Il regresso delle nascite è la morte dei popoli

Mar 22, 2024

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Lo statistico tedesco Richard Korherr (1903-1989), nel 1928, pubblicò un testo dal titolo emblematico: Regresso delle nascite: morte dei popoli. Lo studio di Korherr, prefazionato da Oswald Spengler, è stato impreziosito – nell’edizione italiana – dalla prefazione di Benito Mussolini. Il capo del governo italiano, il quale notoriamente poneva la natalità al centro della politica sociale del Fascismo, comprendeva l’importanza della demografia per l’avvenire. Non solo dell’Italia, ma di tutta la civiltà europea. Infatti:

«coloro che vedono un po’ più in là della quotidiana contingenza (a mio avviso non ha diritto di governare una Nazione chi non sia capace di guardare almeno a 50 anni di distanza) sono preoccupati».[1]

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Già all’epoca ci si poneva non solo il problema della denatalità, ma anche quello dell’immigrazione. Mussolini riporta le preoccupazioni di Giuseppe Barthelemy, membro dell’Istituto di Francia:

«Noi sappiamo che vi sono oggi in Francia due volte più stranieri di prima della guerra: un milione nel 1911, due milioni e mezzo nel 1926; ciò rappresenta il sei per cento della popolazione totale. Su cento abitanti della Francia, ve ne sono sei che non sono francesi».

Gli immigrati erano per la maggior parte europei (di cui tanti italiani): chissà cosa penserebbe Barthelemy dell’attuale situazione demografica francese, considerando che – secondo alcune stime – entro il 2050 in Francia – nelle zone urbanizzate – il 50% degli abitanti con meno di 55 anni saranno di origine extraeuropea.[2]

Per quanto riguarda l’Italia, la «spaventosa agonia demografica» si registrava nelle città: infatti, le 26,9 nascite ogni mille abitanti, scrive Mussolini:

«lo si deve esclusivamente alla prole dei rurali. Tutta l’Italia cittadina o urbana è in deficit. Non solo non c’è più equilibrio, ma i morti superano i nati. Siamo alla fase tragica del fenomeno. Le culle sono vuote ed i cimiteri si allargano. Tutte le Città dell’Italia Centrale e Settentrionale accusano lo stesso deficit».

Il motivo di tale crollo è di tipo sovrastrutturale: «

Se un uomo non sente la gioia e l’orgoglio di essere «continuato» come individuo, come famiglia e come popolo; se un uomo non sente per contro la tristezza e la onta di morire come individuo, come famiglia e come popolo, niente possono le leggi anche, e vorrei dire soprattutto, se draconiane».

Perfino il Fascismo – con tutti gli strumenti messi in campo – non riuscì a contenere il calo della natalità…

Demografia e civiltà

Richard Korherr sostiene che il tramonto delle antiche civiltà – Babilonia, Egitto, India, Cina, Grecia, Roma – è sempre stato legato al regresso delle nascite. La mancanza fisica di autoctoni e il ricorso all’immigrazione per colmare la popolazione mancante, come nel caso di Roma, risultò fatale per la sopravvivenza della civiltà. Lo stesso rischio si ripresenta in Europa, dapprima in Francia a partire dall’Ottocento, e dalla seconda metà del XIX secolo, anche negli altri stati dell’Europa. Prendendo come parametro di rifermento la cifra dei nati vivi su mille abitanti, osserviamo un costante calo della natalità a partire dal 1870:

Korherr chiarisce fin da subito per quale motivo non si fanno più figli:

«Il denaro impera assoluto nell’Occidente dove ogni energia viene calcolata sulla base del denaro. La grande massa vuole soltanto vivere. Una volta le passioni politiche ed i sentimenti religiosi avevano il predominio sull’economia. La vita spirituale dominava la vita materiale. Oggi invece tutta la vita interna è talmente decaduta, che non è rimasto altro che la volontà di vivere. La politica economica è diventata scopo a se stessa».

L’appiattimento sul materialismo è un germe della città cosmopolita: è nelle grandi città che si registrano i più bassi tassi di fecondità ed è verso le grandi città che la popolazione rurale – quella più feconda – emigra.

Korherr passa in rassegna le città francesi in cui la popolazione registrava – già negli anni Venti – un saldo naturale negativo (i morti superano i nati vivi) e il progressivo spopolamento delle campagne tedesche. Nelle città stava emergendo «un fenomeno di civiltà di importanza fondamentale», scrive lo statistico tedesco, il quale prosegue:

«l’emancipazione della donna. L’eterna politica della vera donna è la conquista dell’uomo, per mezzo del quale essa diventa madre di bambini e può quindi essere storia, avvenire. Al contrario, la donna senza razza, senza bambini, che non è più storia, vorrebbe fare la storia degli uomini, imitarla». Questo porta alla sterilità: la donna non è più fedele alla «legge della generazione».

La decadenza del rapporto uomo-donna conduce inevitabilmente a un aumento dei divorzi: nel 1925, in Germania, si registravano più di 35.000 divorzi, il doppio rispetto al 1913. In quegli anni a Berlino un matrimonio su tre finiva con un divorzio.

«Il tramonto dei popoli bianchi»

All’epoca il regresso delle nascite non mostrava ancora i suoi drammatici effetti perché contemporaneamente stava scemando la mortalità, le persone vivevano mediamente più a lungo. Tuttavia, il saldo naturale positivo (i nuovi nati superano i morti) andava assottigliandosi:

Korherr fa notare che la popolazione d’Occidente va «scomparendo a partire dall’alto», ovvero sono i benestanti a fare meno figli: «la cifra delle nascite va scemando quanto più alta è la posizione di un dato gruppo sociale». L’esatto contrario di chi, ancora oggi, sostiene che “non si fanno figli perché non ci sono soldi”. Tuttavia, la denatalità iniziava a interessare anche i gruppi sociali più bassi. Questo preoccupava molto Korherr, tanto da prefigurare la sostituzione etnica:

Non dovrà finalmente venire il giorno in cui questa razza [bianca] sarà defraudata di tutti i suoi elementi forti e ricchi di avvenire e non rimarrà altro che il sangue primitivo, dominato da elementi stranieri sopravvenuti? È un grande errore quello che si commette oggi mettendo troppo in prima linea l’igiene della razza di fronte alla lotta contro il regresso delle nascite. Oggi è importante non solo la qualità della popolazione, ma anche la quantità; quando quest’ultima sia assicurata, allora può curarsi in grande stile l’igiene della razza, e non viceversa. La Francia ha già dovuto smettere qualunque idea d’igiene della razza, perché il suo regresso delle nascite la costringe ad accettare persino il più scadente materiale umano se non vuole addirittura spopolarsi.

Dal momento che il fattore economico predomina, masse di stranieri «penetrano pacificamente» in Europa per far fronte alla richiesta di manodopera, senza che gli Stati accoglienti si preoccupino delle conseguenze di tale silenziosa invasione. Korherr scrive dopo la prima guerra mondiale, e sostiene che una nuova guerra avrebbe mandato in rovina l’Europa occidentale perché le nuove generazioni non sarebbero state in grado di sostituire le perdite provocate dalla guerra. In effetti, come riportiamo nel libro La scomparsa dei popoli europei (in uscita per Passaggio al Bosco Edizioni) dopo la seconda guerra mondiale, nell’Europa occidentale – in cui vi era penuria di uomini – è aumentata la richiesta di immigrati per sostenere lo sviluppo economico.

Al netto di alcuni limiti e previsioni azzardate (lo statistico tedesco prevedeva una “giapponesizzazione” della California, tanto che Tokio l’avrebbe reclamata come terra giapponese), l’impostazione di fondo del libro resta valida: le culle vuote degli autoctoni e l’immigrazione di stranieri, conducono al tramonto dei popoli bianchi. Korherr, come pochi suoi contemporanei, ha il merito di aver lanciato un grido di allarme e di essersi opposto alla teoria malthusiana, un secolo fa. Oggi la situazione è drammaticamente più grave dell’epoca, non per questo dobbiamo cedere al fatalismo, piuttosto dobbiamo essere pronti a garantire la sopravvivenza – prima ancora che la sanità fisica e spirituale – dei popoli europei.

[1] Danzi-Korherr, Europa senza europei?-Regresso delle nascite: morte dei popoli, Editrice Thule Italia, 2022, p. 81. Tutte le citazioni provengono dalla medesima edizione.
[2] Jean Raspali, “The Big Other” in “Contro l’invasione”, La Verità, 2021, p. 84.