La sfida comunitaria: la prosocialità contro la desertificazione dello spirito

Mar 11, 2024

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Il nostro è un tempo complicato. La recente pandemia e le inquietanti informazioni che arrivano dal fronte della guerra, di fatto, hanno provocato il rapido dissolversi delle nostre sicurezze, ridotto lo spazio mentale per la progettualità e per il futuro, ed instaurato meccanismi di instabilità e di fragilità nella nostra lettura ed interpretazione della vita e della realtà. Nell’epoca moderna, parlare di prosocialità e comunità è fondamentale, soprattutto in relazione alle profonde trasformazioni che stiamo vivendo, sul versante delle relazioni sociali e, in generale, della comunicazione.

La prosocialità è un comportamento che prevede la facoltà di aiutare, di sostenere gli altri, in assenza della ricerca di ogni qualsivoglia forma di ricompensa. La complessità di tale concetto richiede quindi un approfondimento, soprattutto nell’ottica di definirne le molteplici sfumature e di individuare gli aspetti che possono trovare maggiori implicazioni nella pratica clinica. La capacità di ricercare l’altro, di confrontarsi e di interfacciarsi attraverso un atteggiamento orientato alla cooperazione ed alla collaborazione sembra avere una profonda correlazione con lo sviluppo dell’identità e dell’autostima: nella relazione con la figura materna, ed attraverso processi di introiezione e di identificazione, il bambino acquisisce ed incrementa le sue competenze sociali, facoltà che molti autori definiscono innate in ciascuno di noi, ma le quali necessitano ugualmente di una “guida”.

  1. Adler (2012, “Il senso della vita”), argomentando la teoria relativa il sentimento sociale, descrive le dinamiche che possono inficiare lo sviluppo di queste capacità, soprattutto nella forma di un’educazione viziante, in cui le figure di riferimento anticipano i bisogni del bambino e si sostituiscono a lui nello svolgimento dei compiti vitali e, in generale, nell’assolvere alle richieste del mondo circostante. In tal modo, il bambino ed il futuro adulto potrebbero incontrare delle importanti difficoltà nel tollerare la fatica, e la frustrazione generata dal dilazionamento dei bisogni personali perché convinti che tutto gli sia dovuto e, di conseguenza, che gli altri siano al suo fianco per soddisfare ogni sua richiesta, nella dimensione del “tutto e subito” che ben incarna le dinamiche che animano la società iper-protettrice e viziante in quanto vige l’egemonia di un pensiero che vuole ridurre il Mondo asd uno spazio liscio senza spigoli e senza slanci: un grande stagno dove sguazzano atomi docili e senza connotati.
Alfred Adler Photograph by National Library Of Medicine - Pixels

Alfred Adler

Quale motivazione quindi al comportamento prosociale?

Altruismo, empatia, intelligenza emotiva, rappresentano solo una parte delle spinte motivazionali che possiamo riscontrare in tale competenza.

Da considerare, inoltre, il concetto di intelligenza prosociale, per il quale la capacità di apprendere, di comprendere e di comunicare le emozioni ed i sentimenti concorrono al miglioramento ed al rafforzamento delle competenze relazionali ed intellettive, sostenendo così la creazione di una socialità più sana e più costruttiva.

Il concetto di prosocialità nasce in contrapposizione a quello di comportamento antisociale, ovvero quel pattern di condotte che prevedono atti ostili e pericolosi nei confronti della societas, intesa come manifestazione di comunità d’intenti e d’ideali finalizzata all’edificazione dell’ individuo sviluppandone il suo potenziale interiore, processo in antiteti con l’attuale socità fluida infatuata dall’ideologia del medesimo. Studi successivi, soprattutto nell’area della psicologia sociale, ne hanno approfondito la dimensione psicologica, relazionale ed evolutiva, focalizzandosi sulle dinamiche che la definiscono e sulle derivazioni che il comportamento prosociale riporta nella sfera delle emozioni, dell’identità, dell’intelligenza e, secondo uno sguardo più ampio, sulle capacità relazionali.

CHE COS'È IL COMPORTAMENTO PROSOCIALE? – Psycheatwork

In questo processo di psicologia sociale e relazionale, la Communitas diventa il veicolo d’innesco della prosocialità e di tutte le sue caratteristiche in quanto non è possibile concepire la Comunità senza essere disposti a donare qualcosa. L’attitudine alla prosocialità può altresì rispondere al bisogno di appartenenza, di riconoscimento sociale, oppure mossi da un autentico desiderio di aiutare gli altri, anche a discapito dei propri interessi.

Lo psicologo G.V. Caprara spiega quindi che gli individui apprendono la prosocialità dall’esperienza, e che la manifestano in relazione ad obiettivi e valori personali: accanto alla predisposizione dettata dal temperamento, vi è l’influenza delle differenze individuali nella scelta dei comportamenti volontari, riflesso di un complesso e ricco incontro di vissuti emotivi, cognizione che derivano all’esperienza di vita che hanno, probabilmente, indotto la persona ad attribuire particolare rilievo al benessere altrui. Il comportamento prosociale racchiude l’assunto di intenzionalità e, per tale motivo, è manifesto di pattern attitudinali definiti da specifiche organizzazioni emotive, cognitive e motivazionali. In accordo con quanto sopra, Marco Scatarzi, autore nel libro “essere comunità” argomenta la fisionomia della Comunità, come tempio delle differenze perché rispetta le identità e le valorizza. Il suo aspetto è principalmente organico: ogni parte contribuisce all’insieme in virtù delle proprie specificità. I tratti di ognuno, quindi, sono il contributo stesso alla ricchezza dell’unione. In Comunità non i odia mai il diverso: con esso ci si confronta e da esso si impara, evitando allo stesso modo la chiusura e la mescolanza. La prosocialità innescata e supportata dalla Comunità si batte contro l’ipocrisia di un Mondo che omologa e produce disuguaglianze.

Amazon.it: Il comportamento prosociale. Aspetti individuali, familiari e  sociali - Caprara, G. V., Bonino, S., Sardi, R. - Libri

L’attenzione e lo studio delle dinamiche prosociali furono intraprese da Robert Roche che in un’ottica di promozione, sottolinea l’importanza di incoraggiare l’educazione alla prosocialità nelle scuole, attraverso lo sviluppo di competenze interpersonali, a favore del benessere degli alunni e, in generale, di tutti gli attori coinvolti. Nello specifico, ci si propone di raggiungere la consapevolezza in merito alle proprie capacità ed ai propri limiti, rivalutando ad esempio le proprie convinzioni, attraverso il confronto con l’altro. Una migliore comunicazione favorisce altresì l’incremento dell’autostima, attraverso ad esempio la capacità di individuare una soluzione positiva ad un conflitto, di sapere esprimere sé stessi, le proprie attitudini. Questi meccanismi sottendono uno specifico decentramento dal proprio Sé, a favore di un continuo incoraggiamento dello sviluppo della fiducia in sé stessi, dell’autostima e di un incremento delle capacità di empatia.

Il comportamento prosociale si manifesta in azioni specifiche come il sostegno fisico, verbale, la solidarietà, la generosità. Questo pattern di condotta fornisce l’opportunità di avere delle valide alternative ad atteggiamenti edonistici e narcisistici, favorendo lo sviluppo di relazioni che apportano benessere e supportano l’incremento dell’autostima per coloro che li esprimono

Risulta altresì utile ed interessante argomentare in merito al concetto di empatia, ovvero la capacità di “mettersi nei panni dell’altro”, di identificarsi nell’esperienza emotiva altrui, riconoscendo gli affetti come se fossero propri, al fine di comprenderne il punto di vista, i sentimenti, mantenendoli però separati e distinti dai propri. Da qui, ne comprendiamo l’importanza, quale veicolo di comunicazione e di relazione sociale, in quanto favorisce la comprensione dell’altro, oltrepassando la trasmissione verbale ed approfondendo l’ascolto del linguaggio “non verbale”.

Rizzolati (1992) – attraverso il suo gruppo di ricerca – formula la teoria dei “neuroni specchio”, per la quale assistere a situazioni come spettatori, sembrerebbe attivare le stesse aree cerebrali coinvolte dalla persona che esegue l’azione in prima persona. Nello specifico, l’empatia si fonderebbe su di un meccanismo essenzialmente motorio, di simulazione interna, a livello “corporeo” e, in tal modo, andrebbe a facilitare una comprensione diretta delle emozioni altrui.

Giacomo Rizzolatti eletto membro della Royal Society - Giornale di Sicilia

Giacomo Rizzolati

Hoffman (2008) propone un modello elaborato del processo empatico, la cui origine è da ricercarsi nei primissimi giorni di vita. In particolare, prospetta la presenza di tre componenti, ovvero affettiva, cognitiva e motivazionale. Le prime espressioni empatiche sono caratterizzate principalmente dalla dimensione affettiva. Successivamente, la dimensione cognitiva assume rilevanza, integrandosi con quella affettiva e promuovendo manifestazioni empatiche sempre più complesse. Questa dinamica è arricchita dalla sfera motivazionale, la quale promuove la messa in atto di condotte di aiuto, che possiamo definire comportamenti prosociali.

La persona che riceve aiuto vivrà così una condizione di benessere; al contrario, secondo l’autore, si potrebbe presentare un vissuto di senso di colpa nel caso in cui non si metta in atto un’azione di sostegno. Il concetto di prosocialità e di empatia sono, pertanto, strettamente connessi, laddove possiamo affermare che la capacità di “mettersi nei panni degli altri” rappresenta una dinamica fondamentale nel processo di promozione delle condotte di aiuto. A tal proposito, si inserisce anche la dimensione dell’altruismo. Spesso, si tende ad utilizzare tale termine in qualità di sinonimo della prosocialità.

Che cosa si intende per altruismo? A. Comte (1830) utilizza questo termine per descrivere coloro il cui atteggiamento è orientato al raggiungimento del beneficio altrui e, in aggiunta, di ottenere il proprio attraverso questo movimento. Gabbard inserisce l’altruismo tra i meccanismi di difesa maturi: “subordinazione dei propri bisogni a quelli altrui. Comportamenti altruistici possono essere usati in funzione di problemi narcisistici, ma possono anche essere alla base di attività costruttive e socialmente utili” (2015, “Psichiatria Psicodinamica, p.p. 36).

Psichiatria psicodinamica : Gabbard, Glen O., Madeddu, F., Galati, S.,  Madeddu, Maria Luisa: Amazon.it: Libri

L’altruismo può quindi essere definito una spinta motivazionale, a favore delle azioni prosociali: l’interazione tra fattori individuali, predisposizioni personali – intese anche come propensione all’altruismo – e le specifiche situazioni genera la messa in atto di comportamenti prosociali. In accordo a quanto sopra, inoltre, una persona può mettere in atto una condotta di aiuto, indotto da altruismo, da empatia, ma non necessariamente in tutti i contesti.

Educare i bambini alla prosocialità va ben oltre la formazione alla collaborazione: non è sufficiente condividere un obiettivo e muoversi nella stessa direzione, bensì è importante insegnare a non aspettare che qualcuno faccia il primo passo, oppure a non attendere che arrivino delle ricompense. La multifattorialità della prosocialità richiede la necessità di prendere in considerazione tutti gli elementi ivi coinvolti come, ad esempio, la responsività emotiva e la dimensione cognitiva. A tal proposito, gli adulti di riferimento, come genitori ed insegnati, assumono un ruolo fondamentale nella promozione della prosocialità, nella funzione di esempi da emulare. In tal modo i bambini imparano a comprendere le emozioni altrui e ad interiorizzare il senso dell’empatia, ed i suoi meccanismi.

E’ altresì importante rinforzare i bambini dinnanzi a loro atti prosociali, attraverso la lode, verbalizzando e descrivendo ad esempio ad altri bambini – se presenti – in modo che il suo comportamento diventi esempio per gli altri; l’attenzione prestata a quanto successo, indurrà molto probabilmente il ripetersi di azioni simili. In aggiunta, la narrazione, attribuire un nome alle emozioni può rafforzare le abilità coinvolte nelle azioni prosociali, ad esempio attraverso la lettura di storie ed una loro successiva argomentazione.

In accordo a quanto sopra discusso, il contesto scolastico rappresenta uno dei campi principali di “prova” e di apprendimento delle competenze prosociali. Nello specifico, la didattica prosociale necessita della totale aderenza e adesione da parte degli insegnanti, la quale può trovare luogo in un atteggiamento accogliente che promuova il dialogo e l’ascolto.

La "buona scuola" e l'educazione dei bambini - Il bambino naturale

Pertanto, lo stile educativo preposto si fonda su specifici pattern relazionali quali, ad esempio, il meccanismo del rinforzo, dell’incoraggiamento, dell’adattamento dell’accettazione, in un’atmosfera affettiva. La didattica prosociale si manifesta quindi in attività che coinvolgono le diverse discipline previste dal percorso scolastico, parallelamente alla proposizione di abilità interpersonali che assumono il ruolo di spinta motivazionale all’espressione di azioni prosociali. Tali attività promuovono inoltre il senso di efficacia, l’autostima, la motivazione al successo scolastico. Secondo una visione più ampia, la possibilità di poter ricevere senza dover necessariamente restituire, incoraggia la costruzione di legami che si basano sul rispetto e sulla condivisione, i quali si rispecchieranno – in età adulta – nell’osservanza delle regole sociali, della convivenza e del rispetto della diversità.

Il training prosociale prevede quindi differenti componenti, le quali coinvolgono – a loro volta – una dimensione affettiva, cognitiva e motivazionale:

  • Soluzione dell’aggressività sterile ed impulsiva

  • Atteggiamento orientato all’ottimismo ed alla positività;

  • Competenze comunicative;

  • Empatia;

  • Condotte di aiuto, di condivisione e di collaborazione;

  • Auto-controllo

L’alunno ha così la possibilità di interiorizzare le differenti forme di comportamento prosociale, trasformando sé stesso nel fulcro del proprio processo di crescita: l’apprendimento avviene attraverso la scoperta, il rinforzamento delle condotte, la collaborazione e la creazione di una conoscenza collettiva. La classe diviene una vera e propria comunità i cui membri si relazionano, nella piena consapevolezza delle proprie dinamiche, con l’obiettivo di tutelarne i rapporti ed il clima.

 Manifestare un comportamento prosociale significa possedere la capacità di aiutare e sostenere gli altri, senza attendersi una ricompensa. La natura di questa tipologia di condotta coinvolge anche la dimensione dell’intenzionalità e della motivazione. Offrire del tempo in un’associazione di volontariato, ad esempio, è un comportamento prosociale. Al contrario, fare delle donazioni per avere in cambio dei favori fiscali non lo è. Da qui, possiamo comprendere l’importanza dell’incoraggiamento alla prosocialità, soprattutto se consideriamo la natura individualista della società moderna. Favorire condotte di aiuto, di sostegno tra i membri di una comunità offre la possibilità – ad ampio spettro – di creare un’alternativa all’impoverimento relazionale al quale stiamo assistendo, a favore quindi di un clima sociale maggiormente solidale ed egualitario.

Come già accennato in precedenza, le condotte prosociali coinvolgono diverse capacità affettive, cognitive e motivazionali. A tal proposito, possiamo ricercarne le origini nel processo educativo dei bambini, nel contesto scolastico ma, ancor prima nelle tappe evolutive, nell’ambito familiare: incoraggiare il proprio figlio, nipote dinnanzi ad un atto di aiuto, lodare la costanza e l’impegno con il quale un giovane prosegue i propri obiettivi favoriscono l’incremento della prosocialità. Condotte prosociali quindi e sviluppo delle competenze empatiche, fondamentali per lo sviluppo del benessere mentale, per la creazione di relazioni interpersonali sane, potremmo dire a prescindere dalla prosocialità stessa. Essere prosociali è quindi indice di un funzionamento mentale orientato al benessere, in quanto detiene la capacità della persona di riconoscere gli altri, e di emergere quindi dalla sfera egocentrica che caratterizza principalmente i primi stadi dello sviluppo di ciascuno di noi.

L’uomo è un animale sociale e, come tale, necessita del confronto e della relazione con gli altri, a partire dalla nascita: la spinta motivazionale nella ricerca dell’altro può variare nel corso delle differenti tappe evolutive ma, nonostante ciò, è fondamentale che questa sussista affinché si possa parlare di benessere mentale. La comunità può contrastare l’egoismo, offrendo una scelta differente alla centratura affettiva e cognitiva, che rischia di ostacolare e di inficiare il corretto sviluppo di tali competenze e, di conseguenza, indurre diverse forme di sofferenza.

In conclusione, la Comunità ha l’oneroso compito di mostrare un modo “altro” di vivere e di percepire le relazioni, lavorando tra gli individui per il potenziamento dei fattori che compongono la prosocialità: sostenere e potenziare gli Uomini verso una maggiore propensione al confronto con l’altro incoraggia verso una più decisa e concreta spinta motivazionale alla vita.