“Eleva ogni giorno il tuo grazie al Signore per la Patria in cui hai avuto la sorte di nascere, per le prove individuali e collettive che ci sono imposte, per quel tanto di sacrificio che in particolare si richiede da te. Ringrazialo del sole che ti illumina, del pane che ti nutre, degli affetti che ti sono concessi. Ringrazialo ora e sempre della Fede italiana di cui è ricco il tuo cuore e pregalo che questa Fede accresca e fortifichi e premi con la redenzione e la salvezza della Patria per la quale tu devi saper vivere e devi essere pronta, se necessario, anche a morire”.
È così che termina il decalogo delle Ausiliarie: con la fede. Un valore trasmesso dal punto 10, che trovò perfetta attuazione nella condotta di Angela Maria Tam, un’insegnante di Sondrio e terziaria francescana.
Una fede disarmante, la sua, che la accompagnò fino alla morte, avvenuta per fucilazione.
Un’esecuzione che, come spesso accadeva, fu il frutto di un processo sommario e venne preceduta dallo stupro dei partigiani, che condannarono la donna il 6 maggio 1945. Un macabro episodio, riportato a pag. 74 de “Il sangue dei vinti” di Gianpaolo Pensa, che ripercorre gli ultimi attimi di vita dell’Ausiliaria.
“Il 4 maggio, i partigiani si presentarono alla ex Casa del fascio di Sondrio, utilizzata come luogo di concentramento dei prigionieri. Vi prelevarono 8 fascisti, 6 ufficiali e 2 civili, li condussero ad Ardenno, li obbligarono a scavarsi la fossa e li uccisero. Il 6 maggio altri 13 prigionieri a Sondrio furono condotti a Buglio in Monte e giustiziati. Erano quasi tutti ufficiali o esponenti locali del fascismo. Tra questi il federale Parmeggiani, il suo vice Mario Zoppis, altri dirigenti della federazione, il direttore del “Popolo valtellinese”, Gustavo Poletti, il comandante della 3^ Legione confinaria della Gnr e una donna, un’insegnante, che pare fosse un’Ausiliaria. Si chiamava Angela Maria Tam ed era terziaria francescana. Prima di essere giustiziata consegnò a un sacerdote una lettera in cui perdonava i suoi assassini”:
Una missiva in cui emerge, a chiare lettere, l’amor di Patria della donna, accompagnato da un’incrollabile fede:
“Muoio perdonando a tutti e chiedendo perdono se ho offeso e disgustato qualcuno.
Sono lieta di raggiungere in Cielo i nostri eroi. Sarà così bello in Cielo!
Durante tutto il viaggio da Sondrio a Buglio ho cantato le canzoni della Vergine.
Ho passato in prigione ore di raccoglimento e di vicinanza a Dio!
Viva l’Italia!
Gesù la benedica e la riconduca all’amore e all’unità per il nostro sacrificio.
Così sia.”
È con la fede che oggi si conclude la rubrica “Ausiliarie: le combattenti dimenticate”. Un percorso iniziato con l’amor di Patria di Piera Gotteschi Fondelli, proseguito con la lealtà di Margherita Audisio, l’onore di Angelina Milazzo ed accompagnato dalla forza della femminilità di Jole Genesi, Lidia Rovilda, Marcella Batacchi, Jolanda Spitz, Laura Giolo e Lidia Fragiacomo. Un percorso dal quale sono emersi sentimenti nobili e contrastanti come la fragilità e l’orgoglio di Franca Barbier, arricchito dall’audacia di Giovanna Deiana e dalla pietas di Raffaella Duelli.
Pietas: quella che – nonostante il comportamento impeccabile – viene ancora negata alle soldatesse in grigioverde.
A loro, dunque, vadano almeno il nostro ricordo commosso, il nostro rispetto sincero e la nostra continuità ideale.