Questo approccio censorio non è semplicemente una casuale manifestazione di intolleranza, ma è piuttosto il riflesso di un più ampio tentativo di omologazione delle opinioni. Nel tentativo di plasmare un consenso sociale e culturale monolitico, si sono attuate strategie che mirano a delegittimare e ridicolizzare ogni forma di opposizione, soprattutto quando proviene da chi sostiene idee conservatrici. In questo senso, la cultura woke, spesso associata all’estrema sinistra, si impone non come una semplice alternativa di pensiero, ma come un’autorità morale che si arroga il diritto di determinare ciò che è giusto e ciò che è sbagliato, ciò che è accettabile e ciò che non lo è.
Media e Cultura: una Narrazione Unidirezionale
I mezzi di comunicazione, in particolare quelli tradizionali, hanno da sempre favorito un’interpretazione politica e sociale vicina alla sinistra, spesso presentata come la principale paladina dei diritti civili e del progresso sociale. Tale orientamento non è privo di conseguenze: rappresenta infatti un fertile terreno per la diffusione della cultura woke e per la sua imposizione come norma di comportamento e pensiero. Per lungo tempo, questa narrazione univoca ha saturato il dibattito pubblico, soffocando voci di dissenso e riducendo l’opinione conservatrice a un fenomeno marginale e, spesso, stigmatizzato. Con l’avvento di internet e dei social media, però, nuove forme di comunicazione hanno cominciato a infrangere questo monopolio.
Un esempio recente riguarda la circolazione dei filmati di giovani americani che festeggiano la vittoria di Donald Trump, segno di un risveglio mediatico che si contrappone alla narrativa predominante. La visibilità di queste immagini rappresenta una forma di resistenza culturale, un contrappeso a una narrazione che per troppo tempo ha escluso il dissenso e minimizzato il peso delle opinioni conservatrici. Tali manifestazioni, spesso osteggiate dai media tradizionali, dimostrano come il consenso che la cultura woke intende costruire non sia né naturale né unanime, ma costruito e sostenuto da un apparato comunicativo sistemico.
La “Cancel Culture” e la Caccia al Dissenso
Un elemento chiave della cultura woke è la cancel culture, ossia la prassi di escludere o “cancellare” chiunque si discosti dagli standard morali e politici imposti. Questo fenomeno è divenuto un’arma sistematica rivolta anche contro intellettuali, artisti, giornalisti e figure pubbliche che – per posizioni di principio o di analisi – sollevano critiche contro l’unidirezionalità ideologica. La cancel culture agisce dunque come un meccanismo di controllo sociale, volto a limitare il dibattito e a scoraggiare la pluralità di opinioni. In un clima di tale rigidità, il dissenso diventa automaticamente pericoloso, generando una dinamica paradossale che, lungi dal difendere la libertà di espressione, la opprime nel nome di un ideale iper-moralistico e autoritario.
La Lezione di Pasolini
A questo proposito, risulta illuminante riflettere su quanto affermato da Pier Paolo Pasolini, che in una delle sue più celebri riflessioni sul “Fascismo degli antifascisti avvertiva del pericolo che l’opposizione all’autoritarismo potesse trasformarsi in una nuova forma di coercizione. Pasolini osservava come il rischio dell’antifascismo militante fosse di ricreare, in nome della libertà e della giustizia, un nuovo tipo di intolleranza, una sorta di fascismo morale (sulla natura del termine vi sarebbe molto da discutere, va da sé) che non ammette sfumature né dissensi. Il suo monito si rivela oggi attuale: la cultura woke, nella sua intransigente avversione al diverso, rischia di cadere nello stesso errore che denuncia, ossia di imporre una mentalità chiusa e limitante, opponendosi non solo alle idee contrarie, ma al pluralismo stesso.
In questo contesto, la riaffermazione del pensiero conservatore e la circolazione di voci alternative rappresentano non solo una reazione a un sistema ideologico pervasivo, ma anche un invito a riscoprire il valore della pluralità, della libertà di pensiero e dell’argomentazione razionale. Come ammoniva Pasolini, la vera sfida è opporsi alla tentazione di ridurre il dissenso a un “nemico” da combattere, ricordando che il dialogo libero e aperto è l’unico vero antidoto contro le derive autoritarie, di qualunque colore esse siano, non dimenticando che sono proprio le opinioni in contrasto a creare una vera democrazia partecipativa dove chiunque è libero di esprimere ciò che pensa.