Vaso Čubrilovich e le foibe

Lug 25, 2024

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Chi ancora oggi, nonostante le molteplici testimonianze storiche e le inchieste giudiziarie (non ultima quella dell’ex Procuratore militare di Padova Sergio Dini, lo stesso che indagò sull’ “armadio della vergogna” contenente i documenti sulle stragi naziste rimaste impunite), si ostina a negare il rilevante movente antitaliano degli infoibamenti titini, può essere ulteriormente smentito dal ricordo di Vasa Čubrilovic. Un nome che sulle prime non dirà niente ai più, ma che nella sua lunga vita contribuì non poco – con scritti e azioni – a incendiare a più riprese i Balcani occidentali.

Anarchista, profesor či ministr. Před 30 lety zemřel Vaso Čubrilovič,  poslední aktér sarajevského atentátu | Reflex.cz

Di etnia serba, Vaso Čubrilovic nacque il 14 gennaio 1897 a Bosanska Gradiška, in quella Bosnia Erzegovina che dopo il Congresso di Berlino del 1878 era stata posta sotto il controllo dell’Impero austoungarico e che nel 1908 verrà direttamente annessa a tale realtà plurinazionale. E fu proprio tale onta che spinse il giovane Vaso ad aderire all’organizzazione irredentista (e di originaria ispirazione mazziniana) La giovane Bosnia. Nel fatidico 28 giugno 1914 lo troviamo infatti (assieme all’assai più celebre Gavrilio Prinčip) fra gli attentatori di Sarajevo. Solo la giovane età lo salvò dall’ergastolo. Fu condannato a 16 anni di carcere, di cui ne scontò solo quattro a causa della sconfitta dell’Austria-Ungheria.

“Eroe” del neonato Regno dei serbi, dei croati e degli sloveni (la Jugoslavia monarchica retta dalla dinastia dei Karageorgevič), per Vaso Čubrilovic iniziò una prestigiosa carriera che lo portò ad insegnare prima nella scuola pubblica a Sarajevo, poi all’Università a Belgrado. Fu in quest’ultima sede che, nel 1937, compose il primo dei suoi celebri Memoranda: L’espulsione degli albanesi. Il riferimento è a quegli albanesi che da secoli costituiscono una spina nel fianco per Belgrado nel suo focolare nazionale: il Kosovo. E Vaso Čubrilovič, vista l’impossibilità di colonizzare pacificamente il suddetto territorio, propose una soluzione che a più riprese farà scuola fra gli slavi del sud nel XX sec.: la pulizia etnica. Eloquenti, a tal riguardo, sono alcuni passi della sua opera: “Se la Germania può espellere centinaia di migliaia di ebrei, se la Russia può trasportare milioni di persone da un continente a un altro, poche centinaia di migliaia di albanesi espulsi non provocheranno un mondo in guerra”.

Vaso Cubrilovic

Parole sinistre che ricordano da vicino quanto disse Hitler nel 1939: “Del resto oggi chi si ricorda più dello sterminio degli armeni?”. In altri passi del Memorandum l’accademico serbo fu ancora più esplicito, quasi ripercorrendo le orme di un novello Machiavelli, sul modo di trattare gli abitanti del Kosovo. Scrisse infatti Čubrilovic che le loro prevedibili rivolte “saranno sanguinosamente soffocate coi mezzi più efficaci, principalmente da coloni slavi originari del Montenegro e da cetnici, piuttosto che da forze armate jugoslave”. E, a corollario di tutto ciò, aggiunse: “Resta un ultimo metodo usato dalla Serbia dopo il 1878, e cioè radere segretamente al suolo i villaggi e gli insediamenti albanesi”. Dunque, il terreno era pronto per le vicende future. Che non tardarono ad arrivare.

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Nel 1941, infatti, la Jugoslavia monarchica, prodotto artificiale di quel “vaso di pandora” del Novecento che fu la Grande Guerra, cessò di esistere. Nell’orgia di sangue (e di bellum omnium contra omnes) che travolse l’ex regno degli slavi del sud il nazionalista serbo Vaso Čubrilovič si alleò (per motivi non del tutto chiari e che sarebbe lungo indagare) col comunista, croato e internazionalista Josif Broz (alias Tito). E fu in tali drammatici anni, esattamente nel 1944, che scrisse un secondo Memorandum dal titolo Manjiski problem u novoj Jugoslaviji, ossia: “Il problema delle minoranze nella nuova Jugoslavia”. Due passi di esso, in modo particolare, mettono in luce la volontà di pulizia etnica ai danni degli italiani di Istria e Dalmazia. Il primo recita: “E’ più semplice risolvere i problemi delle minoranze in tempi di guerra come questi… Noi non abbiamo richieste territoriali contro l’Italia, tranne l’Istria, Gorizia e Gradisca. Perciò, col diritto dei vincitori, siamo giustificati a richiedere agli italiani di riprendersi le loro minoranze”. Nel secondo, invece, leggiamo quanto segue: “Il regime fascista trattò molto male il nostro popolo in Istria, Gorizia e Gradisca; quando riconquisteremo quei territori li dovremo rioccupare anche etnicamente allontanando tutti gli italiani che vi si sono insediati dopo il primo dicembre 1918…”. I fatti che seguirono sono tristemente noti.

Vasa Čubrilović - "Mladobosanac" i srpski akademik » Zvornik Danas

Un’intera civiltà (una Mitteleuropa mediterranea, nelle parole di un testimone d’eccezione: Enzo Bettiza, autore del bellissimo e toccante racconto “Esilio”) fu spazzata via in un vero e proprio genocidio culturale. Centinaia di migliaia di italiani di ogni età, professione, ceto sociale, idea politica e grado di compromissione bellica furono assassinati o dovettero intraprendere la via amara dell’esodo. Su di loro si era abbattuta la maledizione della colpa collettiva. In quella Jugoslavia comunista che – dopo la rottura fra Tito e Stalin del 1948 – era diventata l’antemurale dell’Occidente contro l’U.R.S.S. e il Patto di Varsavia, Vaso Čubrilovič ricoprì a lungo la carica di Ministro dell’agricoltura e delle foreste. Negli ultimi anni della sua lunga vita divenne amico e consigliere dell’astro nascente del nazionalismo serbo (nonché purificatore etnico seriale) Slobodan Milosevič. Vaso Čubrilovič morì a Belgrado l’11 giugno 1990, un anno prima della cruenta dissoluzione della Repubblica Federale di Jugoslavia.

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