abitazione nel capoluogo piemontese.

Il 17 Marzo seguente, in Via dei Glicini, nel quartiere Centocelle, a Roma, venne rapito dopo essere stato accoltellato un Croato, da qualche tempo ospite nella vicina Villa Santa Maria delle Rose delle Suore Vincenzine. Comprendiamo che il lettore non possa capire che cosa c’entri tutto questo con Billi. Ma la storia è complicata e, tenendo ben presente i tre fatti di sangue sopra elencati, cercheremo di illustrare cosa accadde in quei mesi. Veniamo all’ultimo evento citato. Il Croato scomparso era in realtà un personaggio importantissimo, si trattava di Drago Jilek, ex Vicecapo della Polizia ustascia e sostituto Segretario politico del partito di Pavelic per la Bosnia e l’Erzegovina, rifugiatosi in Italia – insieme a centinaia di camerati – dopo la fine della guerra e a capo di un’attiva organizzazione clandestina ustascia. Era ricercato dalla Polizia politica di Tito che, ben a conoscenza dell’ospitalità che gli ustascia avevano in Italia, in specie in convitti religiosi, aveva sguinzagliato i suoi sicari sulle loro tracce: secondo alcuni giornalisti, era il sessantesimo Slavo rapito o soppresso in Italia dai titini. Di Jilek, accoltellato e portavo via su un’auto emblematicamente targata Corpo Diplomatico, non si seppe più nulla. Scomparso per sempre. Forse portato in Iugoslavia, processato e condannato a morte.

E Billi? Ebbene, Achille – che si muoveva ovviamente in quell’ambiente – conosceva sia Enrico De Toma, sia Ezio Toscano, sia Drago Jilek. Probabilmente, secondo quanto cercarono di ricostruire De Boccard e Dragoni, Billi venne contattato da un Ufficiale della SS ricercato come “criminale di guerra”, il Cap. Hans Heenes von Schenck, che asseriva di essere in possesso di importanti documenti appartenenti a Mussolini. Avrebbe ceduto il “pacchetto” in cambio di un passaporto falso per l’espatrio. Documento che Billi avrebbe potuto chiedere proprio a Jilek, conoscendo la sua attività. E così fece, entrando però nel doppio giro pericoloso, dove si moriva: quello dei documenti di Mussolini e quello dell’epurazione della Polizia politica titina.

Non a caso – anche se si tratta di un debolissimo indizio – Jilek fu rapito da un individuo con un impermeabile chiaro, lo stesso vestito che aveva l’uomo che il 4 Aprile 1949 cercò Billi nella sede romana dell’ANAI e fu visto discutere animatamente con lui la sera della sua scomparsa. Achille Billi entrò in un questo ingranaggio di morte e fu fatto tacere. Per sempre. Ultima annotazione per questa storia che meriterebbe davvero di finire in TV nelle famose trasmissioni che si occupano di cronaca nera (ci proveremo!), la “singolare fine” del Cap. Schenck, trovato morto a Roma il 31 Gennaio 1954. Anche lui nel Tevere? Un omonimo? Scompariva così l’ultimo personaggio che forse avrebbe potuto dirci qualcosa sull’assassinio di Achille Billi?

Così finisce questa storia ed altro non può essere certamente detto, almeno fino a quando dagli archivi dei nostri Servizi di informazione non usciranno documenti idonei a fare chiarezza su quello che avvenne in quel 1949 in Italia. Forse esistono, forse sono stati distrutti, forse non sono mai esistiti… chissà. A noi spetta il ricordo di Achille Billi e non è detto che in un tempo non lontano anche lui possa avere un luogo della memoria, magari proprio su quella sponda del Tevere dove nelle prime ore di quel lontano 5 Aprile 1949 venne trovato agonizzante, colpito da mano nemica.

PER APPROFONDIRE:
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