Il tempo di Narciso

Mar 15, 2024

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La redazione di Identitario ringrazia gli amici del Centro Studi Primo Articolo, che hanno gentilmente concesso la ripubblicazione di questo articolo di Roberto Giacomelli.


Narciso nella mitologia greca e romana è un giovane bellissimo, figlio di una ninfa e di un dio, che respinge crudelmente ogni spasimante essendo innamorato di se stesso.
Morirà affogato in un piccolo lago ammirando la sua immagine riflessa nell’acqua, il viso di un amante che non possederà mai. Nella psicologia del profondo, attenta ai miti espressione degli archetipi dell’inconscio collettivo, Narciso è spaventato dal contatto con gli altri segno del timore di se stesso , della sua bassa autostima, dell’insicurezza che lo condanna alla solitudine. La narrazione archetipica ci parla del mancato riconoscimento di sé, nell’interpretazione clinica un disturbo dell’identità che non permette il proprio riconoscimento.
Narciso per riconoscersi deve rispecchiarsi nella percezione degli altri che determina l’affermazione della sua esistenza e del suo valore.
La sua immagine si costruisce sul giudizio altrui, una dipendenza dolorosa che genera solitudine affettiva.
Nel tempo della società nutritiva, dove il consumo di cibi e oggetti è lo scopo della vita, il narcisismo è divenuto patologia di massa. Il disturbo narcisistico di personalità, malattia mentale che genera egocentrismo, mancanza di empatia e il desiderio ossessivo di ricevere ammirazione in passato interessava singoli soggetti. Forma di disagio mentale che può sfociare nel delirio paranoide e nella schizofrenia, affligge persone la cui infanzia è stata funestata da eventi traumatici, genitori anaffettivi, aspettative eccessive. Nella fase terminale del capitalismo, dove alla realtà si è sostituita la sua spettacolarizzazione, il filosofo marxista Guy Debord scrive che il capitale è a un grado cosi elevato di accumulo da divenire immagine. Nasce il feticismo dell’immagine, la merce diventa spettacolo, viene fotografata, esibita, goduta come oggetto erotico, lo spettacolo è mezzo e fine della produzione.

Lo spettacolo diventa realtà e la realtà si spettacolarizza, perdendo la sua caratteristica fondamentale: l’essere indipendente dalla percezione soggettiva.
Il narcisismo colpisce indistintamente gli attori della società dello spettacolo, i cittadini dell’opulento mondo del consumo. L’esigenza compulsiva di mostrarsi diviene disturbo sociale, attrarre su di sé l’attenzione degli altri essenziale per la percezione del proprio Io si trasforma in pandemia.
Dalle società organiche dove essere era il fondamento ed il significato ultimo dell’esistenza si è passati agli albori della modernità all’avere come unica ragione di vita. Non conta essere un guerriero, una madre, un cittadino, una strega o uno sciamano, ma possedere un corpo da esibire, oggetti da mostrare, soldi e potere per imporre la propria presenza. Valori, idee, spiritualità, sono inutili orpelli di un passato definitivamente morto, di un sentire nobile estraneo alla società dei consumi, reperti archeologici di altre civiltà. Dal male non può nascere che il peggio e alla bassa civiltà dell’avere è seguito l’aggravamento patologico di quella dell’apparire, il disturbo di Narciso.
Una società malata ripiegata su se stessa, sterile e violenta, che non ammette altra visione dalla sua, che emargina e condanna chi osa pensare in modo difforme e coraggioso.
La società narcisista, incentrata sul nutrimento parassitario, produrre per comprare e comprare per produrre, mangiare ed acquistare per dimostrare chi si è, o meglio chi si vorrebbe apparire.
L’apparenza sostituisce l’appartenenza, la famiglia e la stirpe, l’individualismo uccide la comunità, l’egoismo al posto della solidarietà tribale. Si sacrifica l’onore e la dignità per un attimo fugace di fama, l’esistenza reale è scambiata con quella virtuale sulle reti sociali, i mefitici social network portatori di disagio mentale.

Il riserbo e la riservatezza, il pudore dei sentimenti scompaiono travolti dall’esibizione patologica di lutti, malattie, abbandoni, di ciò che andrebbe custodito nell’Ombra, il serbatoio psichico di ciò che deve rimanere nascosto. Si lavano nella piazza virtuale i panni sudici, esibendo come tristi trofei tumori e chemioterapia, i tradimenti di compagni infedeli, la morte di congiunti, particolari patetici che in tempi migliori erano pettegolezzi da comari.
L’esposizione forzata del dolore, non per ricevere umana solidarietà, ma per farsi notare ad ogni costo, il diritto di comparire a discapito degli altri per emergere dalla mediocrità e cadere nella bassezza.
Nasce così l’esigenza di difendere improbabili diritti di ancora più improbabili minoranze che ignorano i doveri.
I capricci individuali figli dell’edonismo hanno ucciso i diritti sociali, la protervia di ricchi egoisti sfrutta la miseria dei poveri comprandone i corpi.
In una società sana e ordinata ci si vergognerebbe di influenzare soprattutto a scopo di lucro i gusti ed il pensiero degli altri, nella nostra invece se ne fa una professione.
L’influencer ennesima moda idiota venuta dagli USA, subito adottata nell’italica colonia e divenuta la massima aspirazione di giovani vuoti e ignoranti. La professione dell’apparenza per eccellenza, dove sapere, conoscere, quindi essere non conta nulla, ma esibire, perciò avere è essenziale.

Influenzare persone colte è difficile, condizionare cervelli vuoti è alla portata di imbecilli saccenti, narcisi di successo che trascinano nella pozza del loro vuoto interiore coloro che vivono di invidia e rancore.
Il piacere di essere permette il lusso di non apparire.