Barbie: i dolori di un rosa posticcio

Ago 29, 2023

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Una recensione politicamente scorretta, realizzata dal CineCrew di Casaggì Firenze, che affronta uno dei film più discussi del momento, prodotto del pensiero woke e della deriva progressista in atto. 

L’egemonia culturale può essere un’arma a doppio taglio, soprattutto se a gestirla non si hanno più intellettuali veri, ma fanatici true believer, incapaci di soppesare la eco delle proprie azioni. “Barbie”, della pur talentuosa Greta Gerwig, rientra appunto in questo spettro.

Il film, coloratissimo omaggio alla celeberrima bambola Mattel, si manifesta esattamente come il sogno del femminismo più becero, misandrico e delirante. Tuttavia, proprio il fervore della sua esaltazione lo a cadere fragorosamente, restituendo uno dei boomerang più clamorosi per l’ideologia woke. Barbieland è – infatti – un universo di donne sole, erratiche, entropiche, de-responsabilizzate e de-eroticizzate, perennemente pervase da un entusiasmo finto, vittimistico e isterico; un universo di Ken, di maschi non più uomini, padri di nessuno, umiliati, ignorati e trattati alla stregua di buffi animali da compagnia da calpestare a piacimento. La collisione di Barbieland col mondo reale – però – finisce per rovesciare in faccia allo spettatore ancora critico un ritratto impietoso, memorabile e inavvertito delle laceranti contraddizioni dell’oggi.

“Barbie”, quindi, voleva decantare, ma tradisce; osannare, ma auto-affonda. Un assist che certo può e deve essere sfruttato. Tuttavia, una visione propositiva non si limita ad attendere, ma costruisce, passa all’attacco e vince. La postmodernità è debole, anche se si crede intoccabile: la si colpisca, dunque, là nella Cultura, là dove mai potrebbe immaginarsi.

Barbie, il film inaspettato di cui avevamo bisogno - ilGiornale.it