“Tutte le cose diritte mentono, borbottò sprezzante il nano. Ogni verità è ricurva, il tempo stesso è un circolo.”
— Friedrich Nietzsche
Nel saggio Sul senso della storia, Giorgio Locchi ci consegna un’opera che è molto più di una meditazione filosofica: è l’ossatura di una dottrina rivoluzionaria, utile non solo per comprendere il presente, ma per orientare l’azione nel tempo storico che stiamo vivendo. Una “visione del mondo” (Weltanschauung), che si pone come alternativa radicale all’egualitarismo, che da duemila anni impone il suo paradigma all’umanità occidentale.
La contesa fondamentale: il senso della storia
Locchi parte da una constatazione semplice ma vertiginosa: “Tutte le controversie della nostra epoca possono essere ricondotte a una controversia fondamentale, ossia la questione del senso della storia”. Non si tratta solo di interpretare il passato o prevedere il futuro, ma di comprendere che tipo di tempo viviamo, quale destino si dischiude nel nostro esserci. E qui interviene la grande dicotomia: da un lato, la concezione egualitarista della storia, lineare, segmentaria, orientata alla “fine della storia”, concepita come emancipazione dalla storia stessa; dall’altro, la visione anti-egualitaria che, con Nietzsche e Heidegger, riconosce nell’uomo un essere storico nella sua essenza, che trova senso nel confronto permanente con la propria temporalità autentica.
La lunga genealogia dell’egualitarismo
Il cristianesimo, il liberalismo, il comunismo: tutte queste ideologie, apparentemente diverse, sono secondo Locchi manifestazioni successive di un’unica tendenza epocale, che ha nell’egualitarismo la sua cifra fondamentale. Il marxismo, ad esempio, altro non è che “una ricaduta dalla ‘teoria scientifica’ all’‘ideologia’”, che ripete in forma secolarizzata i mitemi del discorso cristiano: peccato originale, redenzione, giudizio, paradiso finale. Tutto è escatologia, tutto è alienazione da cui fuggire. Tuttavia, “l’immagine marxista, così come quella giudeo-cristiana, della storia è dunque escatologica: la storia si svolge in un tempo ‘segmentario’, tra un inizio e una fine”. In tale visione, l’umanità è agita, non agisce: l’uomo è spettatore impotente, e la libertà è illusoria.

Nietzsche, Wagner e la frattura epocale
Contro questo paradigma si staglia la figura titanica di Friedrich Nietzsche, seguito da Wagner e, in parte, da Heidegger. Ma è Nietzsche a compiere la svolta: “Alla volontà egualitarista egli oppose la sua volontà del ‘superuomo’”. Il superuomo, lungi dall’essere una figura mitologica astratta, è colui che riassume in sé la volontà di forma, di selezione, di verticalità. La sua apparizione segna l’inizio di una nuova tendenza epocale, un vero Zeit-Umbruch (frattura del tempo). Nietzsche non si limita a criticare: egli fonda un nuovo mito, “una previsione fondativa, una filosofia critica e un mito che dice sé stesso, poiesis in senso autentico”. Tre sono i suoi mitemi essenziali: l’ultimo uomo, l’eterno ritorno dell’identico, e l’avvento del superuomo. In particolare, l’eterno ritorno si configura come metafora della storicità autentica: “Ogni momento può e deve essere considerato contemporaneamente come inizio, centro e fine”.
Dante e Dalì: la selva come inizio della storia
In questo quadro, merita un approfondimento l’interpretazione simbolica dell’apertura della Divina Commedia. L’opera surrealista di Salvador Dalì, Partenza per il Gran Viaggio (Inferno, Canto I), offre una potente chiave di lettura: un Dante isolato, avvolto in rosso, apparentemente fermo al centro di un paesaggio diviso tra una terra geometrica, arida, e una natura curva, vitale e vorticosa. A sinistra: la “diritta via”, retta come la concezione escatologica del tempo. A destra: la selva oscura, vegetale, organica — luogo della frattura. E se Dante non avesse smarrito la via morale, ma avesse scelto di abbandonare la linea imposta della storicità giudeo-cristiana? La selva diventerebbe allora il primo ingresso consapevole nel tempo autentico, il primo passo verso la storicità dell’Esserci: Geschichtlichkeit. Come Nietzsche e Locchi dopo di lui, Dante scivolerebbe fuori dalla linea retta per entrare nel tempo mitico, tridimensionale. La Commedia sarebbe così — e paradossalmente — il primo testo del mito sovrumanista, non il suo contrario.

Il viaggio come frattura epocale
Locchi afferma che ogni vera svolta storica nasce da una frattura epocale: un momento in cui l’Esserci umano si confronta con possibilità antitetiche e sceglie. In Zarathustra, Nietzsche chiama queste possibilità “ultimo uomo” o “superuomo”. In Dante, possiamo leggerle come dannazione o beatitudine, ma non nel senso morale, bensì ontologico: l’uomo che accetta la propria storicità o l’uomo che la nega. Il viaggio della Commedia può allora essere riletto come un’esemplificazione mitica del destino dell’uomo storico. Un uomo che, nel mezzo della vita, decide di non restare su una via già tracciata (la diritta via), ma di confrontarsi col proprio tempo, col proprio passato, col proprio progetto. Un uomo che entra nella selva, che attraversa l’inferno del mondo moderno, che sale al cielo non come evasione, ma come atto di potenza interiore. Non a caso, alla fine del viaggio, Dante non esce dalla storia, ma rientra in essa trasfigurato: con-sapevole.
Verso un nuovo cominciamento
Locchi vede nell’opera nietzscheana – e nella tradizione culturale che ne discende – la base per una nuova fondazione, che si configura come una “ri-petizione del cominciamento del nostro esserci storico-spirituale, per trasformarlo in un altro cominciamento”. Non si tratta di restaurare il passato, ma di realizzarne le possibilità ancora inespresse, in un’epoca in cui la decisione è di fronte a noi: “ultimo uomo o superuomo”, fine della storia o inizio di una nuova storia. La dottrina rivoluzionaria che qui si profila non è reazione nostalgica, ma progetto creativo: essa afferma l’uomo come soggetto della storia, non come vittima di forze impersonali. In questa prospettiva, “la storia è configurata […] da un ‘presente’ che è l’Esserci stesso in senso heideggeriano”. Il tempo non è linea, ma sfera: ogni punto è centro, ogni momento è nodo di decisione. Così è la struttura stessa della Commedia: un’opera che non ha un punto d’arrivo definitivo, ma un eterno ritorno dell’esperienza, un “Gran Viaggio” che si può ripetere in ogni epoca. È ciò che Dalì raffigura: Dante che ha già superato la soglia, che ha già varcato la linea per compiere il salto nel tempo autentico.

Tempo, storicità e quanti: Locchi oltre la metafisica
Una delle intuizioni più affascinanti di Giorgio Locchi è che la storia autentica non può essere pensata con le categorie del tempo lineare. Egli propone invece l’idea di un tempo “topocronico”, sferico, in cui passato, presente e futuro si compenetrano in una dimensione tridimensionale, mitica. Questa visione, profondamente filosofica, trova un’eco sorprendente nelle scienze contemporanee: la relatività einsteiniana ha spezzato l’assoluto newtoniano del tempo; la fisica quantistica ha dimostrato che il presente è una sovrapposizione di stati, e che l’osservazione — cioè l’atto — determina l’esito. In questa chiave, l’Esserci storico di cui parla Locchi è perfettamente compatibile con il principio quantistico: il reale è funzione della coscienza che decide. La storicità autentica locchiana e l’universo quantistico parlano lo stesso linguaggio: quello della possibilità, non quello del predeterminato. La decisione fonda la realtà. E allora il mito, lungi dall’essere regressione, diventa il veicolo per entrare nella struttura dinamica del mondo. Un giovane rivoluzionario non agirebbe semplicemente “contro la scienza”, ma in essa perché sa che “ogni sapere scientifico è filosofia” (Heidegger). Agirebbe contro la superstizione moderna della linearità, riattualizzando ciò che Democrito disse negli albori oscuri del pensiero occidentale: “Nulla sappiamo… la verità è nell’abisso”. Perché il sapere è tale solo se resta vicino al mistero, al non-saputo.
Una pedagogia per giovani inquieti
Per il giovane europeo del terzo millennio, educato a vivere in un eterno presente digitale, la proposta di Giorgio Locchi è uno choc salutare. Lo destabilizza, ma gli restituisce ciò che più gli è stato negato: un orientamento. Il tempo che gli viene insegnato è finto. Gli dicono che la storia è finita, che nulla ha più senso se non il consumo, la carriera, l’inclusione senza identità. Gli offrono la pace in cambio della sterilità, il progresso in cambio dell’oblio. Lo vogliono inoffensivo. Ma proprio per questo, il giovane inquieto sente — inconfessabilmente, profondamente — che qualcosa non torna. La dottrina locchiana lo sveglia come uno squillo. Gli dice: la storia non è finita, anzi, inizia con te. Ogni presente è un campo di possibilità, e tu sei chiamato a decidere. O accetti la tua epoca come destino, o la rigetti come una condanna da scontare. Essere nel tempo autentico significa allora vivere con progetto, sapere che ogni gesto ha un peso, ogni parola un’eco, ogni silenzio un prezzo. Significa rifiutare la morale della colpa e scegliere, al suo posto, l’etica dell’onore. Significa riconoscere ciò che vale e ciò che deforma. Significa, soprattutto, non cercare rifugi. Né nella nostalgia reazionaria, né nelle utopie progressiste. Nessun Eden dietro di noi, nessun Paradiso davanti. Solo il compito, qui e ora: costruire il nuovo inizio. Spezzare la linea, fondare il cerchio. Non per tornare indietro, ma per rifare l’origine. Il giovane che accetta questa sfida è già fuori dal gregge. Cammina nel bosco, come Dante. Non ha paura della selva, perché sa che lì comincia il vero universo: “un passo al di là della logica”.

Conclusione: l’Europa che può essere
Nel mito anti-egualitario – sovrumanista – tratteggiato dal pensiero Locchiano si profila anche una nuova possibilità per l’Europa, “non più identificata né con la civiltà giudeo-cristiana né con quella illuminista, ma radicata nella romanità, nella celticità, nell’indoeuropeità originaria”. È un’Europa fondata su una visione aristocratica dell’esistenza, capace di riconoscere la differenza, la gerarchia, il senso del tragico e accettare eroicamente l’implacabile sfida della globalizzazione post-moderna. Un’Europa che, per dirla con Nietzsche, abbia il coraggio di volere il proprio destino. Oggi più che mai, nel tempo digitale della disumanizzante, del conformismo assoluto e della “felicità mediocre”, questa dottrina si rivela necessaria per chiunque voglia perseguire grandezza e non semplice sicurezza. Non per rifugiarsi nel passato, ma per spezzare la catena del presente e riconquistare la libertà storica dell’uomo.




