Il decomporsi dell’Unipolarismo sta determinando una transizione egemonica, epocale passaggio di poteri che sta portando il mondo in “terra incognita”, sbrigativamente etichettata dai più col termine Multipolarismo. Più propriamente, assistiamo alla formazione di un Policentrismo nel cui ambito sta sorgendo una nuova categoria di attori politici, gli Stati Civiltà. Sono potenze la cui influenza si estende assai più in là delle proprie frontiere – talvolta del proprio ceppo etno-linguistico – modellando il proprio estero vicino, alle volte territori di riferimento anche più distanti. È il ritorno del concetto d’area d’influenza, anatema per orecchio liberale che vede l’intero pianeta propria indistinta zona d’appannaggio. Ne è conseguenza il fatto che la parte di mondo dove liberal-democrazia governa tende a riconoscersi nell’Unipolarismo USA e nel rules based order da essi imposto, mentre gli Stati-Civiltà intendono l’ordine mondiale – il “Nomos della Terra”, citando Carl Schmitt – come Multipolare, meglio, Policentrico.
Più specificamente, gli Stati-Civiltà hanno idea di sé, del proprio “stare nel mondo”; dispongono di culture capaci di unire popolazioni anche diverse, di articolare strategie espansive su vasti territori che tendono a “ordinare” secondo regole proprie, con peculiari gestioni delle risorse e delle economie. Insomma, hanno una “visione” che declinano secondo Geocultura, Geostrategia e Geoeconomia proprie. Con ciò possedendo tutti gli ingredienti di una sovranità compiuta, basati su sostanziali valori non negoziabili desunti dalle rispettive tradizioni per come da esse (e in esse) articolati nel corso della Storia. Cina, India, Iran, Turchia e Russia sono esempi di Stati-Civiltà.
Per queste innate peculiarità ciascuno degli Stati-Civiltà ha identità distinta, non sovrapponibile ad altre. E in nome di tale identità, che – da sottolineare ancora – non può essere negoziata, si pongono in naturale contrapposizione con il preteso Universalismo occidentale, che mira a instaurare (oggi, in realtà, tenta con crescente insuccesso di mantenere) gli stessi principi su tutto il pianeta. Allo stesso modo tendono a respingere il Globalismo, rifiutandone i contenuti culturali e mantenendo i meccanismi economici e commerciali che ritengono convenienti, meno che mai ad accettare l’Imperialismo che rigettano del tutto, accettando rapporti in base a propria utilità e coerenza con gli interessi nazionali. È ripudio degli standard occidentali, insieme all’assioma che per modernizzarsi occorra occidentalizzarsi. Come pure, che l’adozione di una economia di mercato implichi necessariamente l’adesione ai meccanismi liberisti.
A guardar bene questo snodo della Storia, rileva che la competizione avvenga fra culture e loro emanazione. Nel mondo liberal-democratico, ovvero durante regno Unipolare, era l’economicismo a caratterizzare i rapporti fra i satelliti dell’impero e una era la cultura, al singolare perché uniforme e unica per tutti. Preteso metro universale cui tutti erano tenuti a omologarsi, puro strumento dell’Egemone che tutto regolava. A caratterizzare le relazioni fra gli Stati-Civiltà sono invece le culture, plurali, che ne informano differenziata visione del mondo, proiezione di sé e dei modelli di gestione della società.
Visti in questa prospettiva, gli Stati-Civiltà possono essere paragonati ai passati imperi che hanno retto e modellato il mondo, ma ancor di più – per l’enfasi esiziale sulla Geocultura che li informa – vanno accostati ai Grandi Spazi, ai Grossraum teorizzati da Carl Schmitt: vaste aree su cui insistono popoli che hanno comunanza di esperienze storiche e relazioni con i territori, sviluppando così culture contigue, assonanti. Su queste basi primarie, formate da tradizioni comuni, assimilabili, possono confluire in vario modo altri – molteplici – fattori d’integrazione: etnia, posizione geografica, religione, etc. L’insieme di tutto ciò ne definisce lo “stare nel mondo” che caratterizza la compresenza in un Grande Spazio. Come avrebbe detto Heidegger il suo “dasein”.
Per tali caratteristiche, l’ordine mondiale che sta emergendo – che vede al centro gli Stati Civiltà – non potrà essere caratterizzato dall’Unipolarismo, né da un Multipolarismo indistinto, ma piuttosto da un Policentrismo basato su una rete di relazioni differenziate fra i diversi Poli: in primis fra essi e poi fra essi e le entità politiche a loro vicine o esterne alla loro sfera d’influenza; secondariamente, fra i soggetti che permangono al di fuori degli Stati-Civiltà. Uno stato del mondo che, a occhio aduso a egemonismo globale (e incurante della conseguente condizione d’assoggettamento), apparirà come caos ma che, piaccia o no, per attori politici dotati di sovranità rappresenta normalità che archivia il preteso Unipolarismo, esso sì anomalia dinanzi alla Storia del mondo.