Atena, custode del limite: discriminare o scomparire

Ott 6, 2023

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Fonte: Eléments, giugno/luglio 2019

Traduciamo, con piacere, questo breve pezzo uscito su Elément dalla bella penna di François Bousquet. Affronta un tema importante, raccolto in un saggio altrettanto importante: “Atena, custode del limite”, scritto Thibault Mercier per l’Institut Iliade e pubblicato in Italia da Passaggio al Bosco Edizioni.  

La discriminazione, ci vergogniamo di ricordarlo, è originariamente, e letteralmente, l’azione di distinguere”, ha detto Philippe Muray. Altrimenti, non c’è alcuna differenziazione tra me e gli altri. In altre parole, discriminare significa esistere. Thibault Mercier, revisore dei conti dell’Istituto Iliade, afferma la stessa cosa in un breve saggio che dovrebbe essere letto da tutti.

Discriminare o scomparire, questo è il problema. Si sovrappone a quella che torturava Amleto nel suo famoso monologo. Essere o non essere, essere o scomparire nel grande insieme solubile e indifferenziato delle società aperte? È questo il dilemma che Thibault Mercier, giovane avvocato e cofondatore del Cercle Droit & Liberté, cerca di sciogliere, dopo un’attenta analisi, in “Athena à la borne”, un titolo enigmatico.

Questa Atena è un bassorilievo della divinità risalente a 2.500 anni fa, conservato nel Museo dell’Acropoli. Ieratica, elmata, tradizionalmente armata con la sua lancia piantata nel suolo della patria, la protettrice della città fissa un confine. Ha incuriosito Heidegger, che l’ha vista come una rappresentazione del campo chiuso – delimitato – dell’identità. Il limite, diceva in sostanza, è quello per cui qualcosa si raccoglie in ciò che ha di proprio, in ciò che ha di singolare, in ciò che fonda la sua specificità. In una parola, stabilisce un confine. Come fa a farlo? Da dis-cri-mi-nant – dal latino discriminare, formato dalla radice crimen, punto di separazione tra lo stesso e l’altro. Discriminare è quindi scegliere, separare, distinguere; è anche delimitare un interno e un esterno, loro e noi. “Non appena si sceglie qualcosa, si rifiuta il resto“, ammoniva Chesterton.

Il diritto come “lex-shop

Eppure il nostro mondo si rifiuta con tutte le sue forze di discriminare. Ha persino eretto una frontiera contro le frontiere, quello che l’autore chiama il “feticismo della non discriminazione”, nel processo di scrittura dell’epistola di Paolo ai Galati (che non chiedeva molto) nel marmo della legge. Non c’è più ebreo o greco, maschio o femmina, grasso o magro, non c’è altro che lo stesso in tutte le latitudini. Tutti uguali! Una sorta di comunismo primitivo e di monismo radicale in cui l’uomo è costretto a uscire da se stesso ed è definito solo da ciò che non è – la sua astratta universalità.

Questo principio di non discriminazione ha una lunga storia, la cui genealogia è illustrata da Thibault Mercier con una serie di esempi, o meglio di controesempi. Se davvero deriva dal principio di uguaglianza, è per isterilirlo. Infatti, c’è molta strada da fare per passare dal principio (classico) di equità al principio (moderno) di uguaglianza, e da quest’ultimo al principio (postmoderno) di non discriminazione. Vale la pena ricordare che gli antichi non consideravano il principio di uguaglianza nella sua interezza: essi qualificavano l’uguaglianza del numero con l’uguaglianza del merito, dando la parte uguale solo a chi è uguale, non a chi è diverso, in base alla competenza o al merito (Aristotele). L’uguaglianza degli antichi era proporzionale, la nostra incondizionata.

Ovunque si promuove la differenza, ma le condizioni di possibilità vengono rifiutate con il pretesto che sono discriminatorie. La retorica incantatoria della diversità inganna solo chi la usa, fa il letto di una società indifferenziata. La differenza è inconciliabile con l’ideologia del melange. Eppure è quello che viene preso di mira. Tutto è in tutto e tutto è nel nulla. Quello che Édouard Glissant, il papa della creolizzazione, chiama nel suo sabir il “caos-mondo”, un mondo liquido, magmatico, centrifugo, con identità personalizzabili e sostituibili, governato dal principio di instabilità. Tutti sono liberi di scaricarli dai cataloghi di identità alla moda.

Covid-19 : "L'enfer est pavé de bonnes intentions hygiénistes" - Causeur

Perché non c’è niente e non c’è qualcosa? La nostra epoca ha da tempo ribaltato la famosa affermazione di Leibniz. È da questa tabula rasa che si è sviluppato l’individualismo contemporaneo, incurante delle filiazioni. I diritti soggettivi hanno così prevalso sulla comunità disaffiliata. A ciascuno la sua verità (già post-verità), a ciascuno il suo diritto, come ha meravigliosamente sintetizzato la giurista Anne-Marie Le Pourhiet: il diritto come un “lex-shop” self-service dove ciascuno può mettere insieme un’identità a suo piacimento. Guai a chi lo contesta. Dovranno risponderne davanti ai tribunali, stavamo per dire ai tribunali ecclesiastici, ma i tribunali ecclesiastici giudicano la responsabilità solo davanti alla Chiesa, non davanti a Dio. Come ha notato Philippe Nemo, l’attuale legislatore ha fatto sì che la legge sia rimasta indietro rispetto ad Abelardo. È infatti ad Abelardo, compagno di Eloisa, che dobbiamo la distinzione tra crimine e peccato, quest’ultimo di esclusiva responsabilità di Dio. Questo accadeva nel XII secolo.

Mentre per noi il peccato è la base giuridica del crimine; e il primo dei peccati in una società inclusiva è la discriminazione. La società inclusiva è come l’acqua miracolosa di Lourdes: dovrebbe far scomparire la discriminazione dopo averla immersa nell’acqua santa della diversità. Di fronte a ciò, Thibault Mercier chiede un diritto all’identità dei popoli, una concezione olistica del diritto e non più individualistica. In breve, discriminare per non scomparire.

Athéna racisée - L'Incorrect