I doppi standard delle guerre occidentali: l’ipocrisia del “migliore dei mondi possibili”

Mar 6, 2024

Tempo di lettura: 3 min.

È evidente a qualsiasi osservatore appena oggettivo il doppio standard applicato dal mainstream mediatico ai conflitti che si moltiplicano nel mondo; una prassi manichea che pone da una parte i “buoni”, i “freedom fighters”, combattenti in nome delle liberal-democrazie (e loro interessi, ma questo è ritenuto “inutile” dirlo), e i cattivi, in tale categoria ascrivendo chiunque, a qualsiasi titolo si opponga a essi. Che gridi di non voler essere “liberato” e di voler vivere in pace a modo suo nulla importa, è per il suo bene che si muove guerra, “perdonandolo” se non se ne rende conto, e primariamente per l’umanità tutta, quasi fosse fascio d’indistinti individui omologati a unica matrice.

The Arsenal of Democracy | The National WWII Museum | New Orleans

A pensar bene e guardar la Storia, quella dell’Occidente è una narrazione eternamente manichea: prima, fra civiltà (i colonizzatori) e barbarie (i colonizzati, che si pretendeva fossero grati della fortuna d’essere tali), poi fra “mondo libero” e “mondo comunista”, oggi fra liberal-democrazie e autocrazie. Epiteto quest’ultimo indistinto che mainstream scaglia contro chiunque mostri di non volersi omologare a schemi e interessi terzi, dunque tendente a “revisione” d’un sistema che lo vede suddito e perciò, ancora per il bene suo e dell’umanità, dev’essere ricondotto all’ordine (quello liberale) anche a prezzo di guerre e massacri. Dinanzi a questo supremo obbligo “morale” i più elementari cardini del Diritto Internazionale divengono bazzecole, formalità da scavalcare in nome di superiore legittimazione.

Come si comprende, è approccio culturale antico, ma è stata la liberal-democrazia americana, allora rappresentata da Woodrow Wilson, a dargli contenuto sistematico reintroducendo il concetto di bellum justum, accadde a Versailles nel 1919. Citando Carl Schmitt, facciamo notare come da allora la nascente potenza americana archiviò strumentalmente il concetto di jus in bello, ovvero di conflitto regolato dal Diritto Internazionale, sostituendolo – appunto – con quello di bellum justum, guerra giusta, che non prevede quindi uno justus hostis, un nemico giusto, legittimo, e che inscindibilmente reca con sé la justa causa, la giustificazione per qualsiasi cosa si faccia per tale supposto buon fine.

The 'sore loser effect': Rejecting election results can destabilize  democracy and drive terrorism

I passaggi sono evidenti: dichiarata o subita poco importa, una guerra giusta è condotta comunque in nome del “bene”, contro un nemico che, a questo punto, è configurato come il “male”; distruggerlo, annientarlo in ogni modo è lecito, anzi, è condotta “moralmente” obbligata. Con ogni evidenza, è concetto mirante a disumanizzare l’avversario demonizzandolo, e con ciò rendendo dovuto e meritorio il suo annientamento qualunque sia il mezzo usato. C’è questo alla base del sistematico doppio standard che il mainstream mediatico delle liberal-democrazie ha adottato per i freedom figthers, i suoi “combattenti per la libertà”, nelle infinite guerre che si sono succedute. Secondo esso, ci sono bombe cattive, quelle del nemico, e bombe buone, necessarie, comunque giustificate, da quelle su Nagasaki e Hiroshima a quelle che cadono su Gaza, passando per gli infiniti morti nelle città europee rase al suolo fra il 1943 e il 1945, in Corea, Vietnam, Serbia, Afghanistan, Iraq, Palestina, Siria, Yemen, Ucraina e via discorrendo.

U.S. Bombs Iraqi Insurgent Hideouts

A guardar le cronache del mondo, risulta che è essenzialmente l’Egemone ad aver mosso guerre per affermare i suoi interessi, ammantandoli di superiore legittimazione morale. Massima proiezione di Guerra Cognitiva che, tuttavia, nelle temperie attuali funziona sempre peggio. Costretta oggi a sovradosaggio fino al caricaturale, a pura smaccata propaganda, finendo per essere, prima che inutile, controproducente. Che suscita rigetto virante in crescente avversione nei paesi dove cultura propria è capace di decodificarla – Sud Globale in generale, negli Stati-Civiltà in particolare; manifesta disaffezione perfino all’interno di un Occidente che non dispone ormai di Geocultura propria.

Dinanzi a narrazione mainstream i singoli stati occidentali sono divisi fra scetticismo e disinteresse della popolazione. Al più consenso passivo, assai residualmente attivo, per carenza manifesta di una narrazione ormai manifestamente logora, del tutto distaccata dalla realtà. Sarebbe il momento di opporre narrazione alternativa. Del resto, come si dice, se non ora quando?