Hilarie Belloc: diagnosi distributista dello Stato Servile

Mar 9, 2024

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Il Distributismo – o Gildismo Distributista – è una corrente filosofica nata in Gran Bretagna dai filosofi cattolici Gilbert Keith Chesterton, padre Vincent McNabb e Hilaire Belloc, sulla scia dei principi espressi da papa Leone XIII nell’enciclica Rerum Novarum. Tale dottrina economica si propone di superare a sil’organizzazione sociale del capitalismo che quella del comunismo; principio che, secondo alcuni accademici, annovera il distributismo come una delle “Terze Vie”.

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Nel 1938, il filosofo e storico cattolico Hilarie Belloc pubblicò un libro dal nome “Distributismo. La via di uscita dallo Stato Servile”. Ma cos’è lo Stato Servile? E come può, il Distributismo, definirsi quale Via di Uscita? Per capirlo, dobbiamo: 1) definire che cos’è l’uomo per Belloc e per i distributisti, 2) esaminare i problemi della società contemporanea, 3) esaminare i “falsi rimedi” ai problemi contemporanei, e 4) enunciare le soluzioni distributiste, le uniche che possono condurre alla via di uscita dallo Stato Servile. Andando nell’ordine dei punti sopracitati, per Belloc e per i distributisti l’uomo è tale solo se è messo nelle condizioni di esprimere la propria volontà.

Per lo storico cattolico:

“La volontà dell’uomo è creata libera e deve essere così esercitata, se l’uomo vuole vivere una vita pienamente umana. La scelta dell’occupazione e di tutte le altre cose fa parte del Pane Quotidiano. Oggi la maggior parte degli uomini non ha tale scelta e ne ha fame. Le loro visite sono regolate contro la loro volontà e questo per una sola ragione: non possiedono il suolo o gli strumenti liberi da oneri per il loro lavoro. Qualcun altro li possiede e, a causa del possesso di questo qualcuno e della loro indigenza, emerge questo senso amaro di oppressione” [Belloc, H. (2022). Distributismo. La via di uscita dallo stato servile. Fede e Cultura. Tradotto da Matteo Mazzariol. Ristampato a novembre 2022. pag 25]”.

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Belloc denuncia il giogo a cui l’uomo moderno si trova legato. Una condizione per lui inaccettabile, ma che – per la società capitalista e comunista – è inevitabile e necessaria per superare l’indigenza dei popoli. Sia da parte liberale che da parte comunista si obbietterà che non si intende privare i cittadini della loro liberta, anzi, si vuole affrancarli dallo stato di miseria e di garantire loro la prosperità. Per Belloc non è il capitalismo il problema, ma la sproporzione tra ricchi e poveri. Sproporzione che – nel sistema capitalista – si esteriorizza con la monopolizzazione di interi settori e con l’eliminazione di tutte le piccole aziende che non reggono la “concorrenza sleale”; una concorrenza data – va da sé – dall’esorbitante capacità produttiva, di distribuzione e di copertura pubblicitaria delle grandi aziende. E tale sproporzione si manifesta anche nello Stato Comunista, o meglio nel Capitalismo di Stato dei funzionari di partito, dove la sproporzione non è data dal monopolio di pochi individui, bensì dallo Stato che – con l’esproprio e la collettivizzazione di tutti i mezzi di produzione – priva ai cittadini il diritto di possedere nient’altro che non sia il proprio salario, e quindi li priva della propria volontà.

Tale agognata visione dalla borderliana e orrorifica essenza, viene decostruita dall’autore. Per lui, infatti:

“Il lavoro salariato è chi lavora non per se stesso, ma per un altro con un salario, pagato dall’altro. Sia che lo si chiami salario o stipendio, che sia grande o piccolo, l’essenza del lavoro salariato è che il lavoratore non trattiene il prodotto del lavoro da lui svolto” [Belloc, H. (2022). Distributismo. La via di uscita dallo stato servile. Fede e Cultura. Tradotto da Matteo Mazzariol. Ristampato a novembre 2022. pag 30]”.

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Suddetta tesi potrebbe richiamare, alle orecchie del lettore, le tesi della critica marxista. Fatto sta’ che Belloc (a differenza dei marxisti) critica il lavoro salariato, da lui visto come una forma di schiavitù. Visione non poi così distante dalla realtà, se osserviamo la società contemporanea. Quanti lavoratori riescono ad arrivare a fine mese? Quanti sono i dipendenti che con i loro stipendi non riescono ad offrire una vita dignitosa ai propri cari? Quanti sono i lavoratori legati ad un lavoro che non amano, ma che sono costretti a mantenere per le più disparate ragioni?

Nel Bel Paese la forbice sociale si è ampliata e non di poco: alla fine del 2021 la ricchezza del top 10% era 6,3 volte superiore a quella detenuta dalla metà più povera della popolazione, il rapporto supera il 6,7 nel 2022 – ed il trend non accenna a fermarsi, neanche nel resto dell’Occidente. E non possiamo neanche non notare l’aumento dell’inflazione degli ultimi due anni (dall’inizio della guerra in Ucraina), che ha prosciugato le tasche degli italiani, abbassando il loro potere di acquisto. Tutto sembra darà ragione a Belloc: i salari appaiono più come una leva di ricatto (pandemia docet) piuttosto che come una vera forma di contratto tra l’azienda e il dipendente, o tra il dipendente e lo Stato.

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Può un uomo che non possiede nulla, contrattare ad armi pari con uno che ha un enorme capitale alle proprie spalle? Non può, rispondono i distributisti: serve qualcos’altro. Per contrattare occorre liberarsi dal monopolio, e di distribuire le proprietà a più persone possibile – dice Belloc. Non importa e non è possibile – ammette l’autore – che tutti abbiano una proprietà, l’importante è che si arrivi ad una condizione in cui la maggioranza della popolazione possiede una proprietà; perché solo attraverso la corretta distribuzione delle proprietà si otterrà una società più libera. Non basta il salario.

E’ uno scenario controcorrente rispetto a quello propinato e agognato dalle anime belle del progressimo, che sognano un mondo di proletari senza proprietà e senza null’altro che non sia il proprio salario — e alle volte neanche quello, taluni proprietari di aziende miliardarie sognano di eliminare il salario a vantaggio del reddito universale, e di ridurre l’uomo a semplice consumatore e prodotto da consumo.

Prima di arrivare a come si potrebbe effettivamente ottenere questa giusta distribuzione dei mezzi di produzione, Belloc prosegue spiegando/elencando le tipologie di monopolio:

“Questa malattia del monopolio si manifesta in molte forme, ma ce ne sono tre in particolare che riguardano immediatamente il mondo moderno: il monopolio della produzione e della distribuzione, compreso il trasporto; il monopolio dell’informazione; il monopolio virtuale del credito, il più importante di tutti”[Belloc, H. (2022). Distributismo. La via di uscita dallo stato servile. Fede e Cultura. Tradotto da Matteo Mazzariol. Ristampato a novembre 2022. pag 55]”.

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A scanso di equivoci: secondo Belloc, per definire un monopolio, non serve che sia un uomo o pochi uomini a detenere la proprietà, bensì che le condizioni rendano impossibile la libera concorrenza, e quindi che vadano a minare la piccola proprietà. Per fare un esempio: chi mai oggi può pensare di competere contro le grandi piattaforme dei social? Chi possiede i mezzi per spodestare il duopolio della Rai e della Mediaset? Il piccolo negozio di elettronica, può mai competere contro le grandi aziende di distribuzione? No. La sproporzione in termini di capacità di produzione, di distribuzione, di licenze date dallo Stato, di organizzazione, e di copertura mediatica ottenuta attraverso la pubblicità, è infinitamente più grande.

Ma la forma peggiore di monopolio, che rende tutti schiavi è quella del credito. Il “monopolio del credito”, per Belloc, ha sdoganato la più infima forma di estorsione economica esistente: l’Usura. All’epoca dello storico cattolico non esisteva ancora un monopolio del credito pienamente realizzato. Al contrario, al giorno d’oggi il Potere del Credito è nelle mani di poche banche privatizzate che si arrogano il diritto di manipolare i mercati, e di esercitare, tramite le leve finanziarie, il proprio volere sui governi.

L’usura, da sempre condannata in ogni contesto storico sia cristiano che precristiano, è oggi la prassi, la normalità per ottenere un mutuo della casa, oppure per ottenere i fondi per avviare un’attività. De facto però quella proprietà non la possiedi legalmente e, se perdi la tua fonte principale di reddito, o per qualsiasi altra ragione non ti puoi permetterti di pagare i tuoi creditori, perdi la proprietà. E quelli che per molti sono considerati i giusti rimedi a questi malattie, per Belloc sono i “falsi rimedi” e sono più dei veleni, che delle cure. Sono:

il comunismo
il capitalismo sicuro o assistito (quello dei suoi tempi in Inghilterra)
il credito nazionale

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Tutti e tre conducono al monopolio, alla privatizzazione selvaggia dei mezzi di produzione, all’annichilimento della piccola proprietà – e quindi alla distruzione della libertà economica del cittadino.

Il primo, il peggiore per Belloc e per gli altri distributisti, è la negazione totale della libertà economica; è come avere un albero malato e, piuttosto che ricorrere ad un’operazione chirurgica per isolare il male e guarirlo, si decidesse di abbatterlo. Uccidendolo. Abbiamo detto che per il Distributismo un uomo è uomo solo se è libero, e distruggere la fonte della sua libertà, ovvero la volontà che gli è stata donata da Dio, è un peccato contro-natura; e per il distributismo ciò basta per definire il comunismo come un’eresia.

Il secondo è “il capitalismo assistito”: “il suo scopo è una società in cui la minoranza esistente di proprietari che ora controllano la massa degli uomini indigenti continuerà a controllarli e trarre profitto dal loro lavoro, ma in modo sicuro, senza timore di rivolte da parte degli indigenti”. È un sistema dove il Capitale, con l’aiuto dello Stato, punta a proletarizzare la società, concedendo ai “proletari” le briciole per sopravvivere. Infatti, continua Belloc:

“Il pericolo di tale rivoltà sta’ nell’insicurezza dei mezzi di sussistenza di tutti gli indigenti e nell’insufficiente reddito della maggior parte di loro”. [Belloc, H. (2022). Distributismo. La via di uscita dallo stato servile. Fede e Cultura. Tradotto da Matteo Mazzariol. Ristampato a novembre 2022. pag 95]”.

Il capitalismo assistito – che per Belloc è positivo solo per la libertà politica – è un gigantesco banchetto al servizio di pochi potenti grandi voraci proprietari industriali, dove la piccola proprietà viene legalmente “defraudata” alle masse e fagocitata dalle grandi aziende. Quel che rimane al cittadino è quel poco di assistenzialismo sociale che lo Stato ti concede: la pensione, la sanità pubblica (forse), il reddito, ed il salario.

 

E qui, alla fine della diagnosi dei problemi e dei falsi rimedi della nostra società, Belloc ci spiega come distribuire i mezzi di produzione: restaurando le Corporazioni.

“La corporazione, si potrebbe quasi dire, nasce ed è sempre esistita, con l’obbiettivo di impedire che gli uomini vengono annientati dal demone della concorrenza sfrenata” [Belloc, H. (2022). Distributismo. La via di uscita dallo stato servile. Fede e Cultura. Tradotto da Matteo Mazzariol. Ristampato a novembre 2022. pag 111]”.

E ancora:

“L’uomo libero che lavora sulla propria terra e che agisce sotto il controllo di una cooperativa locale come suo padrone; questo è il programma dello Stato corporativo. La corporazione autonoma, che coopera con le aziende e il governo, è la via di uscita per il mondo del lavro”[Belloc, H. (2022). Distributismo. La via di uscita dallo stato servile. Fede e Cultura. Tradotto da Matteo Mazzariol. Ristampato a novembre 2022. pag 113]”.

Tramite una fitta rete di realtà cooperative e corporative che si ramificano in ogni ramo della società, secondo Belloc si restaurerebbe il giusto compromesso tra la classe lavorativa e la classe proprietaria, tra i lavoratori e i proprietari; si garantirebbe a tutti il diritto di possedere una proprietà e di avere un trattamento umano sul posto di lavoro. Grazie anche a strumenti come la tassazione differenziale – che secondo Belloc dovrebbe equalizzare i rapporti tra grandi compratori e piccoli venditori –, e grazie alla corporativizzazione della società, si otterrebbe uno Stato al servizio del cittadino e non al servizio di pochi cittadini.

Distributismo, la concreta Dottrina Sociale - La Nuova Bussola Quotidiana

 

“Noi invochiamo il potere dello Stato per impedire, non per incoraggiare, la schiavitù allo Stato: lo invochiamo per ristabilire una proprietà equamente distribuita. Da questo principio fondamentale ne derivano due che dobbiamo sempre rammentare nel corso dell’azione mentre procediamo alla grande riforma. Sono i seguenti:

  1. a) dove il monopolio è inevitabile, deve essere controllato dalla società, anzi, è preferibile che sia nelle mani della società;

  2. b) la funzione dello Stato è quella di garantire con le sue leggi e la sua autorità la stabilità sia della proprietà delle imprese sia di quella individuale, e soprattutto di proteggere tale proprietà da attacchi esterni, sia di fonte straniere sia da masse di capitale concentrate, ostili alla proprietà privata”. [Bellcq, H. (2022). Distributismo. La via di uscita dallo stato servile. Fede e Cultura. Tradotto da Matteo Mazzariol. Ristampato a novembre 2022. pag 114].

All’interno del disegno istituzionale di Belloc e del distributismo, il controllo statale ha il suo senso: ovvero quello di impedire la proletarizzazione delle masse. Dunque, se proprio il monopolio è inevitabile, allora si rende necessario che il controllo dell’azienda o parte delle sue azioni passi alle gilde che lavorano al suo interno.

Concludiamo questa diagnosi dello Stato Servile con un’ulteriore riflessione: al giorno d’oggi ci ritroviamo all’alba di una nuova rivoluzione industriale capitanata dai CEO delle IA, i nuovi pionieri della frontiera del “progresso”, ed è inevitabile domandarsi se Belloc e la sua visione sulle corporazioni si siano fatte imprescindibili per il mantenimento e la tutela della giustizia sociale, nonché per la protezione della piccola proprietà dagli artigli del sistema usuraio internazionale. Gli eventi degli ultimi anni danno ragione allo storico cattolico e al distributismo…